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quasi unico, e condizione quindi indispensabile d'ogni coltura, e della stessa umana socievolezza; tanto che da Aristotele nella Fisica fu detto per eccellenza il sensus disciplinae. Il perchè si osserva che dove ne'ciechi-nati si trova agevolmente perfetto sviluppo della ragione, ne' sordi di nascita e perciò anche mutoli, l'uso della ragione è sommamente imperfetto. Che se tu fai ragione del più o meno alterarsi che fanno i sensi, quali istrumenti nel prendere i loro oggetti, non ti sarà facile determinare esattamente la varietà dell'alterazione cui sono soggetti; ma sembra al tutto che il gusto, ed in parte ancora l'odorato, unendosi materialmente co' loro oggetti, ricevano una mutazione più intima, che gli altri sensi. Ed è notevolissimo che l'occhio, il più prezioso per la sua nobiltà e per l'ampiezza del suo oggetto, è nondimeno, forse per la squisita dilicatezza del suo organismo, più degli altri soggetto a deperimento.

Corollario 1.o - Da siffatta dottrina deriva la distinzione tra l'oggetto materiale ed il formale del senso; in virtù della quale avviene che, dove si ritrova specifica o generica diversità nell'oggetto materiale, ivi spesso si trova specifica identità nell'oggetto formale. L'oggetto formale è quello che muta, che muove, che determina il senso a sentire: l'oggetto materiale è la cosa in sè stessa considerata, la quale ha la virtù di muovere il senso. Quale più grande diversità di quella che passa tra l'uomo e la pietra? E tuttavia in quanto visibili, ossia in quanto sono oggetti formali della vista, appartengono entrambi alla stessa specie, Laonde, sotto questo rispetto, la pietra e l'uomo hanno una differenza accidentale; laddove differiscono per sè il suono e il sapore, sebbene sieno accidenti, « Comechè (così insegna s. Tommaso) il suono ed il colore siano diversi accidenti, tuttavia per sè tra loro differiscono, rispetto alla mutazione del senso: e per accidens differisce l'uomo dalla pietra in quanto vengono sentiti, sebbene per sè differiscano in quanto sono sostanze. Nè in ciò è difficoltà alcuna; mercecchè può benissimo darsi una differenza, che sia per sè rispetto ad un genere, e che sia per accidens rispetto ad un altro » (1. c.). Corollario 2.° Gli è vero che la specifica diversità dei sensi esterni si deve desumere dalla specifica diversità degli atti, e questa da quella dei rispettivi loro oggetti; ma è altresì vero che l'essere gli oggetti appresi da diverse potenze sensitive ci fa segno della distinzione reale, che passa tra gli oggetti stessi. Conciossiachè se non vi fosse questa reale distinzione, ogni potenza con un atto identico gli apprenderebbe tutti. Perciò, sendo il senso variamente immutato, per esempio dal suono o dal colore, ci conviene pur dire che in sè il suono sia altra cosa dal colore. E per questo la provvidenza creatrice ha fornito l'animale perfetto di parecchi sensi, affinchè da lui la cosa, in quanto è materiale ed opera fuori di lui, potesse essere percepita sotto tutti, od almeno sotto i principali suoi aspetti. E così filosofa Aristotele e con lui l'Aquinate (De Anima III, Lect. I).

Conclusione III. Gli oggetti proprii de' sensi sono le qualità delle cose corporee.

La brevità che ci siamo prefissa nella esposizione filosofica delle cose fisiche, non ci permette di considerare questo punto con quella profondità di che sarebbe pur degno, Ne toccheremo tuttavia ciò che ci sembra più necessario e più utile.

