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guerra di Pisa, e precisamente della spedizione che, come accennammo altrove, fu intrapresa nel giugno del 1292; e qui a magnificare in coro la prestanza della magna e ricca oste, epiteti che le dà il Villani, ed a celebrare innanzi tempo le mirabilia che avrebbe operato il valore di Gentile Orsini capitano romano — un solenne fiasco però fece bugiardi que' panegirici. Altri capannelli par. lottavano, chi de' miracoli della Madonna d'or San Mi. chele, chi di squisitezze gastronomiche, chi commendava i novelli priori, chi gli lacerava fieramente: uno teneva a bada i compagni colla novella dello Scolare e della Vedova; un altro coll' aneddoto di Guido Cavalcanti sorpreso da certi cavalieri tra le arche del San Giovanni; altri finalmente s'intertenevano in altri diversi e non belli ragionari. Nemmen qui per Farinata un cenno di saluto, nè un viso amico. L'ultima e più riposta e più nera stanza era quasi vuota: vi mette il piede e dando in quel suo solito riso rompe il silenzio tonando: Che tu mi sia scannato! alla fine l'ho visto un compagno. Oh, Farinata! Il cielo ti dia il buon giorno.

E a te, Manetto, la mala meccianza (1).

Affè, se rendi male per bene fatti con Dio e lasciami in pace.

Qui con un nuovo scoppio dell' orribile riso Fari. nata dimostrò a Manetto famigliare di casa Tosinghi, com' egli avesse favellato per ischerzo, rendendo il mal anno per il buon giorno. Si scinse intanto un'enorme coltella, e la gettò con empito sul desco: stoviglie e boccali traballarono.

Il cuciniere tutto rubicondo viene e chiede al nuovo ospite che cosa aggradisca, e com'è uso anc' oggi, gli va noverando un' intemerata di cibi che teneva in pronto. Si sa; di que' cibi il cuciniere non aveva nemmeno un terzo; oggigiorno poi i valletti ti presentano la carta,

(1) Voce derivata dall'antiquato francese mechance, disgrazia.

ma al solito i cibi per la più parte non sono che enti ideali inscritti nella carta, come gli uomini de' battaglioni moderni, che alcuna volta non sono altro che enti ideali registrati nei quadri dell' esercito.

Un fiasco di Làmole! urla Farinata.

Subito, messere.

Ma guardati però di scambiarlo con quello di Brozzi; scambierei anch'io, e per sempre, la Neghittosa colle Bertucce e colla Malvagia (1), primo punto; tu avresti il vino nel muso, secondo punto, dice il predicatore. Oh, veniamo a noi, Manetto... Insieme col fiasco un paio di pippioni arrostiti; intendi bene, pippioni e non piccioni, cioè teneri e non duri, se no li farei tremare io a te li pippioni.

Manetto stava per terminare la sua refezione, e se Farinata non fosse sopraggiunto, avrebbe pagato lo scotto, e se ne sarebbe andato ; ma la vista di lui lo fece mu. tare di pensiero. Non si argomenti perciò che Manetto fosse un ribaldone come quello: egli anzi poteva dirsi buono tra la feccia del servidorame cittadinesco, e se ama trattenersi un po' con lui, e'v'è condotto da una curiosità e da buon cuore più che da conformi costumi. Manetto vuol sapere se sia perduta affatto la speranza che Piccarda consenta d' entrare in casa Tosinga, e lo vuol sapere per amore dell'inconsolabile Rossellino suo padrone.

Venuto il vino e cominciato il primo bere, Farinata cominciava a rinforzare di favellío, e condiva di scede il compagno dicendogli che visto lui, tutti erano fuggiti di là. E Manetto alla sua volta era tutto in asserire come poc'anzi si fosse alzata di lì una frotta di conoscenti; e Baccio di porta Peruzza, e Maso del Saggio, e Bruno con Bonamico pittori, Lapaccio di Geri, il Pecora ed altri assai. E quelle tovaglie di certo por

(1) Bettole di quei tempi così chiamate.

gevano chiari indizi che molta gente s'era assisa poc'anzi a que' deschi: perciò vi si vedevano impiastrature d'intingoli, rosoni di vino versato, impronte di musi astersi; e più là sale sparnazzato, ed ossa seminate in terra e per le panche; e poi esse tovaglie tutte scomposte e da una parte lambenti quasi il pavimento, mentre da un'altra lasciavano nude le sponde della tavola. Chi è cotesto tuo Bonamico dipintore? dimandò

Farinata.

Oh non conosce Bonamico! Egli è il più sollazzevole uomo che si abbia la città nostra. Per alcuni si chiama Buffalmacco, e fa consorteria con Bruno nel l'arte sua di schiccherare le mura come la lumaca. Sagace ed avveduto quanto il fistolo, vedi, quel Buffal macco una ne fa, un' altra ne pensa, chè per arcatore e macchinatore di sottilissime beffe lascialo stare. Anche a Tafo suo maestro la fece proprio da maestro quand'era garzone: la beffa poi che egli con Maso e con Bruno hanno fatto nuovamente al povero Calandrino le soverchia tutte. Io te la voglio raccontare, ma costringiti i lombi che non ischiantino, tale sarà il tuo ridere.

