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Donati, e la pace bellissima contemplando che in famiglia si verrebbe a ristabilire; ella cedè alle loro preghiere, rimostranze e minacce, facendo promissione di brigarsi a tutto potere perchè i costoro desiderii venissero appagati. E subito anch' ella si accinse alla faccenda !

Pensi ognuno che dolorosa impressione ricevesse Piccarda al palinodico linguaggio della fidissima sua: ella sentì per un momento isolarsi nel più amaro abbandono, ma fu un momento, imperocchè cercatasi nel fondo del cuore rianimossi di subito a fiducia. Se i congiunti anche più amabili ed amanti le volgevano le spalle, Iddio viepiù invigorivale lo spirito e le diceva: non temere, son teco. Pure al raddoppiare delle nuove preghiere di Nella mille dubbi le entrarono in mente a molestarla e pensava fra sè come mai tanto diverso sentire? sarà vero che non mi fosse inviato da lei il libretto delle preghiere falsato e contaminato di quelli affetti profani? Ma ella dice che il vide sparire di questa camera senz'altro saperne, ed io al suo detto voglio prestar fede; via dunque ogni dubitazione e oriamo al Signore. E la cognata di lì ad un istante a rinnovarle caldissimi scongiuri, e dire come le sembrasse quello (le nozze di Rossellino) essere il voler di Dio, come questo passo porrebbe rimedio ad ogni male. Piccarda con un mesto sorriso finalmente le rispose:

Sta' tranquilla, o mia cara, lo porrà Iddio rimedio ad ogni male!

Il terzo giorno dacchè fu ritolta al monastero, quando più fervea l'opera di tutta la famiglia a persuaderle il maritaggio, e in cuore con alterna vicenda le scendevano consolazioni e desolazioni, apparve a casa i Donati un uomo di loquela romanesca, che al primo osservarlo in vesti succinte e polverose, con sembiante ben colorito, con membra asciutte e gagliarde si vedeva essere cavallaro, o sì veramente come oggi direbbesi un cor

riere. Egli mostrò una lettera e diceva che in passando dal convento di Santa Maria degli Angioli un frate gliel ebbe raccomandata con gran diligenza perchè la recasse in proprie mani ad una nobil donzella fiorentina per nome Piccarda Donati. Aspasia ne diè subito notizia a Piccarda, ma volle prima ammonirla che se con quella epistola il noto frate osasse farle per avventura i consueti conforti si guardasse bene dal porgergli ascolto : dopo ciò lo straniero fu condotto in una sala e la fanciulla prese da lui la lettera. Guardata la soprascritta e visto il carattere di fra Masseo tornossene con Nèlla alla sua camera per ivi leggerla ad agio. Ma là pure sofficcossi Aspasia e dietro lei Corso e Simone. Gli occhi tenevano in resta sul viso di Piccarda, che lentamente e con un certo imbarazzo svolgeva la carta; anzi il vecchio le si postò, quasi incubo, alle spalle per carpire da per sè il contenuto, ma la sua vista era torba e non iscorgeva sì fattamente che valesse.

Animo, figliuola, egli allora le disse; leggete a voce chiara, non vorrete io penso, tener credenza col vostro genitore e co' propinqui di cosa del mondo. In famiglia non vuolsi aver segreti nessuni.

La fanciulla squadrò la lettera e impalidì: guardò la segnatura ed uscì in un fuggitivo atto di sorpresa. Con tremola voce ella lesse queste parole:

«

<< Amabile e virtuosa donzella.

<< Non maravigliate se queste righe vi appaiono scritte con mano men franca di quello io fossi uso, perciocchè io sono a termine di morte e morrei disperato quando dovessi presentarmi a Dio giudice con un enorme peccato, che con vampore d' inferno l'anima mia tor. menta. Ringrazio il buon Iddio che tempo e volontà mi abbia dato di farne ammenda, come ora di tutto cuore intendo fare, e dicovi dinanzi al Signore: o Piccarda

Donati, io v'ingannava crudelmente quando vi distolsi dalle nozze a voi dal cielo destinate e dalla terra, e perfido per odio al padre vostro vi cacciava al monistero. Dio mi perdoni la scelleranza, ma vano per avventura per me sarebbe lo sperarne perdono, se voi non dispo siate il nobile e virtuoso cavaliero della Tosa. Piccarda! accettate il partito, per amore di Dio accettatelo incontanente così a voi procaccerete felicità, la salvazione dell' anima al vostro indegnissimo

<< Frate Masseo. >>

Sia lode al cielo esclamò Simone levando in aria ambedue le braccia: meglio una volta che mai! si converte all' ultim' ora, è per verità un po' tardi, chè poteaci avere di molte amarezze risparmiato: pure facciamogli tutti piena assoluzione e perdonanza. Dimmi, Piccarda, chi era l'ingannatore tuo padre o costui!

