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lavane il dito a Nèlla, di nuovo egli fece su di essi il segno della croce pregando Iddio volesse di sua grazia suggellare quanto in loro per sua degnazione aveva operato. Il sacerdote e i ministranti si ridussero allora per un momento alla sagrestia, mentre alcuni donzelli con gentilezza di maniere presentavauo agli sposi i ceri accesi per la oblazione.

Fino dalle parole esprimenti il consenso, Nèlla aveva mutato quel suo pallore in un vermiglio fortemente acceso. Le anime delicate e pie hanno sì squisito il sentimento del pudore, che trascolorano ad ogni più lieve avvenimento, ad ogni parola che sebbene in sè pura e casta abbia tuttavolta qualche lontana analogia col male. L'autore sapientissimo della natura volle forse, facendole ricche di quel dono, mostrare che cosa possano operar di mostruoso nell'anima nostra i delitti com'essi abbiano forza d'insozzare tanto candore d'animo che tratto tratto si dipinge sul volto dell' innocente: com' essi riescano a stendere sul viso dell'uomo una vernice a bronzo - e allora addio tutto!

La messa cantavasi in mezzo a grande splendore di lumi e colla solenne assistenza di molti cherici. Dopo la orazione domenicale si trasse innanzi un suddiacono, e toltosi in capo il messale presentollo al priore, il quale a voce chiara recitò alcune belle preghiere in questa

sentenza:

<< Inchina l'orecchio, o Signore, alle nostre supplicazioni: assisti benigno a que' tuoi istituti per li quali la propagazione del genere umano ordinasti, affinchè ciò che nel santo tuo nome si unisce prosperi per te e si conservi. Tu, o Dio, nella onnipotente virtù della tua destra le cose tutte dal nulla traesti e, dato vita alle esistenze, a quell' uomo che a tua immagine plasmavi, d'inseparabile aiuto nella donna facesti dono, e dalla carne di esso la volesti formata, mostrando che unquemai non sarebbe stato lecito fosse dispaiata di là onde

l'assumesti Tu con tanto arcano la coniugale unione consacrasti da farne una figura del sacramento di Cristo e della Chiesa : Tu la donna maritando all'uomo, e così la società ordinando; la rallegrasti di tale una benedizione che unica e sola non potette estinguersi mai, non dalla macchia d'origine e non dalle acque penaci del diluvio; riguarda imperciò e sii propizio, o Dio, a questa tua ancella, la quale nell'atto di giurare la fè maritale agogna la tua protezione: amore e pace siale il giogo, fedele e casta si vincoli in Cristo, e guida sempre le sieno i vestigi delle antiche santissime femmine : per lo che diletta sia allo sposo qual fu Rachele, saggia come Rebecca, longeva e fedele come Sara: vani dello antico avversario contro lei tornino gli sforzi, e salda nella fede e nei tuoi mandati, dell' animo pura e delle membra, possa aggiugnere al celeste reame, possano entrambi vedere i figli de' figli loro! »

Al terminare della messa, prima della consueta benedizione da impartirsi al popolo il suddiacono che sopra lodammo, offerse nuovamente il messale al celebrante, il quale rivoltosi agli sposi orò:

<< Il Dio d' Abramo, il Dio d'Isacco e di Giacobbe sia con voi, e piena infonda la sua benedizione sull'anime vostre. >>

Ciò detto gli asperse dell'acqua lustrale.

In quella chiesa nella stessa mattina furono inoltre congiunte in matrimonio cinque coppie di popolani, siccome allora il ricco pagava di buon grado la spesa delle feste pel povero, così quelle cinque fanciulle furon dotate dalla generosa pietà di Nèlla. Esse avevano assi stito al rito della benefattrice standosi tutte a capo la navata destra del tempio, e poichè fu impartita la bene. dizione si mossero di conserto e vennero a fare gentili schiette gratulazioni alla nobile sposa. La quale accennato al siniscalco, tolse da una borsa di velluto che egli portava, cinque gruppetti di denari in oro e tutta ilare

e con parolette piene di carità n'ebbe presentato le riconoscenti donzelle. Altro gruppo di denari fu consegnato al sacerdote, perchè li elargisse ai bisognosi della parrocchia e specialmente agli infermi.

Si udivano frattanto gli accordi dei sonatori, i quali fatto di sè un largo cerchio stavano aspettando dinanzi alla chiesa. Come gli sposi furono in sull' uscire ebbero il saluto d'una romorosa sinfonia di trombe, di corni, di pifferi, di liuti, d'arpe e di sistri: e da lontano anche qualche zufolo o qualche villereccia zampogna osava accompagnare il concerto cittadinesco. I messeri salirono in sella, e mentre movevano verso l' Arno per fare indi un largo giro a destra e ridursi in porta S. Pietro, una brigata di trecento giovani tutti vestiti di robe bianche venne loro incontro e apertasi in due lunghe ale, gli accolse con grandissima festa e cantici e suoni e grida bacchevoli. Nella piazzetta di Pescherìa fecero alto e il re dei Tintori ( era la brigata di tali artigiani), dato cenno ai suoi uomini mosse la voce e il piè ad un ri goletto aggraziato, e dietro lui molti della compagnia cominciarono a danzare colle donne in giro e a cantare. Gli sposi furono fatti centro di uno di que' vortici e vi doverono stare finchè ai coreofili non crebbe in testa la vertigine tanto da stramazzare. Che supplizio fu quello per Nella e per la giovinetta che stavale a manca! Fi nalmente cessò il ballo, scoppiò un evviva, indi capitarono in Por Santa Maria, in Vacchereccia e là ad Or San Michele ove la turba nuovamente fermavasi. E lì nuovi balli e suoni e strepiti lì stesso dove poche ore innanzi il fulvo Marco aveva ripieno di terrore la moltitudine. Ma in calen di maggio qualunque più fiero accidente sarebbe stato indarno per rivocare il popolo dal. l'allegria la più superlativa: avrebbe prodotto lo stesso effetto del piede d'un ragazzo sopra una riga di formi. che, quand' egli vuol prendersi il sollazzo d'interrompere le loro corse industriose: un momento di sospensione, indi più faccendiere e veloci di prima.

