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più anni con una attività febbrile a demolir quest'Italia antica, quale l'ha fatta la Provvidenza e i nostri gloriosi antenati; e in quella vece ne stanno ricostruendo una nuova, basata su altre fondamenta e con altro disegno e scopo. Essi sì demoliscono l'Italia cristiana e cattolica per eccellenza, e la rifanno pagana ed incredula; sognando un primato, o almeno un posto eguale a quello che tengono le più grandi nazioni nel commercio, nell'industria, nelle armi, nella politica, e che so io; e sperando di poter pur conservare il primato antico nelle belle arti e in tutte le opere del genio. Ma sono sciocchi ed acciecati, poichè se non vale a disingannarli la storia di tanti secoli, la quale ci mostra ad evidenza, che mai l'Italia potè essere quale essi la vogliono ad onta di tutti gli sforzi, dovrebbe loro bastare almeno la propria esperienza degli ultimi venti o trent' anni, in in cui, checchè essi pretendano altrimenti, in ciò ch'è vero progresso e che rende grande una nazione, s'è andati indietro e non avanti! E per fermo, che cosa valga quest' Italia, da essi così raffazzonata, nelle belle arti ce lo han mostrato le ultime esposizioni mondiali, ove certo non fece la miglior figura ; che cosa valga in letteratura ce lo sta mostrando il verismo dello Stecchetti, del Carducci e consorti, i quali dal canto loro l'hanno proprio gittata nel fango; che cosa valga nelle armi ce lo ha mostrato Custozza e più Lissa; fatto si vergognoso, che ha fatto ridere e farà ridere il mondo finchè se ne conserverà la memoria. Che cosa valga in politica ce lo ha mostrato il Congresso di Berlino del 78, ove l'Italia contò poco più che avrebbe contato la Repubblica di S. Marino, se vi fosse stata rappresentata; che cosa valga nel commercio e nell' industria ce lo mostra la miseria sempre crescente, di maniera che la nazione più ricca del mondo per feracità di suolo, per posizione geografica, per commodità di trasporti, è addivenuta la più povera e misera; onde ogni anno centinaia di migliaia d'Italiani deono andare a guadagnarsi un tozzo di pane in lontane contrade per togliersi la fame: il che quanto concili stima e lode alla nazione, Dio vel dica! Ogni qualvolta si riflette, che la sola Repubblica di Venezia, la quale in fondo non contava che quattro milioni di sudditi, e ciò all'auge di sua grandezza,

fu per tanti secoli più ricca e potente, più stimata e temuta che non è oggi tutta l'Italia co' suoi vent' otto milioni, per chiunque senta tuttavia vivo l'amor di patria, c'è proprio d'arrossirne, benchè si abbia la coscienza sicura di non avervi colpa veruna !... Diranno forse i fattori e i fautori della nuova Italia: aspettate, chè la nazione non si forma quale si vuole in venti anni. «La scusa sarebbe buona ad allegarsi, ripeteremo qui colla Civiltà Cattolica, quando in realtà le condizioni si vedessero per ogni parte in via di miglioramento, al che ottenere bastavano bene i venti e i trent'anni che gli uomini della nuova Italia ebbero da impiegarvi, e non sono un giorno. Ma quando le condizioni non fanno tutto il tempo che peggiorare e si viene scendendo di continuo per la china, il dirci che in venti anni non si può arrivare alla cima, è un burlarsi di e del prossimo: dovreste anzi accorgervi e confessare che per questa via non vi si arriverebbe in mille anni... » (1) Non avvi dunque via di mezzo per l' Italia, secondo i savi, o mantenersi il primato che ha avuto sino ad ora, massime il religioso, ch'è, giova ripeterlo, il più glorioso ed invidiato, o non averne nessuno; ed ammesso anche per un momento che potesse avere quello che desidera, mai però il potrà avere senza dell' altro già avuto: un'altra nazione sì, ma essa nò, chè la Provvidenza l'ha fatta così, e con la Provvidenza non giova cozzare, se ne andrebbe con la testa rotta anche chi non vi crede...

