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feditori, come quelli che primi dovevano ferire l'inimico. Ora pertanto erano da mettersi insieme questi feritori: per che il capitano generale, cui stava a cuore l'avere dinanzi al petto una rosta d'armati di quella tempra, voltosi a Vieri de' Cerchi, pregavalo principiasse egli, giusta la patria consuetudine, ad eleggere per il suo

sesto.

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Messer lo capitano (rispose con bel garbo il cavalier fiorentino traendosi innanzi col figlio e due nipoti, tre fiori di giovani), non dicasi che per me si abbia gravato alcuno per cimento sì arduo: io stesso quantunque malato in questa gamba sobbàrcomi di buon grado al l'impresa, e con me vogliono dividere il periglio questi miei figli.

Io son quinto, disse Dante Alighieri.

Ed io sesto, aggiunse Rossellino della Tosa.

In meno che io non saprei dirlo il nobile esempio attrasse centocinquanta giovani: venti di essi incontanente con brevissima cerimonia venner creati cavalieri novelli.

L'oste de' ghibellini nella sua forma generale poco differiva da quella de' guelfi, se non che quelli ebber disteso le genti a battaglione grosso e sodo, sì dei cavalli come dei fanti formando due corpi senza articolazione, e di soverchio i pedoni distanti dai cavalieri; dimenti cando o non sapendo quello che insegnano i maestri di guerra quando trattasi di ordinare un esercito a giornata, che cioè ha più vita quel corpo che ha più anime e che è composto di più parti, in modo che ciascheduna per se stessa possa reggersi. Il maggior disordine che facciano coloro che ordinano un esercito è dargli solo una fronte ed obbligarlo ad un impeto e ad una fortuna (1). Sulla manca del campo mandarono il conte Guido con 150 cavalieri; egli doveva ferire per costa i guelfi, come Corso

(1) Machiavelli, dell'Arte della Guerra.

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doveva caricare i ghibellini dall' altro lato. I feritori ghibellini salirono al numero di trecento; i primi dodici d'infra essi furono appellati paladini a significare com'eglino fossero i valorosissimi fra i valorosi (1).

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Parola di guerra per gli Aretini fu San Donato cavaliere: per i Fiorentini, Narbona cavaliere: mattezza in questi, falsità e lordume d'adulazione allo straniero anche in un solenne momento qual si era quello.

Dalla testa de' feritori ghibellini si mossero allora tre cavalli, e rapidissimamente recaronsi dinanzi a'guelfi a mezzo tiro di balestra: il cavaliere che stava nel mezzo sventolando un bianco stendale diè con piglio gentile ai nemici il gaggio della battiglia; lo accettarono questi a gran grida, e i tre cavalli tornavano ad attelarsi in quel muro di ferro, donde s'erano spiccati.

(1) Paladino fu titolo d' onore dato da Carlomagno a dodici uomini valorosi, dei quali si serviva a combattere per la Fede insieme con essolui, e furono quelli che i poeti celebrano nei loro versi come eroi.

Il Vescovo Guglielmino arringò in questa i suoi con acconcia orazione: Tirteo appena avrebbe saputo pareg giare l'ardore del prete guerriero. Dall'altra banda Amerigo s'accigneva a fare la sua diceria: trepidazione, deficienza di maschi pensieri, ignoranza d'idioma imba. razzavano il cavaliero brillante nella danza ma adesso la danza era quella di Marte. Allora il Mangiadore trattosi l'elmo di capo, e volto le spalle ai nemici, favellò queste parole, che Dino Compagni ci ha conservate :

<< Signori le guerre di Toscana soleansi vincere con bene assalire, e non duravano, e pochi uomini vi moriano, che non era in uso l' ucciderli : ora è mutato modo e vinconsi con istare ben fermi: il perchè io vi consiglio che voi stiate forti, e lasciateli assalire. »

Parve che i ghibellini udissero la conchiusione lasciateli assalire che in quello istante medesimo, altamente gridando San Donato cavaliere, baldanzosi e di gran foga si mossero con tutta la schiera equestre.

Anche le sacre pagine chiamano terribile l'oste schierata in campo: noi sentiamo agghiadarci di spavento al fragoroso rotolare del tuono: spaventoso appelliamo l'inabissare della tormenta, o della voluta che scende dall'alpi e di scheggia in scheggia, di fratta in fratta, di burrone in burrone cupa e reboante piomba nel profondo é sta; non meno di spavento pieno lo spettatore avrebbe chiamato il fragoroso scalpitare di quei settecento cavalli, che a sfrenatissimo corso scagliaronsi alla carica, il sordo rimbombo, il tintinnìo di tante armature! Così l'uomo cui nè beltà di natura ammansa, nè mitezza di stagione o di clima, rinnovava con istudio ferino quanto vi ha d' orrendo nella natura medesima.

