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l'analisi di quei tre versi, che ne spiega il senso letterale; se il contesto, che ne chiarisce il contenuto; se il parallelismo, che ne compie il concetto, congiungendolo e ad altri luoghi della Divina Commedia d'un senso evidentissimo, e al subietto allegorico prefisso dall'Alighieri al suo poema; se la dottrina aristotelica e tomistica, di cui Dante fu sempre sincero seguace; se le chiose de' commentatori, specie di quelli che furono o coevi o vicinissimi all'autore: se tutto questo riesce a mostrare che la celebre terzina del quarto canto del Paradiso, nè per sè nè per le deduzioni che se ne derivassero, non può darci alcun senso determinista: noi avremo piena ragione di dire che la critica e l'ermeneutica più rigorosa, rigettano ogni accusa di determinismo, che con essa si volesse dare all'Alighieri; per metterlo poi anche nella brutta lista dei negatori del libero arbitrio, magari, per un momento di distrazione, per uno scappuccio di logica, per una miserevole allucinazione.

E qui poi, ad onore dell'altissimo poeta, sien posti a riscontro dei tre versi così maltrattati, quest' altri che ne son lume, e per cui, facendo il poeta, quasi presago dell' avvenire, schermo a se stesso, colpiva mortalmente ogni determinismo: Onde, pognam che di necessitate

Surga ogni amor che dentro a voi s'accende,
Di ritenerlo è in voi la potestate. »

(Purg. XVIII, 70-72)

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ministi l'argomento appunto, gli ammoni come gli uomini sio di queste cose deler o sociale, allora si non son persuasi gli ranno ubbidite le lor seguiti gli avvisi e g gono; sempre temute mini in vece dicono pr ubbidisce alle leggi d dagli uomini, e ne far e ciò prova che tutti l'uomo non è determin nè da legge naturale ragioni per avvisi, a minacce e simili. E p dalle parole di quell' e di quell'uomo di ch mente conchiuder null zione determinista dala E or raccogliendo ragionato intorno al luog lo Schopenhauer e lo Zan certo con più linceo sgu mula del determinismo, arbitrio, l'incoerenza de la piena dissonanza tra il coglie e la dottrina di S

GIUSEPPE DI COSIMO URBANO

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STUDI

GRAMMATICA COMPARATA

LATINA E ITALIANA

V. VECCHI, TIPOGRAFO-EDITORE

Conceder poi all'uomo una libertà esterna e negargli l'interna, è cosa ridevole: perchè è ridevole dire in qualunque modo libero chi non ha in sè il poter volere o non volere ciò che si dice esser lui libero di fare o di non fare: in altri termini è cosa ridevole parlar di libertà politica o civile, concessa od ottenuta dagli uomini, se son essi continuamente avvolti tra le spire inestricabili della interna necessità. Onde a buon diritto l'Alighieri insegnava che la libertà d'arbitrio è principio d'ogni altra libertà; ch'essa è il massimo dei doni conferiti da Dio all'umana natura; che per essa possiamo farci felici qui in terra mortali, felici quando saremo immortalmente indiati in cielo: - «Libertas (arbitrii) sive principium hoc totius nostrae libertatis est maximum donum humanae naturae a Deo collatum: quia per ipsum hic felicitamur, ut homines: per ipsum alibi felicitamur, ut dii.» (De monarch. I, 14). Pensiero questo che sono sì dolce e bello sulle labbra di Beatrice in paradiso, quand'ella disse:

Lo maggior don, che Dio per sua larghezza
Fêsse creando, ed alla sua bontate

Più conformato, e quel ch'ei più apprezza,

Fu della volontà la libertate,

Di che le creature intelligenti,

E tutte e sole furo e son dotate. »

(Parad. V. 19-24)

L'OSSA DI RE MANFREDI

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