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possa arrivare a dispensar moneta, quanta ne può Romeo sparnazzare e riversare a cianfa ? Fanciullaggini : anzi il Donato se non ha senno non riporterà sane le costole a Fiorenza, e quello sarà la signoria che si va mulinando; il Pepoli poi, perchè ha molto denaro e poca riverenza alla Chiesa, stremerà d'assai il suo avere e saranne cacciato per giunta (1).

Ma che aspetto feroce e brutto quel corriero! E prepotente al sommo: quando si fu rialzato correva verso il palagio del podestà anelando e gridando a tutta gola: mettete fuori un cavallo, assassini: a me un cavallo! un cavallo, razza di cani, perch'io arrivi più presto dal vostro podestà. Nessuno gli dava ascolto, ma attoniti guardavano il nuovo uomo concio dal fango così che Dio tel dica: basta, e'n' aveva de' piastroni infino negli occhi! parevano quelli del verro quando altrui vuole assannare.

Il corriere era Farinata; e detto ciò è spiegata la maraviglia che si faceano costoro di sua deformità, prepotenza e fierezza.

Trovò Corso a mensa; egli era di buon umore al lora, le cose gli correvano piuttosto prospere, e l'avvenire gli si offriva anche più lieto. Ma quel giungere così impetuoso del fante, quello sbarramento d' occhi più.si. nistro, quel forzato aggrinzare di guance che per Farinata era riso, per i riguardanti spavento, rivestirono di subito a Corso la faccia prima di vermiglio, poi di turbamento feroce. Si terse la bocca, e lesse la lettera di Simone.

Offenderebbe certo le orecchie de' lettori il riportare

(1) Romeo de' Pepoli, che era quasi il più ricco cittadino d'Italia, fu cacciato di Bologna nel 1321, con tutti i suoi aderenti per opera principalmente dei Beccadelli e di altri nobili di quella città; il figlio di lui, Taddeo, dopo la cacciata d' un legato papale, coll' aiuto de' marchesi di Ferrara suoi parenti, giunse a farsi signore della patria il dì 28 agosto 1337. Vedi coincidenza di tempi e di persone!

la empietà delle parole proferite, esclamate, abbaiate da Corso Donati in questa occorrenza limitiamoci però ad accennare alcuni atti di rovello e innanzi tratto premettiamo che Farinata, appena che il padrone prese dalle sue mani il foglio per leggerlo, die' di piglio alla boccia del vino e così alla buona recatasela alle fauci l'ebbe vuotata d'un fiato. Manco male, perchè al gran colpo che messer lo podestà sparò sulla tavola la boccia sarebbe ita in frantumi, come avvenne dell' altra dell' acqua. Egli percorse con grande velocità il restante della lettera, poscia alzandosi l'accartocciò, la cincischiò, la strappò fu. riosamente in minutissimi trinci, stralunando gli occhi, battendo i piedi, stridendo i denti in molto orribile maniera.

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Farinata, a cavallo nel momento!. . . . (Corso ciò dicendo chiude con impeto la porta della stanza e sfodera una spada). Farinata! giacchè tu, il vecchio imbecille e tutti gli altri vi siete lasciati vincere, sopraffare e trionfare da una monella, torna indietro, per . . . ! se non vuoi uno sdruscio nella cotenna. Patti chiari siamo a quattr' occhi, non v' ha testimoni che mi possan condannare: io t' ammazzo di mia mano se non rimediate in. contanente a quest' obbrobrio.

Lo sgherro questa volta s' astenne dal ridere e dopo accertatosi, così non parendo suo fatto, che il manico del pugnale gli stava tuttora al fianco, fece un passo indietro quasi a riverenza del suo signore, e rispose:

Avete ragione, ma io non vi ho colpa una zeta. Non potevo vederla andarsene, perchè non v'ero al por tone quella notte.

Ah, impiccataccio, poltrone! così ci rimeriti del pane? Alla tua malora: dov' eri andato quella notte, in corso per avventura? Chi ti fece facoltà d'abbandonare la consegna?

Un padrone di casa; e quando vi dico questo dovete darmi ragione e raumiliarvi. Madonna Nèlla vostra cognata e mia padrona con mille sdolcinature e lazzi e svenevolaggini venuta a basso e vistomi colà alla soglia dell'entrata, mi ebbe persuaso di andarmene quella sera a casa mia, intantochè v' andai. Povero Farinata, ella mi venia dicendo tutta caritosa e rugiadosa, povero Farinata, n'avrai avuto davanzo del freddo in queste notti passate; per me va' pure a casa a riposare; in cotesto pancaccio ed a questo fiottare di rovaio tu ci morrai agghiadato: oh, non tollero che tu sostenga per noi misagio cotanto, siam pur fratelli tutti in Cristo; va'poverino a giacere nel tuo letto, basta che sii qua di buon'ora dimattina. Messere: i consigli de' padroni per me son comandi; questa volta, come sempre, io ubbidii il comando.

