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similitudini sparse per luoghi non musicabili, non vi paressero poter musicarsi da sè, in modo, se non da comporne un trattenimento tutto tessuto di quelle, da darle per intermezzi e riposi. Tali mi parrebbero le similitudini delle pecorelle semplici (34), del toro infuriato (35), delle colombe quiete (36). Poi quelle della gloria umana che smuore (37) come colore d'erba. Del coraggio di Dante, che si rihà come fiore al mattino (38); di Beatrice che guarda a lui con pietà come madre a figliuolo vaneggiante (39); del suo svilupparsi dalle anime chiedenti suffragio, come chi vince al giuoco dai domandanti la mancia (40); e di chi dubita se végga o no il vero (41); e di chi intende tra i suoni dell'organo, or sì or no, le parole (42); e dell'oriuolo che armoniosamente richiama alla mattutina preghiera le anime amanti (43).

Se questi cenni punto punto vi fanno, seguiterò sopra Dante e il Tasso e l'Ariosto e il Petrarca e altri Lirici se no, smetteremo. Addio di cuore. N. TOMMASEO.

(1) Inferno, Canto 1, terz. 6. Guardai in alto... a terz. 9, persona viva.

(2) Purgatorio C. 1, t. 5. Dolce color, a 13, fosse davante. Poi t. 32 Va dunque, alla fine onde la svelse.

(3) Paradiso C. 4, t. 4. La Gloria a. t. 3, non può ire. (4) Purg. C. 40, t. 3. Noi salivam a t. 7, per deserti.

(5) Par. C. 4, t. 16. Quando Beatrice a t. 31, ad esso riedi.

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Chi fra gl' Italiani dei nostri giorni, intendo di quelli che poco o molto sogliono conversare coi libri, non ha letto la Divina Commedia, non dirò tutta intiera da capo a fondo, ma almeno per la massima parte, e tanto da comprendere il generale concetto, e i principali fini che l'Alighieri si propose? Passò felicemente quel tempo in cui la storia di Francesca,

(6) Par. C. 2, t. 9. Giunto mi vidi a t. 12, permanendo quella d'Ugolino e poco più erano tutto ciò che il

unita.

(7) Par. C. 5, t. 30. Lo suo tacer a t. 35, amori. (8) Purg. C. 8, t. 1. Era già l' ora a t. 2, si muore. (9) Purg. C. 7, t. 25. Oro e argento a t. 20, parên di fuori. (40) Inf. C. 3, 1. Per me si va a t. 40, turbo spira. (44) Inf. C. 4, t. 4. Ruppemi a t. 4, veruna cosa. (12) Inf. C. 3, t. 33 Quinci für quele a t. 42, volge in desio. (13) Inf. C. 5, t. 9. Ora incomincian a t. 14, minor pena. (14) Inf. C. 9, t. 12. E altro disse a t. 30, alcun ritegną. (15) Purg. C. 2, t. 5. Ed ecco, qual a t. 8, a lui n'uscio. (46) Purg. C. 8, t. 8. I' vidi a t. 44, verrà via via. E poi t. 33. Da quella parte a t. 36, rivolando iguali.

(47) Inf. C. 6, t. 2. Nuovi tormenti a t. 5, è sommersa. (18) Inf. 12, 16. Ma ficca a t. 21, l'arco tiro. Poi 32 Noi ci movemmo a t. 36, dolorosi anni.

(49) Inf. 7, 36. Una palude a t. 42, parola integra.
(20) Purg. 4, 29. Ma se a te a t. 40, carro mena?

(21) Purg. 44, 38. Io cominciai alla fine, non'posso.

(22) Purg. 11, 1. O Padre a t. 7, sprona.

(23) Inf. 10, 8. O Tosco a t. 17, ben quell'arte.

(24) Purg. 2, 23. L'anime a t. 3, perchè vai? Poi 36, Ed io

a t. 41, Dio manifesto.

(25) Purg. 6, 20. Ma vedi a t. 25, abbracciava.

(26) Par. 6, 43. E dentro alla fine loderebbe.

(27) Par. 8, 5. Io non m'accorsi a t. 25, mora mora.
(28) Inf. 2, 18. Io era a t. 24, mi fa parlare.

(29) Inf. 5, 25. Io cominciai a 32, si tace. Poi 42 Ma se a conoscer alla fine, morio cade.

(30) Purg. 5, 44. Deh quando alla fine, gemma.