L'oggetto proprio de' sensi esterni è ciò che immediatamente cagiona

nel senso una verace mutazione; ma ciò che così cagiona nel senso una verace mutazione sono le qualità delle cose sentite; dunque l'oggetto proprio dei sensi sono le medesime qualità. Infatti la prefata mutazione che segue nel senso è un effetto, che procede dalla cosa sentita come da sua causa. Ora cotesta causa o muta il senso in quanto è sostanza, o lo muta mediante le sue qualità. Non si può in alcun modo ammettere la prima ipotesi: a) mercecchè la sostanza sentita è una, e non potrebbe spesso presentarsi al senziente variamente, come di fatto avviene: b) inoltre, nessuna sostanza creata opera così, che la operazione, onde si manifesta al di fuori, sia la medesima sostanza: sola la divina operazione è la sostanza stessa di Dio; c) la sostanza è oggetto dell' intelletto, e solamente per concomitanza si può dire oggetto de' sensi: quindi la sensazione spesso può accadere in egual guisa, mutata la sostanza, che concomita l'oggetto proprio od il comune, nel che si asconde una occasione non infrequente di errori. Ad esempio, un uomo di cera potrà eccitare la medesima sensazione che un uomo reale. Adunque non è sentita la sostanza della cosa, sebbene sia congiunto con essa ciò che è propriamente l'immutativo del senso. Ma se non è la sostanza, dovrà essere l'accidente, e quello per cui l'oggetto del senso si dice quale, ossia la qualità. Così per esempio considera una mela: è una la sua sostanza: ma varie sono le qualità; e perciò a chi m'interroga: quale sia? rispondo che è dolce, rossa, tenera, saporosa, odorosa. Secondo coteste qualità essa opera diversamente fuori di sè. Opera altramente come rossa, altramente come tenera, altramente come dolce, altramente come odorosa, e se la scagli forte incontro al muro, darà un qualche suono, ed allora avrà operato come sonora, Io non voglio ora disputare intorno all'intima essenza di tutte coteste qualità; e mi basta aver avvertito che siccome le mutazioni diverse nei sensi non procedono immediatamente dalle essenze o sostanze delle cose, così debbono procedere immediatamente dalle loro qualità. Di che viene che gli oggetti primi dei sensi non sono le essenze o sostanze corporee, ma le qualità dei corpi.

Conclusione IV. Tra le qualità del sentito e la sua essenza o sostanza vi è reale distinzione.

Infatti: a) vi è quella distinzione che abbiamo mostrato nella Filosofia Prima correre tra la sostanza e gli accidenti, poichè le qualità appunto spettano al genere degli accidenti; ed abbiamo colà dimostrato che siffatta distinzione, è reale: b) Inoltre, se non ci fosse reale distinzione, vi sarebbe reale identità; ed in questo caso sarebbe la sostanza medesima, che immuterebbe ogni senso e che sarebbe oggetto loro o proprio o comune e per sè percepita; il che fu da noi testè reietto.

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Corollario. Qualora la divina onnipotenza supplisse alla causalità della sostanza, facendo quella che questa fa nel sostentare le qualità colle quali opera al di fuori sopra de' sensi dell'animale, la mutazione nei medesimi sensi dovrebbe essere la stessa, che sarebbesi fatta dalla sostanza mediante le sue qualità. « Sendochè, dice l'Aquinate, ogni effetto dipende più dalla causa prima, che dalla causa seconda. Dio ch'è la prima causa della sostanza e dell'accidente, può con la sua infinita virtù conservare nel suo essere l'accidente, toltagli di sotto la sostanza, dalla quale veniva conservato nell'essere suo, come da propria causa, a quella guisa che può il medesimo Iddio, senza bisogno delle cause naturali, produrre altri effetti

che da queste producono ». Quindi si vede come punto non contraddica alla ragione che nella Eucaristia, tolta di sotto la sostanza del pane, Iddio colla sua potenza tenga in essere qualità che prima erano prodotte da quella sostanza. Ancor si vede quanto falsa e pericolosa sia la dottrina di coloro che negano trovarsi distinzione reale tra la sostanza e gli accidenti.

Del modo nel quale si compie la sensazione esterna.

(LEZIONE LVII).

Se la mutazione ricevuta nel senso sia la sensazione.

Oggetto del senso esterno è ciò che questo percepisce, quando alla maniera sopradescritta riceve la mutazione da un oggetto estrinseco. Nelle quali parole chiaramente si vede che la mutazione prodotta dall'esterna causa non è punto la percezione del senso, ovvero la sensazione. Di fatti se così fosse, il sentire sarebbe non già un atto vitale, ma una pura passione. Se non che, trattandosi di sensazione esterna, altro non si richiede, per la vitalità dell'atto, che l'attiva percezione del senso, il quale si determini a percepire l'oggetto che lo muta. Nè è da credere che il senso esterno, dopo di avere ricevuta la mutazione del sensibile, la quale si può dire in qualche maniera immagine, specie, o vestigio del sensibile stesso (così è nella cera l'impressione del suggello), ne produca di per sè un'altra espressa immagine. Perciò l'Aquinate insegnava: « La cognizione del senso esterno avviene colla sola mutazione del senso fatta dal sensibile; laonde per la forma che gli è impressa dal sensibile, sente, ed il senso esterno non esprime un'altra forma sensibile» (Quodlib. 5. art. 9). Ma se la mutazione non è la sensazione, è ella almeno l'oggetto della medesima?

