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<< quale molti masnadieri si raunavano e gran seguito << avea), molte arsioni e molte ruberie fece fare, e gran << dannaggio ai Cerchi e ai loro amici; molto avere gua« dagnò, in grande altezza salì: costui fu messer Corso « Donati... (1). »

Giuro... che non posso tollerare cotanta oltracotanza! sclamò Corso tempestando; nelle case mie tu, Alighieri... ? È vero che sei poeta e i poeti, a quanto dicono, hanno balía di osare checchè loro meglio attalenti; ma tu passi il segno. Io sono causa principale della discordia dei grandi? Io faccio angherie al popolo minuto? Io rassembro Catilina ? Provalo, o io saramento te mentir per la gola.

Tu mi addimandi la dimostrazione d'un assioma d'Euclide. Quivi enunciazione non prova è mestieri, chè più chiare della luce sono le ree tue opere. O Corso! noi siamo giovani amendue, io più di te : amendue siamo entrati nel periglioso arringo di servire la patria; la gloria ci aspetta o l'infamia. Intendi? la gloria o l' infamia e questa e quella può vaticinarsi dagl' inizii. Guarda com' entri e di che tu ti fidi, non t'inganni l'ampiezza dell' entrare! Corso, credilo, tu calchi le orme di Catilina, lo ti annunzio a viso aperto, lo ti annunzio come patria carità il detta, e perchè all' ammenda anco vi ha tempo. Vuoi ch'io lo ti mostri? Ed io lo voglio, ma il mio sermone ti fia savor di forte agrume.

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A splendido e potente stato era salita la romana repubblica per lo valore e la equità; i re maggiori sog. giogati, feroci e grandi nazioni oppresse, l' emula Cartagine rovesciata al suolo. Roma era signora del mondo. Che addivenne? Gl'ispidi petti di quei valenti che avean durato saldi a tante fatiche nelle battaglie, ora, nell'ozio, al diletico delle ricchezze non ressero. Prima venne l'avidità di trasricchire, appresso quella d'imperiare da

(1) Dino Compagni, Cron.

queste ogni danno. Dall' avarizia corrompevasi la fede, la probità, ogni altra virtù; superbia ad esse, crudeltà, venalità, irreligione subentrare. L'ambizione fu madre di falsità; altro si ebbe nel petto, altro sui labbri; a bontà più il volto formossi che il cuore. Fiorenza così, com'è detto. Dopo la giornata di Campaldino la città erasi retta alcun tempo in grande e potente stato, ma anche quivi i disagi di Marte in molti cesser loco tostamente ai sacrificii di Venere, di Pluto e della iddia Ambizione; e tu, come Catilina, ne hai tratto materia per tue macchinazioni. Costui di nobile prosapia, di animo e di corpo gagliardissimo, d'ingegno pravo e malefico - tu il simigliante. Egli fino da' suoi verdi anni la furia degli odj civili, le rapine, le stragi anelare: digiuni, veglie, rigor di stagioni oltre ogni credere sopportare di baratteria poi maestro e di finzione: cupido dell' altrui gittava poscia a man piena il suo : bollente ne' desideri, ne' pensamenti matto i suoi intimi, i più ribaldi della città e del contado. E tu? Non avevi peranche quattro lustri e seminasti odio mortale infra i Tosinghi insinuando a messer Rosso che abbassasse degli onori messer Biliglardo, il Baschiera e Baldo: a Porco Manieri tuo parente apprestasti il micidiale per traffiggere Naldo Gherardini, e a stento questi potette salvarsi fuggendo: dipoi a messer Manetto Scali e suoi consorti recasti infinito dannaggio nello avere con arsioni e ruberie per lo solo reato che e' fossero parenti de' Cerchi: contro questi è conta la tua rabbia e non manca se non venire al sangue ...

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Dante !

:

urlò Corso con rabbia indescrivibile. Pace, pace, di grazia figliuoli; pace e amore è stato il vostro saluto, Dante interruppe Simone, e Dante risponde pacato:

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Perchè, o messere, squartate in mano la tavola al dipintore pur mentre, richiestone, fa il più verace ritratto che mai del vostro figliuolo ?

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Pace! seguitava il vecchio allungando le palme e dando loro in cadenza un moto perpendicolare; pace e fine alle odiose interpretazioni, alle ire, anzi dirò meglio: fine agli sdegni vostri giustissimi... forse. . . in qualche parte.. messer Dante.

