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da sapienti, lo dico non di mio, ma sono cose dei libri del prete: il santo e buon uomo ha tanta pazienza, e la domenica ce le legge sotto l' olmo, o ce le predica in chiesa). Primo fondatore della nobiltà fu Caino, altri pretendono Nembrod o Ismaele, e non manca chi metta innanzi Esaù; ma di questi tre sia chi vuolsi, indubitato si è che il fondatore della nobiltà fu uomo di sangue e di corrucci bestiali, furon gente insomma non punto benefica al genere umano, o almeno non quanto l'asino. E poi, David il santo re non s'intitola asino (1)? E tanti e tanti pontefici non si servirono di un somiero? Abramo ed Isacco inforcarono somieri; li adoperò Mosè, li adoperò Balaam profeta, Giobbe patriarca, Iair giudi. ce; e cento altri antichi che ora non ricordo, non isdegnarono di possederli, e di servirsene. Nè di belle scrit. ture e di belle poetrie andarono privi i somieri, e fuvvi un poeta latino che cantò l'asino come cosa d'oro! Proseguo la storia di Berto.

Con pazienza incredibile dimanda, intendi, ricerca e investiga, Belacqua proprio nel modo istesso che avea tenuto innanzi, quando al fanciullo cercava il maestro in qual che si fosse arte, al dassezzo battè alla porta d'un monastero. Erano frati; non dico di qual precisa generazione e' fossero, perchè rammentatevi bene, quel che prima ho detto; frati però di quelli sovranamente benefattori, che si pigliano il noioso e ingrato incarico d'ammaestrare a ufo i figliuoli del prossimo. Buoni e coppe d'oro tutti gli altri, questi religiosi poi incedono primissimi nel popolo cristiano. Il negozio fu concluso in due parole: la scuola gratis et amore, ma quanto al mangiare e al vestire pensasse il padre a recare al monistero non so quante lire all' anno, chè anch' essi poveretti vivevano d'accatto, e non avrebbon potuto senza lor grave incomodo a ciò sopperire. Aver essi nel chio.

(1) « Ut jumentum factus sum apud te, et ego semper tecum, »

stro trenta o quaranta giovanetti, quasi un semenzaio da cavarvi a suo tempo gli uomini di chiesa, e tutti pagavano ogni anno quella cotal pecunia, come giusto era e dicevole. Belacqua lasciato così nel semenzaio il bel suo rampollo -e vi facea proprio la figura di quegli arbuscelli intristiti e bollosi che framezzo i vegeti rampolli crescono ne' semenzai degli ortolani

se

n'andò difilato da un suo parente per attinger consigli, ed anco moneta, se fatto pur gli venisse. Qui noteremo di passaggio che il maestro, dacchè gli venne la visione del prete, non fu più negghiente, anzi con grande sollecitu. dine s'era dato a lavorare, il perchè alcun quattrino gli albergava ora nella scarsella: ma ci voleva altro a raggranellare tanto per la profenda del cherico Berto!

Profenda, ho detto! profenda invero è la quantità di biada che dassi in una volta ai giumenti; non istà bene ad un cristiano, ma parola detta e sasso lanciato non si ritraggono indietro: stia profenda.

Avete sentito nominare giammai un cotale Archi mede ?

Così il nostro narratore, interrompendo, dimandava agli amici. Farinata porse a lui da bere, e quest' atto gli scusò la risposta. Manetto si provò dicendo: Carimede! Carimede... sì, no non parmi lo udissi mento.. vare unquemai. Eusebio allora continuò :

Archimede era un arcivalente maestro in astrologia, in nigromanzia, in alchimia, in architettura ed in ogni altra ragione di sapienza umana e sovrumana, tuttochè fosse gentile. Tanto egli era uso di meditar profondo, che narrano come, presa d'assalto dagl' inimici la patria sua, non si accorse punto nulla del fatto, avvegnachè grandissimo fosse il bombire e lo schiamazzo per la contrada: per che sventuratamente fu trafitto da un solda. to sul banco dove stava curvo e assorto a disegnare sue figure. Ora avvenne che facendo egli certa sperienza e lungamente intesovi sopra, non sapea risolvere la quistio.

ne. Continuò un mese a cercare sua scienza, sempre indarno però. Grandissima era la mercede promessa a quel savio che avrebbe ritrovato il vero, e più grande per Ar. chimede riputavasi quella della fama di valente. Un dì alfine dopo avere più che mai profondamente fattovi stu dio s'alzò tutto sconfortato e andossene al bagno. I casi spesso furon padri delle più belle scoperte. Non appena il filosofo s'ebbe immerso nell'acqua gridò un grido di gioia tragrande, e disse una parola del suo linguag gio, la quale nel vulgar nostro sonerebbe : ho trovato! Detto fatto; scappa dal bagno tutto ignudo com'era, e diessi a correre per la città pur gridando: ho trovato! ho trovato!