(34) Par. 3, 4. Quali per vetri a t. 8 occhi santi. Poi 44 Così parlommi a 44, più tardo.

maggior numero dei lettori sapesse, o si curasse sapere di quel libro. Giova credere pertanto che, se moltissimi lo hanno letto, non pochi lo abbiano studiato, sì che da quei cento canti abbiano veduto. emergere i seguenti luminosi principj politico religiosi 1.o Riunione d'Italia tutta sotto il sommo impero di un solo, che, a causa delle opinioni dominanti a quel tempo, e della mancanza di altri personaggi eguali all' altezza e difficoltà dell' impresa, esser non poteva che l'erede del trono dei Cesari restaurato da Carlo Magno; quindi per necessaria conseguenza, la guerra incessante del Poeta a tutte le fazioni, tutte le municipali signorie in cui era divisa l'Italia, sotto qualunque forma si fossero. 2.° Unità della Religione cattolica, rappresentata dal Pontefice Romano, erede delle somme chiavi e dello spirito dell' autore del cristianesimo; e, per conseguenza, guerra incessante del Poeta stesso ad ogni immistione del poter temporale con lo spirituale, giusta la inoppugnabile sentenza di Cristo: « Il regno mio non è di questo mondo ».

Ora il primo di questi principj campeggia con somma coerenza dal primo fino all' ultimo verso della Divina Commedia, per tacere dell' altre opere dell'autore; mentre il secondo, quantunque erompa da moltissimi luoghi del Poema, pure in un certo tratto

sembra essere rivocato in dubbio; anzi, lo dirò francamente, sembra subire manifesta contradizione, comunque alcuni commentatori si sieno stemprati il cervello onde purgarlo di siffatta macchia.

E questo tratto si trova appunto nella parte più rilevante del Poema, laddove Dante in qualche modo statuisce il cardine di tutta l' opera, cioè nel canto 2.o dell'Inferno. Difatti, se nel canto 1.o egli narra ciò che fu cagione del suo poetico cammino pei tre mondi degli spiriti, e il suo smarrimento nella selva, e il suo tentativo di salire al monte, e il triplice ostacolo che gli si oppose, e la sua inevitabile ruina in basso loco se non fosse stato soccorso da Virgilio, che lo persuade ad intraprender con lui il gran viaggio; nel canto 2.0 rivela i congegni più riposti del Poema, addita quale ne sia il movente providenziale; e porge, dirò così, ai lettori la chiave, onde penetrare nel perchè dei futuri portenti. Or bene, in questo secondo canto, che, oltre d'essere uno dei più belli poeticamente, è certo il più importante per la intelligenza di tutta l'opera, si rinviene appunto lo squarcio che io diceva, quello che falsa le sue dottrine religiose, di rimbalzo toglie parte della efficacia loro a quelle politiche, e stabilisce una premessa, le conseguenze della quale apertamente le sono contrarie; in una parola, pone Dante in contradizione con Dante. Lo squarcio è questo. Per avere egli l'occasione di rivelare al lettore l'ordigno nascosto dello intero Poema, dopo aver finto di riflettere alla difficoltà della proposta fattagli da Virgilio, prende a dimandargli, se lo creda veramente da tanto d' intraprendere con lui si arduo cammino, e se non sia questa una empia temerità per lui, che non sa essere destinato dal Cielo ad una missione pari a quella di Enea e di Paolo; e così obietta:

« Tu dici, che di Silvio lo parente,

« Corruttibile ancora, ad immortale

<< Secolo andò, e fu sensibilmente.

« Però se l'avversario d'ogni male

« Cortese fu, pensando l'alto effetto

<< Che uscir dovea di lui, e 'l chi, e 'l quale,

«Non pare indegno ad uomo d'intelletto;

« Ch'ei fu dell'alma Roma e di suo impero
<< Nell' empireo ciel per padre eletto:

« La quale e il quale, a voler dir lo vero,
« Fur stabiliti per lo loco santo,

« U' siede il successor del maggior Piero.

« Per questa andala, onde gli dai tu vanto,

<< Intese cose, che furon cagione

« Di sua vittoria, e del papale ammanto.

« Andovvi poi lo Vas di elezione,

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a dire, come Roma e il suo impero, i quali ebbero la prima loro origine dalla discesa di Enea all'Eliso, furono stabiliti unicamente per la Cattedra di San Pietro, che dee sola dominare nella città fatale dei sette colli, escludendone il capo dell' Impero, ed aver signoria non meno spirituale che temporale. Ciò posto, si dimanda con qual ragionevolezza possano aver luogo i perpetui lamenti, e le acri invettive che si rinvengono nel rimanente del Poema, per la confusione dei due poteri? E per non toccare di altri punti, quando Marco Lombardo nel 16 del Pur

gatorio esclama:

« D'oggimai che la Chiesa di Roma, « Per confondere in sè duo reggimenti, « Cade nel fango, e sè brutta e la soma,

Perchè si ode rispondere, senza ambagi, dal poeta :

« O Marco mio, diss' io, bene argomenti ?

