Page images
PDF
EPUB

e ritrarre coll'arte la vita del Poverello di Gesù Cristo. » (1) Il quale amore di Giotto per S. Francesco fu tanto che lo indusse ad ascriversi al Terz' Ordine; e sempre più gli si accrebbe, come avverte Tullio Dandolo, perchè Dante suo grande amico, era pur Terziario e divotissimo del Serafico Patriarca. Eran perciò due grandi geni cristiani, figli d'un medesimo Padre e da lui ispirati, i quali faceano a gara in mostrargli il loro amore e gratitudine, ritraendone le amabili virtù e sembianze, uno co'colori, l'altro colla parola. Quante belle riflessioni perciò si potrebbero far su questo punto, e quante belle armonie vi si scuoprirebbero mai! I pittori che vennero dopo Cimabue e Giotto, ed anche i contemporanei, l'imitarono più o meno nell' amore a S. Francesco, come accennossi di sopra: udiamolo da Ozanam, Montalembert e Tullio Dandolo, a costo di qualche ripetizione. «< Quasi fosse stato impossibile appressarsi alla tomba miracolosa, dice l'Ozanam, della Chiesa d'Assisi, e non sentirsi ispirato, i pittori che doveano abbellirla di freschi furono come agitati da spirito novello: incominciarono a idoleggiare forma più pura e animata che i modelli greci, i quali avevano avuto la lor grandezza, ma da ottocento anni in poi andavano sempre scadendo. La Chiesa d'Assisi fu scintilla ad un risorgimento, che sempre vide andar di bene in meglio: quivi Guido da Siena e Giunta Pisano, impararono a uscire di per la mano a' maestri greci, la secchezza de' quali impolparono, e la tostezza ammollirono. Poi venne Cimabue, e dipinse tutta la storia santa in un ordine di freschi che abbellivano la chiesa superiore... Venne Giotto alla fine, ed è opera sua il Trionfo di S. Francesco, da lui dipinto in quattro scompartimenti sotto la volta che fa corona all'altare della chiesa inferiore. Tali freschi sono cosa celeberrima sopra ogn'altra; ma per me non c'è il più commovente di quello dove si rappresenta lo Sposalizio del servo di Dio colla santa Povertà... Quivi non v'è più ombra di quel fare de' pittori greci; ma ogni cosa è nuova, libera, ispirata; e i discepoli

(1) Storia di S. Francesco ecc. pag. 324.

di Giotto, chiamati a continuare l'opera di lui, cioè il Cavallini, Taddeo Gaddili e Puccio Capanna, qui non si fermarono, ma avvanzarono sempre di bene in meglio. Fra quella varietà delle loro opere si discerne sempre la medesima fede che in esse sfavilla... Qui solamente ci si accorge davvero, che S. Francesco è proprio il maestro della scuola di Assisi; si sente qui che ardore e che potenza le infuse; (1) si comprende alla fine come Giotto ne uscì abile a incominciare quella predicazione artistica che lo fece si grande, e che lo condusse a Pisa, a Napoli, a Padova e ad Avignone, lasciando per tutte le città ove passava, non pure opere meravigliose, ma centinaia di discepoli che le studiassero, le sorpassassero e così accendessero Italia tutta a quella vocazione novella, ove dovea trovare il sommo della sua gloria. » (2) « La città d' Assisi, dice Montalembert, ergea nella sua triplice Chiesa piramidale sopra il sepolcro di S. Francesco il santuario delle arti e dello irresistibile ardore per la fede. Più d'un Frate francescano già si segnalava nella pittura, e l'influenza di S. Francesco mostrossi d'allora in poi smisurata perfino negli artisti laici. I quali, come se trovato avessero il segreto d'ogni loro ispirazione nel prodigioso sviluppo da lui operato nell'elemento dell'amore, non esitavano menomamente a rappresentare la sua vita e quella di S. Chiara presso la vita di Gesù Cristo e della divina sua Madre, nella scelta che facevano de' loro soggetti. E tutti i pittori più celebri di questo secolo e del susseguente ancora furon visti andare a pagare al Santo il loro tributo, adornando di loro pitture la basilica d'Assisi. Quivi non lungi do- vea pur nascere la scuola misti ca dell'Umbria, che nel Perugino ed in Raffaello... arrivò all'ultimo grado di perfezione dell'arte cristiana. Si avrebbe detto, che per una dolce e meravigliosa giustizia aveva Dio voluto accordare la corona dell'arte, il più bell'ornamento terreno, a quella piccola parte del mondo, dalla

(1) Certo, questa Chiesa innalzata sulla tomba del S. Patriarca è la prima delle francescane dal lato dell'arte; ma S. Croce di Firenze, S. Maria Assunta di Venezia, detta volgarmente i Frari, e S. Antonio di Padova, innalzate contemporaneamente, vanno pur tra le prime d'Italia e del mondo vuoi per grandezza, vuoi per bellezza di architettura, di monumenti e di oggetti d'arte d' ogni sorta, e sempre in grazia del Poverello d'Assisi e de' suoi figli.

