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entre colà si agitavano queste cose, Guaspar. rino ebbe portato l'annunzio e risparmiato di molte miglia, perciocchè i ghibellini erano in via tra Rassina e Bibbiena. Marciavano a gran passo per guarentire questo gagliardo e bel castello del vescovo dalle offese nemiche. Da primo millanterie, pazzeggiamenti di smo data allegrezza, poi confusione, trepidazione le usate vicis. situdini del cuore umano. Ben vengano, gridavano i più baldanzosi, ben vengano, gliene daremo a isonne a queste vagheggieríe dalla zazzera liscia. S'accostino i profumati cavalieri; son due cotanti più di noi, ma li ab biamo a schifo e per niente. E l'altro diceva: buono! faremo l'anniversario della Pieve al Toppo. E un altro venite! e per San Donato, avrete da noi in testa discri

minature di nettissimo taglio. E qui a maledire piutto sto la propria loro bessaggine e pigrizia per non essersi levati a prevenirli sulle gole della montagna, ove di leggeri ai passi li avrebbon potuti cogliere e sgomi

nare.

Spuntò il mattino del dì 11 giugno (1289): con grandissime voci e suono di stromenti uscirono fuori della terra, e passato il torrente dell' Archiano vennero a Certomondo. Ottocento i cavalieri, ottomila i pedoni, tutta bella e brava gente, il fiore dei ghibellini di Toscana e delle contrade limitrofe.

<< Se il frate è chiamato a colloquio, secondo la regola, pianamente e senza riso, poche parole e ragione. voli parli ed innanzi che profferi, la parola venga al palato quasi due volte per dirla, prima che la lingua parli una. Se addiviene che abbia a parlare con alcuno secolare allora massimamente ponga la guardia alla bocca sua, sì che in niun modo niente parli, che non edifichi colui che l'ode (1). »

Così favellava al portinaio un vecchio frate di Certomondo allorquando con gran romore fu percossa la porta del convento. Gli altri religiosi erano per la più parte in coro dove, detta la prima ora del divino uffi zio, stavansi meditando in silenzio le opere sante del l'apostolo Barnaba, a cui era sacro quel giorno. E nella lucidezza di lor mente ripensando le faticose pellegrinazioni per la terra e pel mare che esso fece in gran parte a fianco di S. Paolo, e i contrapponimenti superati, e i rischi corsi, e l'acceso amore per la felicità vera degli uomini, e le ire de' tiranni non curate, e le catene e il supplizio; s'animavano, s'infiammavano, chiedevano caldissimamente a Dio si degnasse farli partecipi di quei santi travagli. Avvegnachè levato il sole, scarso lume scendeva nel coro: vasti nuvoli erravano isolati qua e

(1) S. BERNARDO, Speculum Monach. Volgarizz. del buon secolo.

là per l'emisfero, l'aria era affannosa. Alcuni scrittori anche sommi di quel tempo si son piaciuti, novellando, dipingerci i frati grassi e spensierati, o se un pensiero avessero al mondo quello fosse del contentamento di quanti ha sensi il figliuolo d'Adamo. Ci hanno detto che poco panno bisognava per fornire le cappe a coloro che viveano a regola: che, vitupero del guasto mondo, non si vergognavano d'apparire morbidi ne' vestimenti e in tutte le cose loro che procedevano tronfi e petturati come galli che in cella nutricavano come le signorine rarissimi uccelli venuti d'oltremare a prezzo sfoggiato; vi serbavano alberelli colmi di lattovari e d' unguenti, guastadette con acque ed olii lavorati, e bottacci di malvagia, di vinsanto, di greco e d'altri preziosi vini, per modo che non celle di frati, ma botteghe di speziali e d'unguentari apparissero ai riguardanti. Che perciò di sovente costoro pativano di chiragra e di podagra; che d'altra parte i molti digiuni e le scarse e grossolane vivande sogliono fare gli uomini magri e sani, e se infermi non almeno di gotte: che le vigilie lunghe, l'orare e il di sciplinarsi dovean rendere gli uomini pallidi ed afflitti: che nè S. Domenico, nè S. Francesco avevano quattro cappe per uno: che non si vestivano di tintillani, nè di altri panni gentili, ma di lana grossa e di natural colore, per cacciare il freddo non per far pompa. Tutte queste belle parole ed altre assai ci lasciarono scritte; ma noi siamo persuasi che quegli scrittori peccassero, per lo meno, contro la logica, come moltissimi de' moderni, affibbiando cioè al ceto generale que' falli che raramente trovavansi nell' individuo. Certo si è, che i religiosi di Certomondo viveano alla norma rigorosa proposta ad essi dal Santo assisano: e tu li avresti veduti quel sabato mattina a quella poca luce pallidi e affilati, con in volto le tracce manifeste della vita sottile, delle lunghe vigilie e dei digiuni; tu li avresti veduti coperti di lane grossiere, biancastre per il logoro, e punto nulla appariscenti.