E qui Manetto si mise a raccontare l'aneddoto della elitropia da trovarsi nel Mugnone, la quale come ci attesta Giovanni Boccaccio, fruttò a Calandrino buona dose di sassate (1). Alla più parte dei nostri lettori, special, mente se amanti un poco dell' aurea letteratura del tre. cento, è notissimo questo caso, per lo che io me ne passo di salto, ristringendomi a notare che Farinata di tratto in tratto erompeva nelle più grasse risa del mondo, e ad ogni scroscio vuotava come per rito un pieno boccale. E per dirne d'una, quando il narratore ebbe de. scritta la figura di Calandrino tutto carico di pietre, Farinata tonò: Ah, ah, ah! ci voglio ber sopra un altro sorso; non avevo voglia di ridere, ma il baggeo da

(1) Vedi in fine del volume, nota A.

un lato, e i due bari dall'altro me la fanno venire. Con Bruno e Buffalmacco vi stava bene il mio Lippo buon' anima.

- Che è mai di quel fistolo del tuo Lippo? (gli chiese Manetto allorchè fu presso al termine del suo racconto) è tanto tempo che non lo vidi: che forse . . . . non vorrei turbarti, ma testè lo nominasti e dicesti buon' anima; sarebb' egli morto?

Di Lippo saprai più oltre, ora finisci la novella; bàstiti che di Lippo ènue bene quantunque egli non sia meco di Lippo favellando ora si può dire, anima buona.

Ma in credenza, te lo acciuffò la famiglia dello assecutore? te l'hanno messo in muda? Dici che non è più teco.

Finisci la novella, poi saprai tutto: non volerti stillare il celabro, a mille miglia non ti apporresti sul fatto.

ין

Manetto era bonaccio, lo ripetiamo, ma curioso aleccesso, laonde sbrigossi così : — la novella è finita; Buffalmacco e l'altro dopo ch' ebbero alquanto riso co' guardiani della porta seguitarono lo squasimodeo di Calandrino, e giunti a piè dell'uscio di casa sua, che era al canto alla macina, sentirono la fiera battitura che dava alla moglie. Aveano sì gran voglia di ridere che quasi scoppiavano, ma per pietà di quella saliron su a ritenere il balordo, e dirgli che tutta la colpa era sua e non di monna Tessa; perciocchè quando sapeva che le femmine fanno perdere la virtù alle cose, egli doveva dire alla sua che quel giorno si guardasse dal comparirgli dinanzi. Aggiunsero inoltre che Iddio gli aveva tolto appunto quell'avvedimento, o perchè la fortuna di valersi della pietra maravigliosa non doveva esser sua, o perchè egli aveva in animo d'ingannare i compagni, ai quali era giusto palesasse subito ogni cosa, quando s'era avveduto d'aver trovato l'elitropia. E così costoro dopo

Or dimmi

averlo riconciliato colla donna, lasciandolo malinconico e con la casa piena di pietre, si partirono. tu che cosa mai addivenne del tuo Lippo?

Prima di rispondere Farinata riprese il fiasco e ver sava; ma il vaso non diede che poche gocce, per lo che gridò al valletto: Olà, Presentìno: un altro fiasco. Come lo comandate? Fratello del primo.

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Se non che a questo secondo vetro esso principiò a sentirsi quella fumosità alle narici, e quell' ingombra. mento al capo che, malgrado l'abito, anche a' bevitori suole incogliere ove di soverchio passino il segno : oltre l'ingombro cerebrale Farinata pativa un'altra molestia; vogliam dire che alcune lettere dell'alfabeto gli s'erano fatte impronunziabili, in specie qualche consonante che richiedesse più rapida o artificiosa vibrazione di lingua ; e più vi s'arrovellava, più la lingua s'ostinava nel torpore. Ciò quanto al corpo: per quello che riguarda la mente costui sentiva là pure un ingombro, un guizzare d'idee maldigesto e svariato, come svariate di tuono e di sentimento s'inalzano le voci da una gran piazza di mercato; la voce però che più alto in lui si faceva sentire, diciamo anche, l'idea che più chiara vedeva dentro al suo cranio, quasi dentro ad un vaso divinatorio uno di que' vasi che gli antichissimi nostri padri consacravano alla residenza di Suthi (1), era quella di non dovere dir nulla, affatto nulla, sul nuovo stato di Lippo per tema non scappasse alcun cenno sul motivo vero di quella novità. Ma la dimanda di Manetto era troppo calzante perchè Farinata non potesse rifiutarsi del tutto; laonde fatto proposito tra sè di esser guardingo, e di non citar giammai il vecchio padrone, trangugiò l' ultimo catollo di carne, ribevve ed uscì precisamente in queste parole:

Ma, ma con patto che tu non me lo dimandi

(1) Cioè Serapide. Vedi gli archeologi,

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