Io godo, disse Corso, che da te abbi toccato con mano se tuo padre, io ed Aspasia volevamti male, il male di morte che ti andavi fingendo, ovvero altri.

Mi si dava sulla voce, salta su Aspasia, mi si strombazzava per femmina scredente: Dina, avev' io ra. gione?

In questo frattempo il fratello poeta fregavasi rapidamente le mani, un sorriso di compiacenza allietava il suo pingue sembiante e pensava in cuor suo : eccomi offerta un' eccellente occasione per cogliere nuovi allori in Parnaso.

Nella poi brillava di purissima gioia: la ritrattazione del frate moveala un momento a maraviglia e compassione per l'errore di lui, ma dopo quel momento si sentì entusiasmata a benedire il Signore, il quale met. teva fine una volta alla quistione di Piccarda.

E Piccarda, stette muta, ferma, col guardo teso innanzi ed immobilmente estatico. Il suo volto in quel

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momento avea proprio una sublime espressione. Poscia mirò gli astanti, e incontrato lo sguardo del vecchio su di lui lo affissò; egli allora dolcemente prese a dirle : Figliuola mia! finchè mi duri la vita sarà breve, son vecchio io porgerò vivissimi rendimenti di grazie a Dio perchè con irrefragabil testimonio t'abbia mostro alla perfine la tua vera vocazione, e lo ringrazio altresì perchè me pure egli siasi piaciuto di glorificare, aperta facendoti e manifesta la verità delle mie parole. Sbandeggia intanto dal cuore ogni turbamento, e mandiamo tosto a chiamare il tuo fidanzato per istabilire con esso il dì e la pompa di questo santo matrimonio: dobbiamlo chiamare stasera Rossellino ?

A queste parole ella dardeggio confusamente le pupille, esalò un gran sospiro, e senza risposta profferire si mosse verso il domestico oratorio.

Lode a Dio! ripetè con grand' enfasi il vecchio: è venuto finalmente il suo consenso.

Per consenso sfido se possa darsene uno più chiaro, notò acutamente Forese; solo pare che le sia costato uno sforzo, un sacrifizio incredibile; ma lo cantò il Venosino nil sine magno vita labore dedit mortalibus. Ora dunque, figliuoli, su di gran lena, ognuno all' opra. Tu, Corso, vola da Rossellino: sarà un grande e soavissimo colpo. ma già! non mi rammentava d'avergli io scritto e dato la cosa per fatta...

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Oportet esse memorem!

per riverenza il mendacem.

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- gridò Forese lasciando

Digli impertanto che stasera . . .

Sarà meglio dimattina, osservò Corso; per ora abbiamo ottenuto assai, non tiriamo di più la corda che la non si rompa.

Che dunque dimattina all' ora del visitare venga quivi dalla sua Piccarda per fare intanto il toccamano in presenza del prete, per istatuire il giorno beato, faustissimo, sospiratissimo delle nozze che io al suo ritorno

farommi un preciso dovere di recarmi con essolui da messere Odaldo per trattare della dote: che su questo noi da buoni padri ci troveremo d'accordo in due parole (duolmi però che queste doti per la infernale avidità le vadano ognidì rincarando; benedetti i tempi di Bellincione, con cento lire se n' usciva): che nostro de. siderio e della fanciulla si è lo sbrigare la faccenda entro pochissimi giorni, e nella settimana ove possibile sia per parte loro; dal canto nostro siamo in pronto anche per diman l'altro.

...

Bravo il messere! soggiungeva Aspasia con ironico atteggiamento. Ben vo' siete sperto nello abba. care e nel fare economia e restrizione sottilissima di spese; in questo anche usate il soperchio: ma per le cento e mille cosette che a sposa novella son bisogne. voli non ne sapete un fico. Altro vi vuole che un paio di giorni! Non tenendo pur conto di quella tosatura da Vandali che fu fatta sul capo di Piccarda (al che io rimedierò alla meglio colle trecce di seta gialla e bianca, e questo ornamento lo appellin pur disonesto e trasna. turato a lor grado i nescienti (1), che per me è bello e d'ultimo gusto); dove ha ella, ditemi, i merletti e i veli d'Alessandria, dove le contigie alla persiana, i broccati a rosoni, i rarissimi zendadi vellutati per l'abito nuziale ?

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Oh, ma co' gioielli, de' quali potrete ricoprirla, voi rimedierete di leggieri alla poca modernità delle vesti. I gioielli, messer mio, voglionsi tutti rimettere nelle mani dell' orafo; è mestieri aggiustarli, ripolirli, ed alcuni incastonarne di nuovo. Oh, sì belle quelle frasconaie all' antica! graziosi que' pendentoni ch' erano in uso nel cento! Oltrechè rammentatevi che fra i suoi gioielli non v'è neppure una grammatìa, e le sono ne cessarissime. E poi .

(1) Così lo chiama Gio. Villani, X, 150.

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