Egli avea trovato, quando men sel credeva, lo scioglimento della malagevole quistione.

A Belacqua, scusate il paragone, la medesima ventura intervenne. Avea scorazzato tutta la città, avea interrogato gente, secondo lui, savissima, avea chiesto e richiesto denari a prestanza : nulla di denari, nulla di buono di consigli. Stanco finalmente sul vespero capitò in Vacchereccia da un Giannetto suo amico falegname, e per riposarsi si piantò a sedere da lui. Giannetto per artefice minuto vivea in alcuna agiatezza, era però uno di quegli uomini generosi e larghi di consigli, ma stringati poi a roba e denari: pure le parole di consiglio questa volta giovarono quanto la moneta e più ancora. Quando a lui si presentò, Belacqua era disperato per do. ver fallire alla promessa di pagare i maestri. Vi sono delle azioni men buone che l'uomo commette e ricom. mette alcuna fiata senza il minimo rimorso: altra fiata però quelle stesse azioni abborre e per cosa del mondo non s'attenta di farle. L'uomo grosso di tal modo go. vernasi, e a se medesimo non chiede, o non sa darne esplicazion che vaglia; ma l' esplicazione è questa: quan. do a trapassare alcuna virtù il vizioso trova utilità, la trapassa come bere un vaso d'acqua; quando il cervel

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lo, fatti senza nemmeno avvedersene i suoi conti, vede come non havvi utilità ma danno infinito, ecco che l'uomo assolutamente se n'astiene. E Belacqua così: a mancare di parola verso i suoi ricorrenti non sentiva briciol di scrupolo: a mancare ora co' frati che gl'impretavano il figliuolo oh ci aveva un rimorso, che domine unquanche! Anche a Giannetto pertanto ei pensò di chiedere aita al caso suo, ma chiedere come chi chiede e non ispera. Espostogli la occorrenza, Giannetto cessò di asciare un legno, piantò capovolto l'arnese sul pancone, alla impugnatura soprappose la palma diritta, col dosso della sinistra il fianco sinistro puntossi, e in aria di baccelliere dimandò: ha egli benefizio alcuno? Volevi dire malefizio colla corte? Non v' ha nemmeno l'ombra è stato sempre un fanciullo posato e non ha dato da dire a persona. Oh questo poi: sarà piuttosto un po'gocciolone a dirtela in credenza. Il Fiorentino si mise a ridere e così tra un cachinno e l'altro gli soggiunse: ti dimando se il cherico tuo gode alcuno di quei poderi o prebende, o come vuoi entrate, che si godono anche i cherici minori prima che divengano preti e che abbiano la cura ? Oh anche senza esser preti e senza cura si può godere delle masserie? E belle, e grosse, alle guagnele! Qui Belacqua mise un gran vocione dicendo: proprio? giuralo! Giuro.

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Belacqua s'iuvolò di là ratto come un fulmine. Corse girò, ritornò spesso sopra i suoi passi pur dicendo a se medesimo ecco trovato il rimedio! ecco fatto ogni cosa! Tal quale Archimede com' io vi diceva. Ma fin qui ell'erano novelle, che il pover uomo correva qua e colà senza frutto per la qual cosa nuovamente dall'amico Giannetto si ridusse. Giannino, tu se' un dio, sclamò pieno d'entusiasmo; ma se non mi dichiari il modo da tenersi per aggranfiare il benefizio la sarà una bella parola e non oltre. Egli è ciò che io pensava, disse l'altro, ma tu fuggi via come il forsennato; a chi il torto ?

Per ispacciarla in ricise parole dirovvi, che Giannetto innanzi tratto, facendo violenza per quella volta alla taccagneria, fu cortese di cena e di ospizio a Belacqua; che infrattanto lo ammaestrò acconciatamente, e gli fece quasi un trattato da savi, dicendogli che cosa fossero questi benefizi, e di quante generazioni ve n’avea, quali i modi buoni per ottenerli, quali i rei e da santa madre Chiesa abominati e puniti: chi i degni chi gli indegni, e le altre cose tutte alla materia pertinenti; e il che e il come, e il con che, e il perchè, e il quando eccetera, che, ripeto, pareva un dottore di canonica a udirlo.

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. . . le tenaglie pur così le lime, gli scalpelli e molti altri arnesi gettò parimente snlla via. p. 299.

Narrateci di grazia come questi benefizi venis. sero al mondo. Così Manetto.

Ecco come; non tutti ed in ispecie quelli della contessa Matilda, ma moltissimi nacquero così: scende

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