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pitano un messer Amerigo di Narbona, giovane quanto bello di corpo altrettanto inesperto di guerra; per buona ventura ebbe l'avvedutezza di porgli ai fianchi col titolo di balío un bravo veterano.

A suo tempo noi vedremo questo vecchio morire da valoroso in un campo di battaglia.

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na sera in que' primi giorni di nozze sul verone del giardino dei Donati stava solitaria una fanciulla, la quale con accento passionato diceva:

Vieni mia dolce madre, e favelliamo insieme ora che i cieli sereni predicano la glo. ria di Dio! Perchè non verrai in questa sera a confortare la tua povera orfanella? questa sera compie il second' anno che salisti nel cielo. O quali anni per me!... ma no; perdona il linguaggio palustre : belli anzi, splendidi del riso celestiale, perchè la figlia gode la gioia della madre fatta divina.

Ma in quale spera ti debbo cercare? Io mi sono un atomo, un punto impercettibile oscuro su questa palla di fango che mondo si appella: infermissimi i sensi come potrà la mia pupilla ravvisarti? Madre, tu regni con Cristo, perchè agevole ti fia lo impetrare che i

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miei occhi spoglinsi l'argilla, la quale non lascia te essermi manifesta: impetralmi e ti vedrò. La mano dell' eterno Rimuneratore in guiderdone e simbolo di tanto tuo candore d'animo volle forse locarti dinne

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ti locava forse in cotesta candida lista che tra' poli del mondo biancheggia, Galassia nomata? . . . Ovvero il tuo trono è costà fra i raggi di quella grande e brillantissima stella, che sola riempie di dolce ed amoroso lume tutto lo emispero? O sei in quel gruppo scintil lante dalla mano d'oriente? . . . In quale astro t'ascondi o cara madre; in quale dei mille e mille che al guardo s' offrono degli umani astri tutti giulivi nella danza ineffabile ? Oh ambascia per me! Ahi, povera orfa nella Lampeggi forse nella chiaritudine di coteste quattro stelle dalla banda dell'aquilone? o nelle tre che a quelle tengono dietro? Ma che dissi infatuata ? L'aquilone è la banda dei maladetti . . . Ecco, oh gran mercè ecco parmi . . . oh sì, buona madre, balenò il tuo caro viso dalla parte dell' austro la parte degli eletti in cotesta spera che più larga gira: ecco ti ho trovato; gran mercè! Ti sveli oh come il gioir della tua faccia s'immilla! Ti veggio assisa nel raggio più fulgido di cotesta fulgentissima stella: ah, mamma gran mercè !

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Chi chiamerà la morte una sventura? termine si è delle sventure la morte. Il giusto poichè lasciò quaggiù l'ingombro della carne rivive costà in cielo. Tu mel dicevi, buona mia genitrice, e le sante parole accogliea cupidissimo il cuore, e vi s'improntavano come in cera suggello s' impronta; e il cuore credilo, le ritiene ora come il marmo ritiene la scritta. E seguitavi narrandomi come finchè l'umano spirito regge le membra, noi lungo e trangoscioso esiglio meniamo lontani da Dio: come di triplice gaudio il cuore s'allieta in morte, perciò che l'uomo si franchi d'ogni travaglio, dal misfare si liberi e dal periglio. O pia quando soprapresa ne fosti

non t'accolse forse il reame del refrigerio ?

Che speri, figlia, mi dicevi, su questa terra? Iddio del tuo cuore Signore; Iddio tua porzione in eterno! Per li giusti morte non è già morte, ma sì trasferimento. Ecco, o dolciata, i miei occhi veggion chiaro la verità de' santi insegnamenti la tua morte fu tragitto a cotesti splendori. Mi sfavilli di più limpido riso? gran mercè, mamma amorosa. Oh qual gloria ti cinge! io non avrei creduto che quanta nel tuo viso ne dardeggia, in tutto lo empireo si potesse accogliere. Madre, lodiamo al Signore! nella notte memoranda di tua traslazione impenna meco il volo al cantico della loda e della gratitudine: io quanto a vile creatura è dato, farò bordone alla tradolce melode.

Disse e adagiavasi frattanto nel seggio la bennata fanciulla al davanzale del verone: la notte era limpidissima e quieta. Col volto pieno d' un incantevole sorriso, con quelle nerissime pupille e vagamente lucenti in un fondo biancolattato contemplava tuttavia l'astro amoroso: non batteva palpebra . . . . Anche colui che avesse sortito da naturɛ un'anima men poetica, ove fossegli toccata la sorte di nirare in que'momenti Piccarda, avrebbe giurato non potersi sognare nulla di più casto, di più delicato, di più vigo, di più aereo di questa donzella di diciassette ani. La modesta eleganza delle fattezze vestita dalla luce d'un cielo ineffabilmente bello rapiva in ammirazione tutta celestiale: - bianca a quel modo e sorridente, talora con aria malinconica e dolce, sarebbesi detta una di quelle visioni mitologiche d'Ossian, dispa. renti al ninimo alitare dell'aere: lasciava un'impres sione che l'anima sente ma la lingna non sa ritrarre. Il labbro seniaperto, le nari aspiranti dimostravano l'ardente asprazione di lei alle cose che non sono di que sto mondo. . . in quei dolci istanti parea che l'anima sua nell' enpireo si lanciasse..

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Tratto tratto scotevasi dall'estasi celeste, e il cuore imperava labbro novelli accenti d'amore; accenti di

dolcissima melodia sposati al molle suono dell' arpa. Erano inni eucaristici a Dio, che tanto tesoro di madre le avesse concesso: una madre che in educarla avea risposto pienamente ai moti dell' istinto amoroso e solle. cito che il Creatore donò ad esse madri, affinchè gli sieno come compagne in quell' opera continuata della

creazione.

Prima di gran lunga che vi fossero le grammatiche v'ebbero coltissimi scrittori; come prima che del. l'arte di educare si scrivessero trattati vi furono ottimi educatori, ottime educatrici: e tale si fu Bianca madre della nostra fanciulla. Simone Donati l'aveva tolta in seconde nozze e ne ebbe in vecchiaia Sinibaldo e Piccarda. Appena che costei mise in luce il primo portato si accinse di lieto animo a quel ministero santissimo di cure e di osservazioni incessabili, che dovrebbe esser di. viso fra' due coniugi; cioè che all'uno non meno che all' altro parente incombe: ma Bianca non che essere aiutata dal marito erane forte impedita. E con dolore acutissimo e crudele vedeva la solerte e pia dorna, quasi nel medesimo istante, disfarsi quello, che con lungo e industre amore per lei si adoperava. Ma per quanto Simone per suoi mondani e malvagi intendimerti si bri gasse distruggere, nulla però di meno non valse scrollare mai il fondamento morale che costei aveva altamente piantato anche nel cuore del fanciulletto; intantochè quei frammenti a suo tempo furono base di elifizio si. curo. Dopo due anni era nata la fanciulla: di lei a principio poco si curò Simone: aggiugni la dversa ra gion di vita del diverso sesso di che la madre ebbe agio di crescerla ed istruirla a suo grado.

Fra le cure materne prima si presenta quella che per i maestri dell'arte si appella fisica educaione. Egli è vero che infima di tutte le facoltà dell' uono si è il vegetare, il muoversi, il trasmutare i corpi e imili cose: ma ove si rifletta con i filosofi che ogni facltà ha un

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