Sparisce di mezzo il terreno ; i pavesari anche prima che li Aretini gl' investano hanno lasciato l'arringo ai feritori: Dante ravvolge in mente di slanciarsi

Qual esce alcuna volta di galoppo

Lo cavalier di schiera che cavalchi,

E va per farsi onor del primo intoppo (1),

ma l'obbedienza al comando val per lui meglio che l'onore del primo intoppo, e rammenta il soldato di Ciro che, udita la tromba della ritratta, pur mentre alzato lo stocco trafiggeva un nemico giacente, rattenne il colpo a mezz' aria rammenta Torquato; e poi non era lieve il repentaglio in che s'era cacciato facendosi feritore. In quelle membra bollenti di gioventù si racchiudeva un intelletto che dovea cavare dalla barbarie e illustrare la più bella tra le moderne letterature: saremmo indietro chi sa quanto, ov' egli men destro fosse stato a cansare la tempesta dei colpi, o men saldo avesse avuto il braccio, o l'animo! La celeste Provvidenza non tollerò tanto danno per la Italia.

L'urto fu sì poderoso che molti feritori guelfi traboccarono di sella, gli altri rincularono e collo squadrone diretano fecer groppo e massa. Ma un secondo impeto degli Aretini gli sospinse tanto che furon costretti appoggiarsi alla schiera pedestre. I fanti ghibellini credendosi già in pugno la vittoria non si mossero.

Quivi era un'accensione crudele a vedersi, ad ascoltarsi degna di pianto. Lo squadrone assalitore pur sempre avanzava serrato colla sicurtà e pesantezza d'un im. menso carro, spingendo, sfondando quanto si parava di fronte. Rombo, fracasso, incioccamento di spade assordava il cielo. Si confondevano a breve tratto su tutta la prima linea, si rigettavano or serrati ed ora spartiti. Cavalli e cavalieri eran coperti di squamme e di maglie d'elettissima tempra gli elmi aveano massicci e per lo più coprivan loro la faccia e il collo; ma di poco schermo eran quelle difese ai puntoni delle lance, ai manrovesci delle spade, ai colpi fulminanti delle mazze ferrate, ai fendenti tremendissimi delle bipenni. Tanto era il croscio e la vigoria di quelle percosse che petti, guance e cranî erano

(1) Purg., XXIV, 94.

squarciati e fessi con insieme la ferrea lamina; volavano le schegge, le scintille sprizzavano...

Quis fuit horrendos primus qui protulit enses?

Quam ferus? et vere ferreus ille fuit!

Dopo mezz'ora di quel furiosissimo cozzo le genti di Firenze furon ridotte a mal partito. Amerigo tocco al braccio sinistro da una martellata d'azza voltò a galoppo riducendosi premuroso tra le carrette degl' impedimenti; non si rivide più: ferito Dante da una chia. verina a sommo il petto: straziato e sanguinoso Guillaume in una guancia da un' alabarda che tagliatoli netto il barbazzale gli portò via il morione di testa: sanguinosi e morti la più parte dei feritori: percossi acerbamente o cascati cadaveri moltissimi cavalieri. Allora il Vescovo che stava tuttavia alla fronte delle sue fanterie posato e intento ad ogni mossa, come il piloto quando rompe fortuna, quantunque argomentasse certa la vittoria dai lieti gridari delle schiere equestri, mandò al conte Guido si movesse egli intanto a fiancheggiare il retroguardo dei vittoriosi compagni. Ben sapeva da quel gran guer. riero che egli era, quali rispetti debba avere un capitano nel bollore della zuffa, e come, quando si vince, debbasi con ogni celerità seguire la vittoria, e imitare in questo caso Cesare e non Annibale. Temeva perciò quello che addivenne, che l'ale de' fanti nemici non prendessero a spalle i suoi, fatti per avventura trascurati nella ebbrezza della vittoria. Guido rispondeva cupo al messaggero: stesse di buon animo messere il Vescovo, perciocchè a suo tempo si moverebbe: ora non sembrargli occasione da ciò.

Si muova subito e sostenga le spalle de' cavalieri! urlò accesissimo l'Ubertino.

Il messo sprona gagliardamente, rinnova l'ordine al conte, e il conte risponde: non tema di tutto ciò il Vescovo; quando il tempo fosse opportuno vedrebbe colpo

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