Ma, si obbietterà : non si vive mica questa vita terrena nè di religione, nè di scienze solo speculative, e nemmeno di belle arti. Cel sapevamo questo, e veramente sarebbe sciocco chi pensasse altrimenti ; si risponde però in primo luogo, che con questo non si vuol dir mica che in Italia non s'abbia a coltivare il commercio, l' industria, ma solo che ciò non potrà essere il suo distintivo, la sorgente principale delle sue ricchezze, almeno presa la nazione nell' insieme. In secondo luogo, che questa sorgente di ricchezza essa l'ha nell'agricoltura. Onde il pocanzi citato Alfani, rivolto agl' Italiani dice loro: « L'Italia, lo sappiamo, non potrà mai diventare una nazione manufattu

(1) Anno 1881, vol. IV, pag. 579.

riera siccome l'Inghilterra. (1) Però coll' aiuto potente dei nobili e coll'armonia di tutte le forze della nazione, schiva d'ogni eccesso, e ispirata al puro concetto cristiano, potrà via via riacquistare quella condizione superiore scientifica ed economica, ch'ebbe ne' secoli scorsi, e che la resero per tanto tempo argomento d'emulazione agli altri popoli. Essa potrà, inoltre, aprirsi una sorgente di prosperità, curando ognora più quella industria cui sembra destinata particolarmente. Intendiamo dire dell'agricoltura, per l'accrescimento della quale i signori dovrebbero, a parer nostro, spendere le cure più indefesse. Poichè abbiamo citata l'Inghilterra, non è male rammentarci come questa nazione, non ostante che abbia molte altre fonti di ricchezza, non lasci di coltivare con diligenza anche l'agricoltura. Di guisa che con un clima non troppo secondo, anche in questa industria gode il primato sulla Francia e sull'Italia... Chi va sognando di poter dirigere il lavoro e l'operosità della nazione italiana a speculazioni e ad imprese d'altra natura, e mostrate dall'esperienza troppo aliene dalle consuetudini e dal nostro spirito paesano, ci sembra che recherebbe a stemperare la non mediocre potenza del nostro ingegno nativo e della nostra contrada » (2)

Deh! che di questa nostra cara patria si adempia in fine quanto prima ciò che un illustre suo figlio le augurava già sono molti anni. « La bellezza del cielo, cosi costui, la temperanza del clima, la soavità dell' eloquio, la fecondità del suolo, la

(1) La ragione principale per cui l'Italia non è nazione manufatturiera, è, come bene osserva il Leo, « perch'essa è destinata a qualche cosa di meglio che non sia a consumar la vita in una lotta corporale, distruggitrice delle forze dello spirito. » Un Francese, Carlo Boissay, nell'Esposizione di Parigi del 1867, parlando delle macchine inviate colà dalle diverse nazioni, dice dell'Italia: « Questo paese non è ricco: nessuna macchina è in movimento (qui c'è dell' esagerato): quasi tutti i costruttori si limitarono ad inviare dei modelli, il cui trasporto é meno costoso di quello delle macchine stesse. Oltrechè questi artisti, questi musici, questi scultori ispirati, questi pittori distinti, sono quasi spaventati dalle rozze macchine: abituati al marmo, essi sdegnano il ferro. Gli spositori meccanici si nominano Cuppy o Westermann, strani nomi italiani per verità... » (Dall' Esposizione Universale del 1867 Illustrata, pag. 838).

Si soggiugnerà forse: ma l'esposizione nazionale tenutasi testè in Milano, non ha mostrato ad evidenza, che anche l'Italia sa essere industriosa e manufatturiera, e che in ció ha fatto in poco tempo molto progresso? Si certamente, ma ciò mostra solo in fondo che si potrebbe fare a meno di ricorrere all' estero per molte cose, che appunto si possono fare in casa propria.