E quando nel 6.o pur del Purgatorio, in quel sublime ditirambo di amor patrio e d'ira, che non ha nulla d'eguale nella Poesia antica o moderna, Dante stesso, apostrofando l'Imperatore Alberto, grida :

« Vieni a veder la tua Roma che piague

« Vedova, sola, e di e notte chiama :

« Cesare mio, perché non m'accompagne?

come non pensò che quel monarca gli avrebbe po tuto rispondere: A che mi chiami, se tu hai già de-. cretato ad altri il luogo del mio trono? Tu dici che Roma è vedova e sola; ma tu stesso hai già guidato al suo talamo un altro marito. Mi si dica di grazia, che cosa avrebbe potuto replicar Dante alle parole di Alberto Tedesco, se non che: Tu hai ragione, ed io sono in contradizione con me stesso ?

Nè da questo miserabile impaccio lo hanno potuto togliere i commentatori, ancorchè sieno oggimai più dei canti stessi del Poema, i quali commentatori possono dividersi in tre schiere: la prima di coloro, ed è la più piccola, che si assottigliano, come io dissi, e si arrabattano per escusare l'autore, e velare la terribile evidenza che scoppia dai versi :

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mal celato trionfo perchè lo vedono caduto in fallo, e con ipocrita lode scrivono, che, ad onta delle sue passioni ghibelline, certe verità fondamentali gli prorompevano pure dal petto (1).

Ma se Dante tornasse al mondo, che direbbe di tutto ciò? Ei direbbe di questa quel che direbbe dell'altra ingiuria che gli vien fatta da chi gli attribuisce quella pia melensaggine che si chiama la traduzione in versi del Credo e dei sette salmi penitenziali. E qui, se io fossi uno di quei Dantofili che vanno per la maggiore, e se i tempi non fossero alquanto scettici sul conto delle visioni, sarei tentato di narrare a chi avesse la pazienza di leggermi un sogno, a un di presso simile a quello che il Boccaccio narrò essere stato spacciato dai figli del Poeta e che fu, nelle sue cagioni, si argutamente spiegato dal Foscolo. Racconterei che Dante, da me ferventissimamente pregato e ripregato finalmente mi apparve, e richiesto intorno alla contradizione di che è parola.... Forse il lettore s'immagina che io vorrei qui porgli in bocca una dottissima arringa, piena di citazioni peripatetiche, teologiche e che so io, per rigettare da sè l'indegna taccia; forse anco s'immagina che io lo rappresenterei in tutto il suo formidabile sdegno.... No, no: io lo rappresenterei in atto, udita la mia rispettosa dimanda, di prendere, senza proferir verbo, la penna del mio calamaio, e scotendo la testa con un lieve sorriso, alla fine del verso ultimo della citata terzina, dopo la parola Piero segnar di sua mano un semplice interrogativo. Indi, ripetendo fra'denti quell'altro suo verso:

« Messo t'ho innanzi, omai per te ti ciba,

ripigliar la via per tornare alla sua Beatrice.

Sì, lettor mio benevolo o malevolo che tu sii, un interrogativo posto là dove ho testè accennato, toglie ogni difficoltà, ogni ombra di contradizione. Questi segni ortografici, come tu sai, non erano stati inventati ai tempi di Dante; e certamente, anco se avessimo l'autografo di lui, che non abbiamo non ve ne troveremmo traccia. Quindi la tanta diversità circa alla interpretazione di moltissimi luoghi del divino poema. Ma relativamente al tratto capitalissimo di che si favella, se tosto che l'arte tipografica venne in fiore tra gl' Italiani non fossero

(4; Nella edizione fiorentina dell'Ancora a questo luogo vien posta una nota veramente curiosa. Si dice che la spiegazione di tutto lo squarcio di cui è questione vien data da Dante stesso 4. trattato del Convito 4 e 5; ma se tu leggi quei due Capitoli veramente eloquentissimi, tu vedi che in essi si parla soltanto dell' autorità imperiale, la quale dee risedere in Roma e non altrove, nè vi ha una sola parola relativamente all'autorità pontificia e al dominio temporale dei papi.

corsi tempi da consigliare i letterati, come suol dirsi, a bever grosso in sì pericoloso argomento, o se qualche proto per isvista avesse posto quell' interrogativo là dove ho detto, purchè qualche dottissimo non lo avesse providamente cancellato, Dante non sarebbe parso per tanti secoli assurdo contradittore di sè stesso, e non avrebbe avuto da certi commentatori quella rugiadosa lode che ho accennata.