Conclusione I.

Il senso esterno non sente la mutazione ricevuta dall'oggetto, ma lo stesso oggetto che la produce.

Infatti il senso è incapace di riflessione sopra sè medesimo: ma se non si ammetta ciò che dicevasi nella Conclusione, vi sarebbe siffatta riflessione, poichè esso senso dovrebbe percepire appunto ciò ch'è in sè stesso. Ma perchè il senso non può riflettere sopra sè stesso? Eccone la ragione. Nessun ente corporeo può operare sopra sè medesimo, senza a) che vi sia distinzione di parti; b) e che una parte con moto locale muova l'altra. Perciò una stessa potenza organica ch'è corporea, non può percepire sè medesima ed i suoi atti o le sue passioni; attesochè se si supponesse in lei siffatta distinzione di parti si, che una fosse la senziente e l'altra la sentita, quella prima sarebbe la potenza e questa il suo oggetto, nè vi sarebbe riflessione nella stessa potenza. Ed inoltre egli è

1 Cum effectus magis dependeat a causa prima quam a causa secunda: Deus qui est prima causa substantiae, et accidentis, per suam infinitam virtutem conservare potest in esse accidens, subtracta substantia, per quam conservabatur in esse, sicut per propriam ca usam sicut et alios effectus naturalium causarum potest producere sine naturalibus causis (Sum. III, 77, 1.).

chiaro che la identica potenza corporea non può con moto locale muovere sè stessa, come un braccio non può percuotere sè medesimo.

E poi da ciò che avviene in noi, possiamo bene argomentare di tutti gli animali. Col senso che cosa mai noi percepiamo? La nostra mutazione, overo quello che la produce? L'esperienza ci attesta che noi percepiamo quello che produce la mutazione, e sopra di quello si versa la nostra diretta sensazione; di questo noi abbiamo certezza, non già della mutazione: la quale è una modificazione soggettiva del nostro senso, e da noi non è conosciuta che per riflessione dell'intelletto.

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Corollario. Dalle cose discorse segue che la sensazione, senza l'oggetto esterno sentito, è impossibile. Nella quale affermazione è d'uopo distinguere la immaginazione dell'oggetto sentito co' sensi esterni dalla sensazione esterna. Quella si può avere per certo senza cotesto oggetto, come vedremo; ed un delirante od un dormiente può bene confondere l'oggetto fantastico, ossia l'oggetto presente all'immaginazione coll' oggetto esterno presente al senso. Ma ripetiamo: la sensazione, che non è la percezione della mutazione soggettiva, ma è la percezione dell'oggetto, non può aver luogo senza di questo. Però qualora uno spirito operasse nel senso a quella guisa che opera il colore od il suono, senza recare innanzi al senso, colore o suono, per certo non ci sarebbe la sensazione esterna di siffatte qualità. Nè reca difficoltà il vedere che si fa talora ad occhi chiusi dei punti luminosi scorrazzanti o dei circoli variopinti o dei globuli rosseggianti, specialmente dopo di avere fissato lo sguardo nel sole; mercecchè tutto ciò che in tali casi si vede sta innanzi alla pupilla (sebbene sia entro l'occhio) e la muta, e la pupilla animata lo apprende come vero suo oggetto. In simile guisa si discorra dell'udito, nel quale talvolta resta il rimbombo e quasi l'eco di grandi strepiti uditi, e che pure cessarono; è come il pianoforte, le cui corde seguitano un tratto a fremere dopo una concitata sinfonia.

Vi fu chi ragionò in questa guisa: Noi vediamo degli oggetti là ove non sono, anzi possiamo vedere oggetti che esistettero da noi distantissimi, come si può dire di certe stelle lontanissime, che potrebbero non più esistere in sè stesse nell'istante in cui le veggiamo. Dunque si può avere l'esterna sensazione senza l'esistenza dell'oggetto. Ma la conseguenza è affatto contro la logica. Imperocchè il fatto solo prova che l'oggetto visibile non si apprende in sé ma in medio, ossia come esistente in quel mezzo il quale viene a contatto fisico coll' organo della vista. E quando noi diciamo che è impossibile la sensazione esterna senza la presenza dell'oggetto (perchè il senso esterno non sente la sua mutazione, ma l'oggetto che la produce) non intendiamo giammai di dire che l'oggetto debba attualmente esistere in sè stesso piuttosto che nel mezzo prossimo al senso. Ma e chi non sa che nella visione di ogni oggetto visibile il simulacro dello stesso viensi a formare coi raggi luminosi che successivamente ondeggiano fino alla pupilla? Perciò poi che si attiene alla distanza o al luogo dove l'oggetto in sè esiste, ciò non viene per sè riferito dal senso della vista.