La meditazione fu interrotta dallo sterminato tam. busso dell'armi, dai nitriti di tanti cavalli che ampiamente all'intorno occupavano il terreno. Entrò in Chiesa il capitano generale dell' oste, e toltosi l'elmo di fronte e la spada dal fianco, dimandò i sacri paramenti. I religiosi sorpresi dallo strano arnese onde veniva loro di nanzi quel'a mane il Vescovo d'Arezzo, apprestarono con qualche esitanza quanto si richiedeva. L'abuso di quel secolo feroce portava che i Vescovi e gli Abati fossero qualche volta coll'elmo in capo anzichè colla mitra.

Furono creati e benedetti i cavalieri novelli, fu benedetta l'oste con grande solennità, e appresso ciò Guglielmo de' Pazzi nipote del Vescovo il più avvisato capitan di battaglia che fosse a' tempi suoi in Italia si mise ad ordinare le schiere per marciare di subito co' fanti a sovraccollo di Romena, e tenere i cavalli sul greto dell'Arno. Era suo avviso d'inviluppare colà i ne. mici prima che si stendessero alla pianura, dove avreb bero essi Aretini avuto indubbiamente svantaggio, minori assai com'erano di cavalleria. Quantuque grave alcun poco d'anni precedeva le schiere il Vescovo spigliato e ardente su d'una bianca cavalla di grande e nobile fa zione, covertata di gualdrappa ermisina, con testiera d'acciaio a commessi d'argento e soprasmalti di bellissimo lavoro; a sinistra caracollava Buonconte figlio del conte Guido da Montefeltro, a destra il nipote ora lodato. Ma si erano di breve spazio inoltrati per la campagna quando il Vescovo, che avea corta vista, aguzzando lo sguardo per l'aria uliginosa e accennando là ove la valle si allarga, dimandò: quelle, che mura sono? Fugli risposto: i palvesi dei nemici (1).

Era infatti l'esercito guelfo che, risaputo dagli esploratori come i ghibellini avesser preso partito di venir oltre con tutto il loro sforzo, e si da vicino li strin

1) D. Compagni..

gessero, erano scesi di buon' ora in mezzo a Campaldino ed ivi schieratisi con tutta disciplina. L'ordine delle schiere fu questo: mille e più cavalieri furono insieme squadronati a larga fronte e con ordini affondi, ma non molto compatti: a que' condottieri piaceva meglio il modo dei Romani, anzichè quello della falange macedonica, per ritrarre all'occorrenza i feriti tra gli spazj, e presentare fresca e rigogliosa la seconda e terza linea. Ne fu capitano Amerigo, o piuttosto Barone de' Mangiadori con Guillaume. Sulla testa di questi furono spiegati in quadruplice lista i pavesari a piè, i quali doveano partirsi in due e ripiegarsi su' corni alla prima affrontata. Ai fianchi dei cavalli stavano gagliardi e audaci i balestrieri ed i picchieri; cinquecento uomini per banda: veníva poscia, distante alquanto, la schiera grossa de' pedoni, la cui testa fu coronata dalla compagnia di messer Ame. rigo. A destra e a manca fasciavano il vuoto spazio due battaglie di trecento uomini ciascheduna; la destra guidavala messer Maghinardo da Susinana, l'altra il Baschiera de' Tosinghi. Sulla prima riga de'pedoni svento. lava la bandiera reale, la quale, come è detto, fu affidata a messer Gherardo Tornaquinci. Dal lato manco rimpetto ai corni supremi, in distanza di cinque o seicento passi, appostarono i cavalli pistoiesi e lucchesi condotti da messer Corso, con alcuna compagnia di fanti leggeri. Coda a tutto l'esercito facevano le salmerie, quasi a rattento in caso di mala ventura.

Dinanzi al grosso dei cavalieri solean porre a quei tempi in Italia una compagnia scelta tra i migliori dell'esercito i capitani fiorentini ne eleggevano tanti per sesto, spesso però addiveniva che da se medesimi i giovani con nobil devozione si eleggessero. Questa squadra che rimaneva come mascherata dall'avantiguardia de'pa. vesari o arcieri, gente d'ordinario indisciplinata e randagia, doveva la prima attaccare la mischia urtando o sostenendo gli appellavano perciò con arcaico vocabolo

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