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Se non che il mettersi a tripudiare là dove poc'anzi lo sdegno di Dio contro la città si era manifestato, non poteva portarsi in pace da Lapo di Guazza Ulivieri buono e leale popolano, uomo grave d' età e di senno, il quale era molto riverito dalla plebe per i suoi detti sentenziosi, che, cosa rarissima allora anche in gentiluomo, sapeva alquanto di lettere sacre e profane: gli pareva un bur. larsi di Dio! Che fate, o miseri cittadini ? qual follia vi prese? diceva egli, come già l'antico Laocoonte ai Troiani che pazzeggiavano intorno al fatale cavallo. Menate menate il rigoletto; menate la ridda, sconsigliati! Non udiste? il leone ha rugghiato, dice Iddio per Amos profeta, e chi non tremerà? Leo rugiet et quis non timebit? Iddio Signore per sua bocca ha favellato e chi non profeterà sventure? Dominus Deus loquutus est et quis non prophetabit?

Tempo questo da prediche e da profezie!! Taci gaglioffo rispose di là un giullare, squadrandogli colle mani un atto di sconcio disprezzo.

E Lapo seguitava: menate carole, o sciocchi, o ciechi! trescate, ridete a cotesti uomini di corte, a cotesti giocolieri che di sopra e di sotto traggono a Fiorenza come corvi alla carogna per ingrassare: pasceteli, chè son valenti nella facile arte di farvi ridere; poi piangerete. L'uomo che attende ai giullari tosto avrà moglie, e il nome di lei sarà Povertà, e il figliuolo si chiamerà Schernimento (1). Il leone ha rugghiato, se non gli porgerete ascolto esso per avventura, dopo morta e disfatta la città, faravvi carolare laggiù collo impulso del fiammante suo fiato. Rammentate le sante e paurose parole del santo frate Alberigo: egli recita, e chiunque, se sa, il può leggere con gli occhi suoi propri; egli recita come le anime che stanno dinanzi dal leone e' le scaraventa col fiato

(1) « Homo joculatoribus intendens cito uxorem habebit, cuius nomen erit paupertas: et quis erit eius mulieris filius? Derisio. »

Epist. ad Raymundum, attribuita a S. Bernardo,

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nel luogo d'inferno che è da esse, siccome la bufera gagliarda mena colla sua rapina la polvere dalla faccia della terra (1). Egli ha rugghiato, egli ha fame delle nostre viscere. . . .

Marco avea fame di carne d'asino, perchè il guardiano stamane pensava più alle feste che a lui interrompeva un altro. E Lapo: Firenze sarà flagellata dal suo dente: sospendete i giuochi e lo intemperato schiamazzo, assettatevi anzi nell' arme, e nel coraggio più prestante di ogn' arma. Voi ridete e gavazzate? e il nemico arrota i ferri per piantarveli nel cuore. Sventurata la città che ride e tresca quando il pericolo la strigne! Il mirto reca affanni, dicevano i prodi figliuoli di Lacedemona. Ridete! a cui Dio vuol male toglie il

senno.

Queste ed altre somiglianti cose diceva ad alta voce e a varie riprese il buon popolano, ma era invano. Il rombazzo intronava le orecchie sì cupo ed alto, che appena le artiglierie di Solferino avrebbon potuto soverchiarlo laonde quegli, poich' ebbe ripetuto con enfasi la sua prediletta sentenza, cui Dio vuol male toglie il senno, si fece presso ad un cavaliere del corteggio, che avea cera d'un perfetto galantuomo e stavasene là da una banda. L'Ulivieri gli pose una mano sull' arcione e dirizzato il viso a lui, e questi a Lapo abbassatolo, cominciarono a ragionare. Favellavano di gran lena pure a fatica l'un l'altro riuscivano ad intendersi, cotanto era il nabissío della gente. La vista però di dieci o dodici famigliari dei Donati, che qua e là s' aggiravano portando in capo grandi ceste di fiaschi, contribuì assai a far cessare per un momento il baccano infernale: allora si potette udire da' più vicini un brano del discorso di que' due.

(1) « . . . animas autem, quae ante ipsos (leonem et canem) stabant, ipso sui flatus impulsu in quamlibet poenam impingebant, velut cum turbo vehemens projicit pulverem a facie terrae. »

Visione di fra Alberigo Monaco cassin., Cap. XIV,

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