Se non che non è punto a meravigliare che da alcuni dicası possibile la sensazione esterna senza il suo oggetto proprio, poichè cotesti ignorano del tutto che cosa sia la sensazione esterna, ed arrivano ad ammettere che si fa essa dalla sola anima previo un moto solo mecca

nico ed atomico in un corpo, cui dicono quella, non si sa come unita. Di che avviene che ammettono eziandio un altro grossiero errore qual è quello di concedere la possibilità di vedere col calcagno del piede, e di udire la musica colla punta della lingua; perchè, dicono essi, non ripugna che in tali parti si desti un moto meccanico simile a quello che si desta nelle parti cui diciamo organo della vista e dell' udito. Simili errori non si possono diradare che con lo studio e con la scienza, perchè provengono dalla ignoranza e dalla inconsideratezza.

Conclusione II.

Il senso esterno percepisce alcuni oggetti immediatamente, altri mediatamente.

Colla soprascritta Conclusione si asserisce che alcuni oggetti, unendosi al senso, producono nel medesimo quella mutazione colla quale sono sentiti; altri rimangono lontani dal senso, e lo mutano operando in esso per mezzo di una sostanza mediana.

Infatti la sperienza ci dice che il saporoso ed anche l'odoroso mutano immediatamente i sensi del gusto e dell'odorato, recandovi una vera alterazione: il tatto ancora è modificato dalla immediata presenza del suo oggetto, o molle, o duro, od altro che sia; laddove il colorato ed il sonoro debbono giungere per un mezzo a modificare la vista e l'udito; tanto che il loro immediato contatto col senso renderebbe spesso impossibile la sensazione.

E qui si vuole distinguere il contatto dei sensibili colle facoltà senzienti, dal senso speciale del tatto. Conciossiachè ogni sensibile per essere sentito debba unirsi con la facoltà senziente, è necessario che le venga a contatto. Perciò ogni sensibile immediatamente o mediatamente deve toccare la rispettiva sua facoltà sensitiva: ma ciascuna di queste facoltà, che non sia quella del tatto, sente il sensibile in maniera affatto diversa da quella, onde lo sente la predetta speciale facoltà del tatto. La vista che cosa conosce della durezza dell'oggetto? Forse che l'udito percepisce il molle dell'aria? Il percepire siffatte qualità non è loro proprio.

Se agio di tempo vi fosse, vorrei pur trattenermi nello svolgimento scientifico dei varii oggetti dei sensi esterni, adoperando la profonda dottrina di S. Tommaso; ma poichè così non posso fare, come a saggio del resto, mi piace recar qui alcune sue dottrine sopra la luce e la sua diffusione; dalle quali si vedrà, che sebbene al suo tempo, intorno a tale soggetto, non si fossero avute quelle infinite esperienze che si ebbero poi, tuttavia le speculazioni dell'Aquinate anche al presente, a chiunque sa intenderle, debbono parere nobilissime, siccome quelle che nulla avendo perduto della natia loro freschezza, possono ben dirsi antiche; ma antiquate nè sono, nè saranno giammai.

Se tu dimandi all'Aquinate che cosa sia la luce, ei ti dirà che essa è l'ipostasi dei colori, ovvero ciò in che i colori si fondano: est hypostasis coloris, quia in natura lucis omnes colores fundantur (III. dist. 23. 2. 1.). Ma non credere che secondo S. Tommaso la luce sia l'ipostasi od il sostentacolo dei colori, come è nella pittura la tela, si più presto come è il tutto della parte; poichè, secondo lui, il colore non è altro, che una luce non piena, non compiuta, ma quasi offuscata da tenebra: Color nihil aliud est, quam lux quaedam quodammodo obscurata. (De Anima, IT. Lect. 14).

La luce poi non ti reca solo la iliuminazione, ma sì ancora il ca

Cornoldi

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