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mon coeur, alzossi risoluta essa pure, e rubiconda un pochetto per la bizza tolse per mano l'avvenente Sinibaldo; lo trasse in mezzo e anch'essi ballarono la ballata. A costoro altri danzatori succedettero, alle ballate tenner dietro le stampite, le quali erano certe canzoni lunghe accompagnate col suono. Ora le une frapposero alle altre, e in questi sollazzi due o tre ore passarono rapi. damente.

Ma Dante, Dino Compagni e Dino Frescobaldi in sul primo muovere delle carole si erano riparati all'ombra di alcuni lauri, che proteggevano una fontana da un lato del giardino. Altri cavalieri si raccolsero altrove.

Era quel giardino di non comune bellezza, massime ove si rifletta allo spirito degli uomini di quel tempo; i quali seguaci ancora delle tradizioni e delle preten. sioni faudali, d'altra cosa non avean cura che di fabbricare saldi di muraglie e di torri i palazzi sì in città che in campagna: e questi della campagna, quando più erano formati a difensione che a diletto, si appellavano manieri. Di giardini poi, d'abbellimenti e di delicature non avean vaghezza gran fatto. Gli uomini, dice la storia, riponevano anzi tutto le loro compiacenze nella buona tempera degli spadoni a due mani, delle mazze d'arme, delle alabarde, degli usberghi, de' giachi, degli elmi e degli scudi: essi, meglio del fasto e del lusso, amavano stringere fra le cosce buoni cavalli, i quali ausavano a volteggiare destrissimi, e a caricare in battaglia poderosi e intrepidi.

L'insolito ornamento di stipi, di orerìe, e di strati che presentava l'interno del maniero, conciliato il tutto bellamente con questa militare architettura; inoltre l'ottimo gusto ond'era ordinato il giardino e il bosco, era tutta opera del mansueto ingegno di Forese. Il vecchio e Corso per una parte, Sinibaldo per un'altra, non potevano certo rivolger l'animo a queste quisquilie di giar. dino e di villa.

Lungo il fianco orientale del castello era una distesa di piano quadrato e compartito in vialetti, che tortuosi e smaltati di minutissima ghiaia si annodano al centro. Là trovavasi un'ampia peschiera decorata ai quattro rettangoli di statue che rappresentavano alcuni numi silvestri, e piena dentro di pesci di molte generazioni. I più d'infra essi erano tinti di un corallino fiammante, molti ve n'avea colla scaglia d'argento, altri erano dorati, cilestrini, grigi, e in cento altre maniere brizzolati e la limpidezza delle onde facea viepiù risaltare que' graziosi colori i quali scintillavano di accesi sprizzi massime quando il sole vi dava dentro. E' sembravano, a vederli, piropi, topazj, crisoliti, ametiste, agate, legati in argento. Vaghe areole di svariate forme e grandezze abbellivano quegli spartimenti, e avevano gli orli, o come oggi francesemente si dice, le bordure di fragolette boscherecce e di quelle grosse dall'odor di vainiglia: alcuna volta l'intorniamento era di viole mammole e di mughetti. Disposte concentricamente alle bordure erano, in alcune di esse areole, tutte le ragioni di roseti che mai possa aver giardino; e in mezzo dove una dove altra delle piante più pellegrine. Ma altre areole invece di roseti avevano ogni sorta di viole, di gigli, di giacinti, e anemoni e peonie, e dittami ma chi tutta potrebbe annoverare la famiglia de' fiori di Forese? Altro simile giardino continuavasi a questo adiacendo dalla parte del mezzodì; se non che esso, più angusto, prolungavasi d'alquanto e all' estrema siepe, a schermo dei bollori di state, aveva come una barriera d'alberi nostrani e forestieri. Colà mille pianticelle erratiche e principalmente le madriselve, maritavansi bellamente alle sefore, agli olmi olandesi, ai platani, ai tigli; i quali tutti, eccetto le sefore, elevandosi dirittissimi consertavano le chiome e i rami, e facevano così una frescura e un'ombra grata. In fondo nel bel mezzo d'un laureto gorgogliava la marmorea fontana, ove Dante sedeva:

dopo avere irrigato il giardino essa andava a metter foce nella peschiera. Dietro poi a codesta diga di albereto distendevasi, alquanto salendo, il pomiero de' meli comuni, degli alber-cocchi, de' peschi, de' peri, e delle viti. Di lì finalmente aveva principio un largo tratto di foresta ombrata di querci, di pini e di castagni amena ol. tre ogni dire e quivi Forese erasi dato briga di aprir viali per buono spazio di luogo, e ornarli di recessi erbosi e di capannelli formati di mortelle, di bossoli e di allori. Qualche statua di Pane o di Silvano, o qualche Cerere abbelliva i capi e i crocicchi di que' viali. Là a dir breve il nostro sposo aveva saputo adunare le ombre della state, i fiori della primavera, le delizie dell' autunno, e i frutti di tutte le stagioni.