Si, lettor mio, lo ripeto; un interrogativo posto dopo la parola Piero accomoda tutto; ed ecco il senso che con esso dà tutto il brano in discorso. « Tu (Vir«gilio) dici che Enea, tuttavia vestito delle membra << mortali, penetrò nel mondo degli spiriti, e potè << averne cognizione per mezzo dei sensi. Ma, se « Iddio gli fece questa grazia, niun uomo d'intel<«<letto, che pensi quali mirabili effetti dovevano de« rivare da colui che la ottenne, e i personaggi e i a pregi loro, non la riputerà cosa indegna; poichè « egli (Enea) fu eletto da Dio stesso ad essere au«tore di Roma e del romano impero. La quale e il « quale, per chi non voglia tacere la verità, furono « forse stabiliti soltanto per quella sacra Cattedra « ove siede il successore di quel Pietro, che fu mag<< giore di ogni altro Pontefice? No certo, perchè in occasione di quel viaggio del quale tu gli dai « vanto, udì farsi (dal padre Anchise e dalla Sibilla) << delle rivelazioni, le quali furono cagione che egli << vincendo, assicurasse la esistenza di Roma futura «<e dell'impero, non meno che quella dell'autorità << spirituale dei Pontefici » (1).

In questa parafrasi io ho aggiunto, dopo il proposto interrogativo, le parole no certo, perchè tu, o lettore, afferrassi con tutta evidenza il ragionamento di Dante; ma a lui non era lecito il farlo nei versi citati, perchè non era quello il luogo di discutere circa ad una delle dottrine fondamentali che egli si proponeva di divulgare; perchè il no certo è implicitamente inchiuso nella seguente terzina, la quale secondo volgata e senza il proposto interrogativo, diviene una inutile ripetizione di ciò che è detto nella precedente; perchè infine, dato questo cenno rapido del suo modo di vedere in tale argomento, il Poeta si riserbava a svolgerlo in mille modi e in mille luoghi, non solo della Divina Commedia, ma anco delle altre sue Opere. Nelle quali tutte, se egli professa sincera riverenza alle somme chiavi, non riconosce legittimo nel romano Pontefice il pos

(4) Per papale ammanto o gran manto, Dante intende l'Autorità pontificia e non altro in parecchi luoghi della Divina Commedia, come sanno gli studiosi di essa. Valga per tutti il seguente verso di Papa Orsini che dà conto di sè al poeta nel canto de' Simoniaci :

Sappi ch' io fui vestito del gran manto ».

sesso esclusivo di Roma, ed in conseguenza gli nega ogni dominio temporale. L'unico punto in cui appariva dissonanza era quello di che abbiamo tenuto proposito; ma che io credo d'ora in poi non sarà più per apparir tale agli uomini onesti e di buona fede.

Il solo dubbio che potrebbe ancora allignare in chi non è praticissimo dello stile del Poeta, sarebbe certa durezza che sembra venire dalla parola fur, seguita tosto dal suo complemento, posta in principio del verso., ed esprimente interrogazione; ma questo dubbio sarà dileguato da Dante stesso, il quale nel citato canto sesto del Purgatorio, in una interrogazione non meno energica adopra l'istessa forma; intorno alla cui genuina lezione nissuno ha mai dubitato:

« E, se licito m'è, o sommo Giove, «Che fosti in terra per noi crocifisso, « Son i giusti occhi tuoi rivolti altrove?

Che resta pertanto? Resta che, se si vuol togliere al maggior poeta d' Italia, e forse del mondo, la brutta nota di essere in contradizione con sè stesso in uno de' suoi più solenni principj, i futuri Editori della Divina Commedia pongano un interrogativo dopo l'ultimo verso della ottava terzina del canto 2.o dell' Inferno. F. S. ORLANDINI.

