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mancano alcuni comparativi, derivati dal latino, che hanno quella stessa desinenza. Per es.: migliore, peggiore, inferiore, superiore, ecc.

Molto più manifesta è poi la conformità de' superlativi. In fatti in due modi si formano; l'uno con l'articolo e il più o il meno innanzi all'aggettivo, e l'altro con la terminazione in issimo. Or bene, in due modi l'hanno pure i latini; l'uno con il maxime o con il minime (che risponde al più o al meno con l'articolo) innanzi all'aggettivo semplice, e l'altro con la desinenza in issimus. E se talvolta, in vece dell'issimus, si vede la terminazione (si tacciono altre poche varietà) in errimus, tutti sanno che anche in italiano vi sono superlativi in errimo, come: integerrimo, celeberrimo, ecc.

Parlando degli aggettivi e della loro conformità nelle due lingue, sarebbero a fare molte più considerazioni, che la brevità del presente lavoro non consente. E però, tralasciando di notare minutamente, oltre a molte altre, le relazioni di corrispondenza nel congiuntivo latino qui, quae, quod e suoi derivati quis, quicumque, quisquis, aliquis, aliquot ed altri con il congiuntivo italiano che, chi, chiunque, chicchessia, alcuno, alquanti, ecc., mi restringo a fare le poche osservazioni seguenti:

1. In italiano tutti sanno l'uso proprio degli aggettivi dimostrativi questo, cotesto e quello. Perfettamente conforme è l'uso che faceano i latini

de' corrispondenti hic, iste, ille o is. Se ne tralasciano gli esempi, che sono frequenti in Terenzio e nelle lettere di Cicerone.

2.o Si sa che in italiano l'aggettivo possessivo mio, tuo, suo, ecc., adoperato assolutamente nel singolare, come: il mio, il tuo, il suo, significa il mio, il tuo, il suo avere. Usato poi assolutamente in plurale, come: i miei, i vostri, i nostri, significa i mici, i vostri, i nostri parenti, congiunti e simili. I latini faceano l'istesso uso di questi aggettivi. Così si ha in Cicerone: « Porrigere sua »: scialacquare il suo. E in Cicerone medesimo: « Expectabam aliquem meorum ». E altrove: « Nemo e

nostris ».

3.o Finalmente è da osservare che l'istesso tuissimo, che gl'italiani usano nel discorso familiare, è imitato da' latini, che l'usarono nello stesso modo, come può vedersi in Plauto.

ARTICOLO.

Di due sorta, come si sa, è l'articolo in italiano, determinativo il, lo, la, ecc., ed indeterminativo un, uno, una. E l'uno e l'altro, per quanto la cosa possa parere strana, avevano ancora i latini.

Quanto al determinativo, mi basta, in luogo di moltissimi, citare un solo esempio di Terenzio: « Tum illae turbae fient »: allora sarà il chiasso.

Se quell'illae non è un vero articolo, che sarà mai? Ma già i filologi hanno avvertito che l'articolo il, lo, la, ecc., in italiano non è che un troncamento dell'articolo ille, illa, ecc., de' latini.

Ma che questi avessero pure l'indeterminativo, me lo dice, a non dubitarne, Catullo con il seguente esempio: » Haec cum legas, tum bellus ille et urbanus Suffenus unus caprimulgus aut fossor videtur ». Può esservi esempio più manifesto? Che i latini però l'usassero assai parcamente, non è chi vorrà dubitarne: ma chi intanto non sa che anche gli scrittori italiani del buon secolo erano assai più parchi che oggi non siamo nell'uso di questo articolo, e che la sua omissione aggiunge molte volte leggiadria ed eleganza al discorso?

PRONOME.

Intorno ai pronomi io, tu, sè non spenderò molte parole.

Per quanto irregolari e capricciosi siano nella loro forma e declinazione questi tre pronomi, se si pongono come a riscontro nelle due lingue, si vedrà che non potrebbe essere maggiore la corrispondenza anche nelle loro anomalie.

VERBO.

Innanzi tutto torna opportuno parlare degli ausiliari, e primieramente del verbo essere; esse,

Quanto sia la corrispondenza di quasi tutte le voci di questo verbo nelle due lingue basta a mostrarlo ciò, che la conformità si osserva fino in certe voci equivalenti, che dove il latino ha forem, fore, futurum, l'italiano ha le voci affini fora e futuro. Quanto all'uso però, che le due lingue fanno di esso nella formazione de' loro tempi, è da avvertire che dove l'italiana se ne vale in tutt'i tempi del passivo, ne' tempi che dicono di seconda serie nel neutro e nel neutro passivo, la latina con alquanta differenza se ne vale soltanto per i tempi di seconda serie del passivo, de' deponenti e de' semideponenti.

Oltre all'ausiliare essere, la lingua italiana ha per gli attivi e molti neutri anche l'ausiliare avere, che certamente non potrebbe affermarsi essere nella latina. E non pertanto, chi voglia riflettere a certe frasi de' classici, sarebbe tentato di credere che i latini pure usavano talvolta, come ausiliare, il verbo avere, come in questi modi, che si trovano più frequenti: habuit persuasum sibi » << habuit compertum » e simili, che in nulla paiono diversi da' corrispondenti italiani, e in cui le voci dell'habere hanno un senso ed un uso tutto conforme a quelli dell'ausiliare italiano avere. D'altra parte, chi potrebbe con asseveranza asserire, che l'uso di questo ausiliare fosse del tutto ignoto a'latini? Comunque sia, non potendo i miei poveri studi

darmi autorità di metter pure in campo una simile congettura, passo a discorrere del verbo in generale. Intorno a che si vuole osservare:

1.o Che, salvo il deponente, tutte le altre specie di verbi sono comuni alle due lingue, attivi, passivi, neutri, neutri passivi o riflessi, e poi impersonali, difettivi e anomali di ogni sorta.

2.° Che, salvo poche e leggiere differenze, che appresso si noteranno per ordine, grandissima è la corrispondenza di forma nella grande varietà di voci e accidenti proprî de' verbi nelle due lingue. Lasciando infatti da un lato ogni menzione di numeri e di persone, e cominciando dalle coniugazioni, ognun vede che la conformità è perfetta. Quanto a' tempi, niuna differenza, salvo questa, che dove nell'indicativo la lingua latina ha un solo passato, l'italiana ne ha tre, cioè il passato remoto, il passato prossimo ed il passato remoto composto, come: amai, ho amato, ebbi amato. Quanto a' modi parimente, se si tolga il condizionale, per il quale la lingua italiana ha forma propria, che manca alla latina, nulla è più conforme.

Resta finalmente a dire di quelle, che alcuni chiamano modalità del verbo, gerundi, participi e supini.

Il supino è forma esclusiva del verbo latino, non però i gerundi, che sono in tutte due le lingue, ma con le seguenti differenze.

In latino sono:

1. Semplici, o di una voce sola.

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