Le donne e i giovani stanchi alla perfine del ballo s'erano incamminati la più parte ai lauri dov'erano Dante e i due amici, e vi comparvero in quella che il poeta

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dava principio alla declamazione di una sua novissima poesia. In buon punto, amici, disse il Compagni :

assidetevi e udirete la canzone che Dante nostro compiè pur ieri. E Dante come ripigliando un discorso interrotto diceva ai primi due:

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Allora, dico, la mia lingua parlò quasi << come per se stessa e disse Donne, che avete intelletto « d'amore! Queste parole io riposi nella mente con grande << letizia, pensando di prenderle per mio cominciamento; << onde poi ritornato alla città, pensando alquanti dì, co<< minciai una canzone con questo cominciamento, or. << dinata nel modo che si vedrà. La canzone comincia << così:

Donne, che avete intelletto d'amore,

I' vo' con voi della mia donna dire;

e qui seguitò la canzone (1).

Fornitane la recita, intendenti e non intendenti alzarono un plauso generale. Ma invero alcun passo era sembrato non molto piano alla maggior parte di loro; di che il Frescobaldi, bello d'animo e di cortesissime maniere, quantunque maestro fosse in rime e tutta la riposta ragione avesse afferrato del componimento, quasi per altrui facendosi ignaro, favellava, sorridendo al poeta:

Noi per fermo ti sappiamo grado, e grazie dei tuoi doni ti rendiamo, o Alighieri. Ma le belle figlie che la nobile tua musa alleva, e al guardo nostro appresenti, sono d'altra parte così nel viso talora velate e nella persona, che la mia pupilla, debole qual' è, non basta a coglierne tutta e fruirne la divina beltà: onde pregoti ne voglia tu dividere e disgombrare alquanto di questo velame, perchè meglio le onestissime forme ne sia dato mirare. Perdonami questa similitudine; tu sei come il regal fiume del Rodano, il quale vicin di Gi nevra dal bellissimo lago che i tramontani appellano Le

(1) V. Vita Nuova.

mano esce bello ed abbondevole; poscia di repente e' si cela sotto enormi sassi per alquanto cammino e lascia così il viandante scemo di sua maestosa compagnia. Breve, a dir vero, è l' amaritudine, chè tostamente fragoroso e spumeggiante risolleva le inabissate onde e le selve e ville benefico rallegra e feconda.

Dante senz'altro udire soddisfece alla sua richiesta ; e poichè ebbe ciò fatto porse il manoscritto a Casella, che diligentemente avvoltolo se lo celò in seno: egli doveva arricchirlo di sue melodianti dolcezze.

Molte savie considerazioni alternaronsi fra costoro e principalmente fra l'Alighieri e Dino Frescobaldi : anche Rossellino della Tosa, giovane d'anima poetica e dotto di volgari e di latine lettere, mostrò dirittura di giudizio. Non poco letterario valore parimente si parve nelle osservazioni che fece al Compagni messer Geri Spini.

Grande era il caldo, pure allettati dalla amenità del luogo uscirono del capannello e si misero giù per il viale maestro del pomiero facendosi riparo al sole di certi giovani platani, i quali dal fianco sinistro l'om breggiavano alquanto. Indi pervenuti al folto del bosco e in quello inoltratisi una gittata di pietra, trovarono ivi gli altri compagni che intendevano a colloqui animati e di materia diversa assai. Messer Corso stava diritto e taciturno, appoggiato il dorso al tronco di un vecchio leccio; messer Barone de' Mangiadori da S. Miniato, Rosso della Tosa, Giachinotto de' Pazzi, Cecchino de' Bardi, Pino degli Aliotti, e Cione de' Visdomini erano seduti quali nelle verdi zolle, quali su certi rustici scanni che a bella posta erano ivi locati ad emiciclo. Di fronte a masser Corso e cogli occhi a lui dirittamente in resta, vedevasi la vivace e smilza figura di messer Guillaume, il balio d'Amerigo. Chiunque avesse mirato quello sguardo trafiggente, le mosse, il fuoco di questo soudard, gli sarebbe stato mestieri dire, costui essere un genio della Piccarda Donati

Disp. 5.

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