(2) I Poeti Francescani in Italia ecc. pag. 58.

quale s'erano alzate a lui le più fervide orazioni ed i più nobili sacrifici.» (1) E Dandolo: non è sito in Europa ove l'arte cristiana splenda meglio che intorno al sepolcro di S. Francesco; niun Santo forni agli artisti degli ultimi seicento anni più calde ispirazioni del Fondatore de' Minoriti, dell' Apostolo della povertà. Nè solamente i quasi contemporanei, come Giotto e i suoi scolari, ed i venuti subito dopo, come i Bellini di Venezia, i Francia di Bologna, e la pia famiglia de' Pittori Umbri, e il B. Angelico, e lor degni continuatori, gl'ispirati da Savonarola aventi alla testa Fr. Bartolomeo, ma gli stessi coloritori che voglionsi dire naturalisti (perchè mal seppero levarsi oltre la materiale rappresentazione del vero fisico), discepoli degeneri di Michelangelo, imitatori della terza maniera di Raffaello; perfino... gli scolari de'Caracci, fatti piuttosto per pingere Veneri e Sibille (eccettuato l'ascetico Domenichino), cercarono e trovarono nel Santo di Assisi una miniera feconda, inesausta d'ispirazioni felici; e l'ampolloso Seicento presentò nella storia delle arti, già tutta frondosa e lasciva, lo strano fatto d'un insigne Maestro, che consecrò vita è pennelli a trattare su tela un soggetto unico senza mai stancarsi di ripeterlo in foggie sempre variate... e questo soggetto fu S. Francesco nel punto di ricevere le stigmate; e quel dipintore fu il Cigoli. » (2)

4.

Grande relazione e familiarità tra S. Francesco e S. Domenico, e tra i figli dell'uno e dell'altro, massime tra S. Tommaso e S. Bonaventura.

Seguitiamo avanti nella ricerca delle relazioni fra questi tre grandi, e ne troveremo sempre delle più intime e strette. Correa l'anno 1216 e S. Francesco e S. Domenico s'eran recati in

--(1) Dell'Europa Cristiana nel secolo XIII, pag. 78.

[ocr errors]

(2) Monachismo e Leggende pag. 254. La scuola umbra si risente dell'entusiasmo religioso che emanava dalla vicina Assisi; nelle sue opere si scorge una divozione, un idealismo, che contrastano coll'arte alquanto realista della scuola fiorentina.» Dall'opera illustrata - L'Italia: Viaggio pittoresco dalle Alpi all' Etna ecc.) Questa medesima osservazione fa pure il Tommaseo, e i poc'anzi citati scrittori Chavin e Tullio Dandolo.

Roma al Concilio Lateranese, affine di ottenere la solenne approvazione de' loro Ordini, senza che però si conoscessero ancora. Or mentre S. Domenico pregava un di fervorosamente in una Chiesa, che si vuole fosse quella di S. Pietro, gli apparve in visione Gesù Cristo alla destra del celeste suo Padre, col volto tutto adirato e con in mano tre dardi infuocati, in atto di vibrarli e sterminar con essi specialmente i superbi, gli avari e gl' impudichi, de'quali era pieno il mondo. Quand'ecco si presenta a Gesù la santissima sua Madre, gli si prostra a' piedi, e chiedegli misericordia pe' peccatori, dicendo aver essa due suoi grandi divoti, i quali avrebbero posto un rimedio a tanto male; e nel tempo stesso gli presenta appunto Domenico e Francesco, come quelli ch'erano molto atti per la loro gran carità e zelo a riformare i costumi, e a ristabilire tra' cristiani il fervore e la pietà. E Gesù Cristo gradì di fatto l'offerta, placossi e risparmiò a'peccatori i suoi terribili flagelli: e finì così la visione, la quale si vuole avesse avuto nel tempo stesso anche S. Francesco. Onde il dì seguente i due grandi servi di Dio s'incontrarono, e levando gli occhi l'uno verso l' altro, si riconobbero senza essersi mai veduti che nella detta visione ; sicchè con moto eguale si core; sero incontro, s'abbracciarono strettamente, e stettero così per lungo tempo senza proferir parola. Finalmente Domenico, rompendo il silenzio : « Tu, disse a Francesco, tu sei il mio compagno ed il mio fratello; noi faticheremo insieme per la gloria di Dio e per la salvezza delle anime; e niuno potrà prevalere contro di noi. » (1) Non convengono, a vero dire, gli scrittori circa le circostanze di questa mirabile visione, convengono però nella sostanza, diciam così, e l'evento vi corrispose pienamente. Di fatto, questi due Santi furono mai sempre riguardati come i due più grandi campioni della Chiesa di Dio nel medio evo; Domenico inviato specialmente ad inseguir colle armi della dottrina e dello zelo le eresie e gli errori, che infestavano la cattolica fede; Francesco ad inseguire colle armi dell'esempio e delle sue straordinarie virtù, il vizio e la discordia, che pur regnavano da per tutto. Quindi, Domenico fatto più per parlare alle

