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Tenta costui dei punti lievi e gravi,
Come ti piace, intorno della Fede
Per la qual tu su per lo mare andavi,
(ivi, 34-39)

La grazia che mi dà ch'io mi confessi,
Comincia' io, dall' allo primipilo,
Faccia li miei concetti bene espressi.

(ivi, 58-60)

E quel baron, che si di ramo in ramo,
Esaminando, già tratto m' avea
Che all' ultime fronde appressevamo,

Ricominciò ec.

(ivi, 115-117)

Quando io udi': Se io mi trascoloro,
Non ti maravigliar; chè, dicend' io,
Vedrai trascolarar tutti costoro.

Quegli ch' usurpa in terra il luogo mio,
Il luogo mio, il luogo mio che vaca
Nella presenza del figliuol di Dio.

Fatto ha del cimiterio mio cloaca

Del sangue e della puzza, onde il perverso
Che cadde di quassù, laggiù si piaca.

Di quel color, che per lo sole avverso
Nube dipinge da sera e da mane,
Vid' io allora tutto il ciel cosperso.

E come donna onesta che permane
Di sè sicura, e, per l' altrui fallanza,
Pure ascoltando, timida si fane:

Cosi Beatrice trasmutò sembianza;
E tal ecclissi credo che in ciel fue,
Quando pati la Suprema Possanza.

Poi procedetter le parole sue

Con voce tanto da sè trasmutata
Che la sembianza non si mutò piue:

Non fu la sposa di Cristo allevata

Del sangue mio, di Lin, di quel di Cleto,
Per essere ad acquisto d'oro usata;

Ma per acquisto d'esto viver lieto

E Sisto e Pio, Calisto ed Urbano
Sparser lo sangue dopo molto fleto.

Non fu nostra intenzion ch'a destra mano
Dei nostri successor parte sedesse,
Parte dall' altra, del popol cristiano;

Nè che le chiavi, che mi fur concesse,
Divenisser segnacolo in vessillo
Che contra i battezzati combattesse;

Nè ch'io fossi figura di sigillo

Ai privilegi venduti e mendaci,

Ond' io sovente arrosso e disfavillo

In veste di pastor lupi rapaci

Si veggion di quassù por tutti i paschi:
O difesa di Dio perchè pur giaci !

Del sangue nostro Caorsini e Guaschi
S'apparecchian di bere; o buon principio,
A che vil fine convien che tu caschi !

Ma l'alta providenza, che con Scipio
Difese a Roma la gloria del mondo,
Soccorrà tosto si com' io concipio.

E tu, figliuol, che per lo mortal pondo
Ancor giù tornerai, apri la bocca,

E non asconder quel ch'io non ascondo,

(Par. XXVII, 19-66)

XLII. È evidente che in questo capitolo Alberico accenni a personaggi e fatti del tempo, e che noi, quindi, ignoriamo. Ciò avviene spesso anche in Dante, e perciò alcuni versi della Commedia ci riescono oscurissimi, mentre non lo erano ai tempi del poeta. Non si dica, poi, che in questo episodio ci sia la solita grettezza ed egoismo del claustrale per avere Alberico voluto sfogare il suo malumore contro qualche potente personaggio, nemico all' Ordine o al monastero. Ciò non è affatto vero; lo sarebbe se egli avesse censurati e puniti i laici, ed esaltato l'elemento ecclesiastico. Invece egli assoggetta tutti alla stessa pena, il signore e la signora del luogo, il sacerdote e i terrazzani; amici e nemici, proprio come fa Dante. Anzi a me pare che Alberico aggiunga quest' altro episodio appunto per aver l'agio di censurare ancora una volta i corrotti costumi degli ecclesiastici.

Civitatem desertam. Spira davvero dolore e tristezza questa città deserta. Dante chiama la città di Dite terra sconsolata (Inf. VIII, 77), espressione che in un certo modo corrisponde a civitatem desertam, di Alberico.

Audivi vocem magnam in modum iubilantis et lugentis. personam autem non vidi. Dante, entrato nella selva dei suicidi, sente tragger guai, e, non vede persona che ciò faccia:

Io sentia da ogni parte tragger guai,

E non vedea persona che il facesse,
Perch' io tutto smarrito mi arrestai.

Il iubilantis et lugentis corrisponde a tragger guai; il personam autem non vidi a non vedea persona che il facesse. Già l'orrore che spira tutta questa scena Alberichiana, si avvicina molto a quello che spira la dolorosa selva dei suicidi danteschi.

Cumque ego timens et pavens astarem, è il dantesco stetti come l'uom che teme (Inf. XIII, 45); l'astarem è proprio lo stette di Dante.

Quia sicut lupus ecc. Nel paragone Alberichiano del sacerdote cattivo col lupo ci si sente qualche cosa del forte sdegno dantesco. Dice Virgilio a Plutone: Taci, maledetto lupo,

Consuma dentro te con la tua rabbia.

(Inf. VII, 8-9)

Anche il S. Pietro di Dante, ma in una forma ben più terribile, dice che di lassú si veggono in veste di pastori, lupi rapaci:

In veste di pastor lupi rapaci

Si veggion di quassù per tutti i paschi:
O difesa di Dio, perchè pur giaci?

(Par. XXVI, 55-57)

XLIII. L'allusione Alberichiana ai vescovi ed ai pontefici, sente proprio del dantesco. Alberico sferza a sangue gli ecclesiastici: aggiungendo un omnes (.... pontifices et episcopi, et ecclesie ministri omnes a via veritatis declinantes ecc.) mostra di non eccettuarne nessuno: il che è proprio della fierezza e della inesorabilità dantesea.

Crocifixus... cotidie plangit et lacrimatur peccata ho

minum. Come è umana l'immagine del Cristo che piange continuamente i peccati degli uomini; come liricamente, con le lagrime di Cristo, chiudesi la

Visione!

XLV. Nella figura del Catone dantesco c'è qualche tratto di quella del S. Pietro alberichiano. Questi ha canis aspersum caput; Catone

Lunga la barba e di pel bianco mista
Portava ai suoi capelli simigliante

Dei quai scendeva al petto doppia lista.

(Purg. I, 34-36)

Una collana di oro fregia, intorno al collo e al petto, la candidissima tunica di Pietro: Dante dice di Catone:

Li raggi delle quattro luci sante

Fregiavan si la sua faccia di lume,

Ch' io 'l vedea come il sol fosse davante.

(ivi, 37 39)

Non pare che il decorabat di Alberico corrispon

da al fregiavan di Dante?

XLVI. cum reversus fueris. Dante:

E quando tu sarai tornato al mondo,
Pregoti che alla mente altrui mi rechi;
Più non ti dico, e più non ti rispondo.
(Inf. VI, 88-90)

E tu, figliuol, che per lo mortal pondo,

Ancor giù tornerai ecc.

(Par. XXVII, 64-66)

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