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Il caso d'Uria! mormorò Corso fra' denti. Rimase tacito e rugumava in sè questi pensieri: ma Urìa fu più galantuomo di te, egli non volle andarvi a casa; tu... tu avrai la stessa paga finale. Un re santo a lui uomo dabbene diede per paga la morte: io non re, e santo molto meno, a te uomo non dabbene e non galantuomo indovina mai che guiderdone alla fine dovrò dare! Ma ancora è presto. Seguitaronsi alquanto in questa altercazione, nella quale però Corso andava gradatamente scemando di sdegno e di pretensione. Cosa giusta e naturale: anco la pentola bollente col dar fuori spenge il fuoco che fu causa di suo bollore. Farinata poi cresceva di baldanza all' avvenante che in Corso di minuivano le furie, e fu tale e tanta, dico la baldanza, che non volle nemmeno pigliarsi la noia di scendere a mangiare in cucina: volle mangiar proprio lì alla mensa imbandita per il suo padrone, il quale lasciando per quel giorno il pensiero di terminare il pasto, si chiuse nella prossima sala a rispondere al padre.

Mi domanderà forse taluno: perchè non correre co.

stui difilato a Firenze? Non era negozio di grave inte resse? perchè scrivere? Chi vuol vada da sè, chi non vuole scriva e mandi.

Verissimo; ma Corso d'altra parte aveva troppo buona ragione di non muoversi subito, e per meglio an. darne persuasi ascoltiamo le sue stesse parole che sopra questo punto scriveva a Simone. Dopo le esclamazioni, le apostrofi, le imprecazioni, le minacciose aposiopesi, i sarcasmi e via via tutte le altre più gagliarde figure rettoriche che a lui, sebbene non rettorico, fioccavano giù nella carta in copia maravigliosa, discese a fare accorto il padre di sua breve tardanza e scrisse : « un << giovane donzello de' Goggiadini fedì a morte il sini<< scalco de' Rodaldi, per lo che quegli dovrebbe dimani << esser dannato nella testa: messer Giovanni padrone << del donzello si morrebbe d'ambascia se il fatto an<< dasse così, tanto a lui è caro questo giovane; mi << priega perciò che io abbia pietà di lui nella conden. << nagione, e voglio averla. E sappiate che i Goggiadini << sono consorti di messere Romeo, e mi mandano di <«< cendo in gran credenza di darmi un premio di fiorini « due mila . . . vendo anche il cuore! Dimattina imper<< tanto sarammi tratto dinanzi, ed io senza manco ve. << runo assolverollo. Nascerà un tambusso, un finimondo, << sorgerà fiera contenza fra' Rodaldi e i Goggiadini, e << per la consorteria loro e affinità in fra Pepoli e i Bec<< cadelli, e con questi sveglierannosi i Sabatini e i Bo<< vattieri che preme a me? Intanto stasera a gran notte <<< mi recheranno i due mila fiorini, questo è l'argomento << degli argomenti. Però vi dico che non posso lasciare << sì ghiotto boccone, onde fino a dimani dopo il mez. << zodì non mi diparto di Bologna. »

Egli era vero figliuolo di suo padre. Ma torniamo a ritrovare la nostra Piccarda.

Ella era sempre piena di confidenza in Dio e nes. sun cimento per arduo che fosse arduo che fosse anche più arduo che

non quelli finqui sostenuti ne l'avrebbe potuta ismuo. vere. Nulla dimeno però la venuta di suo padre al monastero, l'accompagnatura di Rossellino, il brutto rapi mento de' gioielli, il sacrilego tentativo di penetrare nel chiostro, le avevan messo in cuore una pena che tutto glielo sconvolgeva e tempestava aspramente. La malin. conia, per quanto la donzella si brigasse di cacciarla da sè, era venuta a sederle ostinata sul volto, e quel volto ineffabile si attenuava e scolorava, le labbra non avevan più il bel cinabro, tremolavano d' un brivido convulsivo: ella tenevale costantemente aperte perchè il so. spiro come onda rattenuta, non erompesse sensibile agli orecchi delle buone compagne. E con questo i brevi sonni della notte eranle conturbati da terrifiche apparizioni ed ansie mortali: e quando vedeva il feroce fratello spirante rabbia e strage comparire ne' corridoj, fiottare di pugni e calci le innocenti suore: avvinghiare lei stessa per la vita e condurla inesorabilmente al talamo del giovane Tosingo; e quando sentivasi strozzare dal fumo dell' incendio onde l'implacabil suo padre aveva fatto circuire il monastero, e ne vedeva le fiamme avventarsi in lin. gue vorticose alla finestruola della cella, sentiva il crepitare delle arse masserizie e lo scroscio dei palchi che fragorosamente rovinavano gli uni sugli altri. Ella balzava esterrefatta, si stringeva al petto il crocifisso donatole dalla badessa, e lo spavento colla falsa visione s'estingueva - ma la pena durava salda negl'intimi re. cessi del suo petto. E n' aveva ben d'onde la poverina. Sapeva a prova che tempra d'animi s' avessero i suoi congiunti; di che fossero capaci; e pure molte volte al dì per essi ferventemente pregava!

La badessa, che donna discreta era e di cuore assai tenero, avvedutasi di questo cambiamento si diede tosto a sovvenirla con tutta carità; e affinchè una soverchia premura, da lei medesima esercitata in persona a favore della novizia, non facesse sorgere ammirazione nella clau.

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