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dono anch' oggi. Pregustava quasi la dolcezza di vederlo un giorno balzare all'assalto de' propugnacoli, parevagli proprio sentirlo salutare espugnatore, e il suo nome risuonare fragorosamente nell' inno della vittoria.

Se non che vi sono espugnazioni e vittorie che fanno arrossire chi le ottenne.

E perchè senza fallo veruno l'effetto non andasse lontano dal suo avviso, gli gravava il corpicciuolo con gli arnesi da guerra, e lo faceva usare colla gente d'arme, co'soldati delle Compagnie! ribaldaglia la più infame che al mondo mai cingesse spada, e degni figli e successori di quegli assassini del sacco di Roma. Intanto l'Arbitro supremo del cielo e della terra aveva disposto ben altramente di quel fanciullo. Ruggì, tempestò, come Lotario e come Simone, il marchese vedendo il ragazzo non rispondere alle sue volontà, e per piegarlo, cioè per corromperlo, lo pose fra i lordi esempi di persone che poltrivano nelle licenze e negli agi indecorosi d'una corte d'allora, e beate in loro depressione bruciavano incensi ai lor padroni munificentissimi ed immortali

ora

morti. Il raggio però del sole passeggia sul fango senza contaminarsi, per lo che quando più smaglianti brilla. vano le mense reali, quando tra il fumo delle dapi e de'vini scoppiava più frenetico il baccanale de' cortigiani, egli sapeva bel bello declinare la babilonia.

In tal maniera si governò colui; in tale si gover. nava Piccarda Donati.

Era vinto per lei lo stadio delle minacce almeno per ora; rimaneva a superare quello delle insidie.

L' ape trae il succo prezioso e da' fiori di gentile natura, e da quelli anco di natura non buona la nostra donzella era anch'essa un' ape industriosa e discreta.

Alle sue dimande, lo abbiam detto, non opponevasi più omai negativa. E infatti appena ebbe chiesto di vi sitare il santuario della Vallombrosa, che Simone mo. strossene lieto oltre ogni credere. E protestò come gli

sarebbe stato dolce il potervela accompagnare da sè, ove l'età di lui e la mal ferma salute tollerassero un viag gio in montagna. In sua vece pertanto vi anderebbe Corso, Nella, Forese e Rossellino l'amico di casa; poi famigli quanti ella comandasse. E dacchè pur di lei ne richiedeva, se anche Giovanna le fosse stato in grado che vi andasse invierebbe pur lei, chè n'era contentissimo.

Mi è grato di molto cotesto tuo divisamento, aggiungneva il ribaldo vecchione. Anche la giovanetta debbe ammaestrarsi di tutto: ella è avuta altramente per sora e per semplice, e le gentili brigate si fanno beffe di sua ignoranza. Pensa, figlia mia, e intendi come cotesta sia l'età dello apparare: quando la donna è ita a marito altre cure allora, altre provvedenze la distrag gono dal coltivarsi lo spirito; allora ella deve erudire altrui, massime i figli. Poi questa sdolcinata monotonia della città, o vuoi anche quella delle floride campagne che d'intorno abbiamo, sazia e annoia alla fine. Bisogna vedere la gigantesca ed irregolare natura delle montagne, bisogna sentire il fiotto degli aquiloni, il rombo fragoroso della tempesta. E per dire di tempesta me n'è rimasa in memoria una grandissima, che occorsemi sostenere appunto a Vallombrosa in un mese d'autunno. Il mattino sorse bellissimo, ma sul mezzodì la faccia del cielo cambiossi d'una maniera che avea del portento. Io pendeva dubbioso non fosse quello l' estremo giorno della moriente natura. Eravamo saliti sul dosso supremo del monte per contemplare le due contrade, che a destra e a manca distendonsi, dico la valle dell' Arno e quella del Casentino. Il cielo cominciò a coprirsi : le vacche sparse qua e là per le pasture fiutavano l'aria: tutte le voci di quella solitudine ammutirono di subito come per incanto, e le chiome della foresta terribilmente stettero immote. Ecco lontano lontano rotolare un tuono e un altro, poi un altro: indi uno scoppio repentissimo e vicino. Le nubi mano a mano raddoppiavano l'oscurità,

e tanto avvallavansi che sottentrarono gli ampi e diritti androni degli abeti. Una nuvola ad un tratto si spezza e il lampo guizzando da lato a lato traccia rapidissime liste di fuoco. E impetuoso in quella sorge il vento che in un mare o in un caos trameschia le nubi fatte ora di cento colori. Che orrendo e sublime spettacolo a ve. dere il cielo spaccarsi e richiuders] ad un tempo, e dalle ignivome aperture nuovi cieli mirarsi ed infiammate campagne! Io n'ebbi tale una impressione che viverà nella mia memoria quanto mi basti la vita.

L'astuto aveva un bel narrare a Piccarda queste maraviglie, aveva un bel vantare le sue sublimi impres sioni; d'altre maraviglie, d' altre impressioni era vaga la virtuosa figliuola.

il bel mese

Negli ultimi giorni del mese d'aprile del rinascimento di natura - la brigata si pose in cammino abbondevolmente fornita di quanto mai potesse bisognare per rendere amabile e delizioso il viag getto Simone aveva preso sopra di sè questo incarico della provvigione.