Pace? Non cerco io forse la pace della patria? Corso sbuffava come toro ferito, volea rispondere nè sapeva come, perciocchè ad evidente verità mal si contraddica, e il gran cumulo di bile in sua violenza avesse paralizzato le facoltà; come l'arco che per soverchia tensione frangesi e manda languido lo strale. Finalmente mormorò ruggendo :

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Bravo il mio padre! mi difendete, è vero? Le ferite a me e poi chi ha avuto n' abbia avuto, e pace! Fine alle parole, ne avete dette abbastanza : voi siete giovani e avete detto, lasciate ora favellar me che son vecchio. Così Simone. Dante accigliato, terribile in vista taceva.

Un raggio di gioia balenò nella fronte e su i labbri

a messer Simone, raggio pallido come quello del sole dopo l' estivo acquazzone. Perchè gioisce l'indegno vecchio? - Perchè pensa che fra i sassi balestratigli incontro dall' Alighieri v'abbia pure una pietruzza d'inestimabil valore da incastonarsi in oro e foggiarne un anello nuziale a Piccarda. Onde riprende:

Cosa fatta capo ha: disse Mosca Lamberti, che è quanto dire alla fine ogni cosa s'aggiusta. La vostra ira, Dante, volevo dire la vostra nobile indignazione vi ha fatto dir cose, tra le altre, che sono vere, e le quali meritano tostani provvedimenti. Il mio figlio vostro amico qui presente è preso non di rado esso pure da cotesto ge neroso disdegno, con questa differenza, però che in voi s'accende sì, ma è governato mai sempre da razionalità e non trasmoda; in lui poi, nol niego, disorbita, e disorbita per forma che lo spinge a commettere alcuno errore.

Corso rivolto con truce piglio al padre aperse la bocca ad un' empia espressione che accompagnò con un guaio di dolore, come se gli avessero strappato un dente; e il padre a lui con accento imperioso: Tu ascolta in silenzio e appresso parlerai.

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Dante teneva fisse le pupille sulla tavola pur senza muover costa. Simone in atteggiamento precisamente pari quello del falso Sinone greco da Troja (guardate quasi omonimia!) quando diceva a Priamo:

Cuncta equidem tibi, rex, fuerit quodcumque, fatebor Vera,

così aggiunse, mandando un vasto sospiro:

Alcun fallo veniale, il concedo, lo ha commesso il figlio mio e glielo gitto sul viso; quello anzitutto di seminare scisma e scandalo fra i Tosinghi: questo fatto principalmente mi sa reo, e per lui le paterne mie viscere sentono rimorso non lieve; mano ai rimedi pertanto. Voi, messer Dante, avete detto esservi pur tempo d'ammendare: a cagion d'onore prego voi di proporre il modo da ciò.

Dante mantiene severo l'atteggiamento e il silenzio. Io direi dunque di tal foggia adoperare, prosegue da casa i Donati dimanò lo scompiglio che tiene agitato i Tosinghi e altre grandi prosapie della città; da casa i Donati sorga dunque un pegno di pace inaltera. bile, eterna. La mia bella e virtuosa Piccarda sia questo pegno!

Qui la lercia figura del vecchio tutta si animò di giovanile baldanza, e nuovo riso satanico gl'increspò le guance. Dante sempre tacito lo guatò in volto d' un guardo che volea dire: odi malizia che egli ha pensato!

-La cosa è giusta e dicevole per più capi, continuava Simone; persona non avvi al mondo la qual non sappia come messer Rossellino, nella giornata di santo Barnaba, ebbe salva la vita a Corso: come questi fe' giro di accordargli la mano di Piccarda. E ove anche non vi fosse la santità della religione, che per fermo richiede da noi questo parentado, lo richiederebbono, Dante, le ragioni vostre affine di riunire gli animi di molte famiglie di cittadini. Ricordovi inoltre la storia di questi ultimi quindici giorni o venti anni. E vi si presenta tosto alla mente quel grande pontefice che si fu Gregorio X, uno di quei Papi, che seppe far meglio insieme i due uffici di pontefice e di principe; che adoprò i quattro anni del troppo breve pontificato a far paci dentro e fuori Italia. Fu desso che fece ripatriare e riamicare i ghibellini nelle nostre città guelfe, ma la pace non durò perchè sebbene dotato di sommo e santo ingegno egli, il pontefice, lasciò di convalidarla con fondamentale argomento. Del quale la necessità fu appresso riconosciuta e provvedutovi da Niccola III, grande imitatore di Papa Gregorio. Sedente Niccola, i grandi guelfi di Firenze riposati delle guerre ond' erano usciti vittoriosi, ricoperti d'onore e per giunta ingrassati sopra i ghibellini usciti, cominciarono per superbia e invidia a riottare tra loro, per lo che nacquero in Firenze

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