Tenta costui dei punti lievi e gravi, La grazia che mi dà ch'io mi confessi, (ivi, 58-60) E quel baron, che si di ramo in ramo, Ricominciò ec. (ivi, 115-117) Quando io udi': Se io mi trascoloro, Quegli ch' usurpa in terra il luogo mio, Fatto ha del cimiterio mio cloaca Del sangue e della puzza, onde il perverso Di quel color, che per lo sole avverso E come donna onesta che permane Cosi Beatrice trasmutò sembianza; Poi procedetter le parole sue Con voce tanto da sè trasmutata Non fu la sposa di Cristo allevata Del sangue mio, di Lin, di quel di Cleto, Ma per acquisto d'esto viver lieto E Sisto e Pio, Calisto ed Urbano Non fu nostra intenzion ch'a destra mano Nè che le chiavi, che mi fur concesse, Nè ch'io fossi figura di sigillo Ai privilegi venduti e mendaci, Ond' io sovente arrosso e disfavillo In veste di pastor lupi rapaci Si veggion di quassù por tutti i paschi: Del sangue nostro Caorsini e Guaschi Ma l'alta providenza, che con Scipio E tu, figliuol, che per lo mortal pondo E non asconder quel ch'io non ascondo, (Par. XXVII, 19-66) XLII. È evidente che in questo capitolo Alberico accenni a personaggi e fatti del tempo, e che noi, quindi, ignoriamo. Ciò avviene spesso anche in Dante, e perciò alcuni versi della Commedia ci riescono oscurissimi, mentre non lo erano ai tempi del poeta. Non si dica, poi, che in questo episodio ci sia la solita grettezza ed egoismo del claustrale per avere Alberico voluto sfogare il suo malumore contro qualche potente personaggio, nemico all' Ordine o al monastero. Ciò non è affatto vero; lo sarebbe se egli avesse censurati e puniti i laici, ed esaltato l'elemento ecclesiastico. Invece egli assoggetta tutti alla stessa pena, il signore e la signora del luogo, il sacerdote e i terrazzani; amici e nemici, proprio come fa Dante. Anzi a me pare che Alberico aggiunga quest' altro episodio appunto per aver l'agio di censurare ancora una volta i corrotti costumi degli ecclesiastici. Civitatem desertam. Spira davvero dolore e tristezza questa città deserta. Dante chiama la città di Dite terra sconsolata (Inf. VIII, 77), espressione che in un certo modo corrisponde a civitatem desertam, di Alberico. Audivi vocem magnam in modum iubilantis et lugentis. personam autem non vidi. Dante, entrato nella selva dei suicidi, sente tragger guai, e, non vede persona che ciò faccia: Io sentia da ogni parte tragger guai, E non vedea persona che il facesse, Il iubilantis et lugentis corrisponde a tragger guai; il personam autem non vidi a non vedea persona che il facesse. Già l'orrore che spira tutta questa scena Alberichiana, si avvicina molto a quello che spira la dolorosa selva dei suicidi danteschi. Cumque ego timens et pavens astarem, è il dantesco stetti come l'uom che teme (Inf. XIII, 45); l'astarem è proprio lo stette di Dante. Quia sicut lupus ecc. Nel paragone Alberichiano del sacerdote cattivo col lupo ci si sente qualche cosa del forte sdegno dantesco. Dice Virgilio a Plutone: Taci, maledetto lupo, Consuma dentro te con la tua rabbia. (Inf. VII, 8-9) Anche il S. Pietro di Dante, ma in una forma ben più terribile, dice che di lassú si veggono in veste di pastori, lupi rapaci: In veste di pastor lupi rapaci Si veggion di quassù per tutti i paschi: (Par. XXVI, 55-57) XLIII. L'allusione Alberichiana ai vescovi ed ai pontefici, sente proprio del dantesco. Alberico sferza a sangue gli ecclesiastici: aggiungendo un omnes (.... pontifices et episcopi, et ecclesie ministri omnes a via veritatis declinantes ecc.) mostra di non eccettuarne nessuno: il che è proprio della fierezza e della inesorabilità dantesea. Crocifixus... cotidie plangit et lacrimatur peccata ho minum. Come è umana l'immagine del Cristo che piange continuamente i peccati degli uomini; come liricamente, con le lagrime di Cristo, chiudesi la Visione! XLV. Nella figura del Catone dantesco c'è qualche tratto di quella del S. Pietro alberichiano. Questi ha canis aspersum caput; Catone Lunga la barba e di pel bianco mista Dei quai scendeva al petto doppia lista. (Purg. I, 34-36) Una collana di oro fregia, intorno al collo e al petto, la candidissima tunica di Pietro: Dante dice di Catone: Li raggi delle quattro luci sante Fregiavan si la sua faccia di lume, Ch' io 'l vedea come il sol fosse davante. (ivi, 37 39) Non pare che il decorabat di Alberico corrispon da al fregiavan di Dante? XLVI. cum reversus fueris. Dante: E quando tu sarai tornato al mondo, E tu, figliuol, che per lo mortal pondo, Ancor giù tornerai ecc. (Par. XXVII, 64-66) |