Gli uomini avanti, le donne in mezzo e dietro i fanti movevano di bel portante lungo le rive dell'Arno: la campagna tutta era di tal bellezza a vedere che avrebbe messo ilarità in qual vuoi più burbero viso. I giovani frattanto motteggiando si mordevano e quando d' una, quando d' altra cosa festivamente novellavano. Ecco qua, disse Forese, la casa del lavoratore presso cui il buon uomo di Giotto col suo compagno messer Forese di Rabatta si fermarono, quando di ri torno essendo dalle loro possessioni di Mugello, li sopraprese la piova. Affè, dovean certo far ridere, massime quell' omuccio di Rabatta con quel suo viso piatto e ricagnato e con tutte quelle zacchere in dosso!

Ma che casa, gnaffè, disse Corso, se eglino venivano da Vespignano ? Certo come più breve avranno presa la strada di Pratolino, e non questa.

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Ed io ti dico che anzi passarono di quivi, perocchè avean d' uopo di fermarsi a Dicomano.

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Il più bello però a vedere sarà stato giunse Rossellino con atto pien di brio quando appresso il riposo su lemme lemme veniansene i vecchietti a cavallo, con que' cappelli tutti intignati e con in dosso que' bei mantelletti di romagnuolo presi dal lavoratore in prestanza!! Que' drappelloni dovean giù cadere a grande adornezza dalle spalle de' viaggiatori sopra i dossi spelati e magheri de' ronzini: tenean luogo di gualdrappa! gualdrappa più vaga e ricca di quella del ronzino di Piccarda me lo approvate, graziosa denzella? . . . Amici, io vi dico che quello era un subietto degno del pen. nello di Giotto, luce della fiorentina gloria pittorica, ovvero della penna dell'altro, che per ognuno si reputa armario di ragione civile.

Dopo il cianciare volse il discorso sulla campagna di Campaldino, del cui argomento prese volentieri le prime parti messer Corso, che aveva fin lì quasi sempre taciuto. Rossellino colla usata sua leggiadria affermava sè avere l'uno dopo l'altro scavalcati quattro cavalieri aretini che gli facevan rota ferocemente, e veniva celebrando l'ardore marziale del suo corsiero saracino, che sì destro e sagace obbedivalo: rammentava poi con dolore la morte della povera bestia sbudellatali sotto da un di que' tarchiati, quando i ghibellini circuiti da ogni banda e sgominati, cercavano all' ultimo di aprirsi colla rabbia del disperato un varco a salute.

Oh, se non mi scagliava io a fulminarli per costa, diceva Corso, ed era vero, certo molti di voi sarieno stati confitti sul piano da quelle daghe lunghe e diritte de' ringhiosi !

Ma qui saltava Forese e s'ostinava a dargli biasimo di quel colpo, e gridava alla insubordinazione, distinguendo, sottilizzando come un causidico, allegando sopratutto l'Achille degli esempi in simil materia, l'esem

pio di quel Romano che amò meglio di andare orbo del figlio perchè orba non fosse la milizia. Tutti allora a dar la baia a Forese e dirgli, lui essere quel greco Formione il quale pretendeva fare il precettore di strategía ad Annibale, a cui questi diede la razzente risposta che ci ha conservata Marco Tullio (1).

Si giunse al cominciare dell' erta là dove la brigata precorsa dal siniscalco fermossi e trovò ogni sorta confetti e vini squisiti; per che ristoratisi alquanto si diedero a motteggiare novellamente, indi ripresero la strada in mezzo a colline verdissime di olivi e di viti, che cominciavano quali ad ingrossare la gemma, quali a man. dar fuori il tenero rampollo colle fogliette colorite di quel verde sbiado che hanno le fogliette nate di fresco. Dopo forse un' ora entrarono nel salvatico e la via facevasi mano a mano più ripida e scabra, sicchè ai cavalli ed ai cavalieri non lieve noia porgeva ed affatica

mento.

D'un colpo finalmente s'offerse alla vista de' viaggiatori un vasto prato, che molle di freschissimo umore verdeggiava come smeraldo per le minute erbette, ond'era tutto smaltato. A destra e a sinistra dello spiano sorgevano, quasi ad incorniciare sì bel quadro, altissimi abeti e lecci e aceri e annosissimi faggi colle cime schian.

(1) Lib. II, De Oratore, dove si parla in questa sentenza: «Non ho bisogno che venga un maestro greco a ricantarmi i più ovvii precetti d'eloquenza, mentre non ha visto mai il fôro e non è intervenuto ad alcun giudizio; come dicesi che facesse un tal Formione peripatetico nell'occasione che Annibale, esiliato da Cartagine, capitò ad Efeso da Antioco. E dacchè anco ivi il nome del Cartaginese era in gran fama, fu invitato ad ascoltare costui. Egli accettò; e allora Formione si mise a ragionare copiosissimamente per non poche ore dei doveri d'un capitano, e in generale di tutti gli accorgimenti e i rispetti dell'arte della guerra. Gli ascoltanti n'ebbero gran diletto, e richiesero Annibale che cosa sentisse di quel filosofo. Egli allora, sebbene non in buon greco ma certo con franchezza, si vuole che rispondesse così: a' miei giorni ho visto molti vecchi pazzi, ma un pazzo come Formione non lo vidi giammai. »

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