1

(1) P. Candido Chalippe Recoll. Vita del P. S. Francesco ecc. vol. I. pag. 84. — Questo scrittore cita anche tutti gli altri che parlano della medesima cosa.

persone dotte e costituite in grado e dignità, Francesco più agli ignoranti e al basso popolo; uno però era lo scopo loro, la gloria di Dio, la riforma della cristiana società; una la meta cui tendeano, la salvezza delle anime e l'acquisto del regno dei cieli. (1) Ma lasciamo che meglio cel dica il più grande loro panegerista, anche perchè cade più in acconcio al nostro intento:

La providenza, che governa 'l mondo

Con quel consiglio, nel qual ogni aspetto
Creato è vinto, pria che vada al fondo,
Però ch' andasse ver lo suo diletto

La sposa di Colui, ch' ad alte grida
Disposò lei col sangue benedetto,
In sè sicura e anche a lui più fida,
Due principi ordinò in suo favore,
Che quinci e quindi le fosser per guida.
L'un fu tutto serafico in ardore,

L'altro per sapienza in terra fue

Di cherubica luce uno splendore.

Dell'un dirò, perocchè d'amendue

Si dice l'un pregiando, qual ch' uom prende,
Perchè ad un fine fur l'opere sue. (2)

« Il bacio di Domenico e di Francesco, datosi in Roma, dice qui un illustre figlio del primo, passò di generazione in generazione sulle labbra della loro posterità; ed una giovine amicizia.

(1) All'apparire di questi due uomini, dice qui egregiamente Montalembert, il secolo comprese ch'era salvo che nuovo sangue stava per essere infuso nelle sue vene. Innumerevoli discepoli si schierano sotto a quelle bandiere animatrici; s'innalza un grido di entusiasmo e di simpatia che si prolunga attraverso i secoli, che risuona da per tutto cosi ne le costituzioni de' Sommi Pontefici, come ne' canti de' poeti... Sembra che questi due s'abbian diviso tanto la loro sublime missione, quanto il mondo morale, in modo che avessero a ricondurre nel seno della Chiesa riconciliati l'Amore ed il Sapere; questi due grandi rivali, che pur non potrebbero sussistere uno senza dell'altro: e questa riconciliazione fu da loro meglio operata che prima non si fosse mai fatto. E mentre l'amore, il quale divorava ed assorbiva l'anima di S. Francesco, gli acquistò in ogni tempo nella Chiesa il nome di Serafino d'Assisi, non sarebbe per avventura temeraria cosa l'attribuire con Dante a S. Domenico la forza e la luce de' Cherubini... I loro figli si mostrarono fedeli a questa differente tendenza che riusciva alla medesima eterna unità, e, salvo alcune luminose eccezioni, si può dire che appare da tutta la storia della Chiesa lo scopo principale dell' Ordine Serafico essere stato di preparare e spargere a torrenti i tesori dell' amore, le misteriose gioie del sacrificio; mentre l' Ordine de' Predicatori occupavasi, come il loro nome stesso ce lo indica, nel propagare la scienza del vero, nel difenderla e rassodarla. Ne l'uno nè l' altro fall la sua vocazione... Dell'Europa Cristiana nel secolo XIII, pag. 49 e 53.

[ocr errors]

(2) Paradiso XI, 28, 43.

« PreviousContinue »