NOTIZIE

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L'idea di celebrare I centenari in Italia. anche in Italia i centenari dei nostri grandi uomini va guadagnando gli animi. Così se il centenario di Dante sarà il riassunto, per così dire, di tutte le nostre glorie quelli degli altri sommi che fecero con lui della nostra patria la madre della civiltà, andranno a mano a mano ricordandoci quello che siamo stati non solamente, ma ci sproneranno di sovente a farci sempre più degni del posto che ci compete fra le nazioni. E quindi con vero conforto che tutti i patriotti hanno ricevuto l'annunzio della celebrazione in Pisa, il dì 18 del corrente Febbrajo, del terzo centenario della nascita di Galileo Galilei. Il Prefetto della provincia di Pisa, il Rettore di quell' università e il Gonfaloniere della città si sono fatti promotori della festa, la quale, quantunque abbia un programma modesto, non sarà perciò meno cara a chi venera nel grand' uomo una delle più vaste menti che onorino l'umanità ed una delle più nobili emanazioni del pensiero di Dio.

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blioteca Nazionale di Firenze di una copia dell' Inferno di Dante, colle illustrazioni ormai famose del celebre Gustavo Dorè. Questo dono, fatto con speciale considerazione alla festa del centenario che qua si prepara, onora altamente il solerte editore, ed accresce la sua riputazione di amico sincero delle lettere, specialmente delle italiane.

Il Municipio di Ravenna, si è sottoscritto per 40 copie del Giornale del Centenario. Gli sieno rese pubbliche grazie pel generoso atto, il quale oltre il favore che porge a questa pubblicazione, mostra come quella illustre città sia sempre fra le prime quando si tratta di onorare il Divino Poeta.

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AGLI EDITORI DI OPERE DANTESCHE.

Gli Editori i quali desiderano che il Giornale del Centenario annunzi edizioni dantesche da loro pubblicate o da pubblicarsi, avranno diritto alla inserzione dal relativo avviso per sei numeri consecutivi, mediante l'invio alla Direzione di una copia dell'opera stampata, della quale sarà tenuto anche parola nella Rassegna Bibliografica del giornale.

Gli articoli letterari compresi nella parte non officiale di questo Giornale non si potranno riprodurre senza licenza della Direzione.

I signori Associati che avessero reclami a fare sull'esattezza dell' indirizzo del Giornale sono pregati a fare le loro rettificazioni al più presto, per evitare inconvenienti nel recapito.

Sarà cessata la spedizione del Giornale a chi non spedisce il prezzo d'associazione a tutto il 15 Marzo 1864.

Saranno tenuti per associati coloro che non respingeranno i primi tre numeri del Giornale.

G. CORSINI Direttore-Gerente.

1

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SOMMARIO.

Parte non officiale. - Studi Danteschi. Dichiarazione di un luogo della Divina Commedia, Dott. GIUNIO CARBONE. - Del Dottor Dante Allighieri, Prof. FILIPPO CARDONA. - Notizie. Avvisi.

PARTE NON OFFICIALE

Studi Danteschi

DICHIARAZIONE

d'un luogo della Divina Commedia.

Io vidi per le coste e per lo fondo
Piena la pietra livida di fori

D'un largo tutti e ciascuno era tondo.
Non mi paren men ampi nè maggiori

Che quei che son nel mio bel San Giovanni
Fatti per luogo de' Battezzatori;

се

Le associazioni per l'Italia si ricevono in Firenze alla Direzione del Giornale, alla Tipografia Galileiana di M. Cellini e C., e presso i principali Librai.

Incaricati generali per le Associazioni:

Per la Spagna e Portogallo, Sig. Verdaguer, libraio a Barcellona,
Rambla del Centro;

Per il resto d' Europa: Sig. Ermanno Loescher, libraio a Torino,
Via Carlo Alberto, N. 5.

L'un delli quali, ancor non è molt' anni,
Rupp' io per un che dentro v' annegava;
E questo sia suggel ch' ogni uomo sganni.
Inferno, XIX, 13-21.

In tra i luoghi difficili della Divina Commedia, mi sembra che sia da annoverare il soprascritto, nel quale si paragonano certi fori o buche dal Poeta immaginate nell' Inferno ad altri simili che usavansi nelle antiche Fonti Battesimali per uso de' Preti Battezzatori, i quali v' entravano onde poter con più agio tuffare nell' acqua i bambini che battezzavano (facendosi allora il Battesimo per immersione e non per aspersione come si fa ora), e affinchè essi Preti Battezzatori non fossero impacciati e pigiati dalla calca dei devoti spettatori. E qui toglie occasione il Poeta per accennare un caso a lui intervenuto, che fu d'aver rotto un di tali Fori nel Fonte del Battistero Fiorentino per salvare Uno che v' annegava, il che da taluni gli fu falsamente apposto ad empietà, ed egli con allegare la cagion vera della rottura si purga dall' accusa.

Sopra questo testo sorgono però alcune difficoltà prima delle quali è: Se quell' Uno che annegava, annegasse nel Foro o nel Fonte Battesimale; e se

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