(2) Opera citata, ecc., pag. 256.

grandezza delle memorie, e più che ogni altra cosa, gl' influssi cristiani, le partorirono tutti quei portenti di scienza, di valore, di senno, di arti, di pietà, d' industria, che nell' età di mezzo fecero dell'Italia il risedio della civiltà, la madre e la maestra delle nazioni. Primato che non tarderà a ripigliare, come cessi il dissidio funesto che la travaglia, la libertà si riamichi con la religione, la scienza con la fede, le tradizioni del passato colle speranze dell' avvenire, e si stringano meglio i vincoli naturali che legano tra loro le provincie sorelle. Perciocchè Iddio non concede in sì gran copia i suoi doni ad un popolo, se non perchè lo ha sortito a compiere grandi disegni sopra la terra. Il passato ci deve essere mallevadore dell' avvenire; dovendosi tenere per indubitato, che se nell' Occidente la civiltà cristiana ha dato frutti così splendidi e copiosi, si dee in gran parte ripetere dalla nostra Italia, la quale, vegliando alla custodia dei veri rivelati, impedì che la civiltà tralignasse e si facesse ritorno alla barbarie, com' è avvenuto all'Oriente per essersi affrancato da lei, e avere spezzati i sacri vincoli che lo univano al centro indefettibile della verità.» (1)

Conclusione.

Ed eccoci la Dio mercè alla fine di quest' umile lavoro, intrapreso a gloria sua e a difesa ora diretta, ora indiretta della santa religione. Se diamo uno sguardo indietro, vedrem di leggieri esso non essere altro dal principio alla fine che una rapidissima esposizione della lotta accanita tra la verità. e l'errore, tra il bene ed il male, tra Dio in una parola ed il demonio e loro seguaci; incominciata per noi mortali là nel terrestre paradiso, allorquando riuscì al demonio, autore del male e della menzogna, di fare apostatare l'uomo da Dio, verità e bontà per essenza; e che solo finirà col finire del mondo, perchè allora solo l'uomo cesserà d'essere viatore, e di potere perciò più seguire liberamente l'uno o l'altro de' due capi. Lotta, che il Grande Agostino espresse

(1) P. Marchese ecc. Saggio di Conferenze Religiose ecc. pag. 127

assai bene colla bella similitudine delle due città, la celeste, o di Dio, i cui abitanti sono tutti i giusti e tutti i santi, i quali aderiscono al solo vero Dio, e lui solo adorano e servono; e la terrena, o del demonio, i cui abitanti invece si rivolgono a dei falsi e bugiardi, e ad essi prestan culto e servitù, servendo alle passioni ed alle terrene cupidigie. (1) S. Ignazio poi di Lojola ce la rappresenta sotto la figura de' due Stendardi, uno innalzato da Cristo e sotto cui si schierano tutti i seguaci suoi, bramosi di correr con lui, colla croce in ispalla, le vie dell' umiltà, della mortificazione e del dispregio del mondo, affine di sempre più dilatar la gloria di Dio, ed ottenere la propria ed altrui salvezza; e l'altro innalzato da Lucifero, cui aderiscono tutti coloro che aman percorrere le vie piane e commode dei terreni piaceri, della gloria mondana, senza punto cúrarsi dell' anima propria, anzi ponendola affatto in non cale. (2)

La quale lotta però alla venuta di Cristo al mondo cambiò aspetto, poichè il demonio da vincitor ch'egli era sino a quel momento, e padrone e Signore poco men che di tutto il genere umano, rimase invece vinto dal medesimo Cristo, fu sbalzato dal soglio, spogliato in gran parte della fatta preda; e se non fu del tutto abbattuto, rimase però assai debole ed estenuato di forze. In una parola, come dice l'Apostolo Paolo, Dio ci die' vittoria per Gesù Cristo. (3) Affinchè poi una tal vittoria fosse, per così dire, duratura e continua, Cristo fece di più pria di tornarsene al cielo, fondò nel centro stesso del suo regno sulla terra una rocca, la Chiesa, la cinse all'intorno di altissime mura, ne affidò la custodia al suo Vicario, al Pontefice Romano; ed assicurolla colla stessa sua parola, che gl' inimici infernali, Satana cioè e suoi seguaci, si leverebbero sì contro, l'assedierebbero all'intorno, farebbero tutti gli sforzi possibili per espugnarla, giammai però riuscirebbero nell' intento. (4) Inoltre, ei di tanto

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