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scrisse il libro de Monarchia, con questo scopo, 1. di provare la necessità della Monarchia universale, la dipendenza cioè di tutte le nazioni da un sol capo per il ben essere temporale di ciascheduno. Il che disse anche nel Convito: « Un solo principato e uno principe avere, il quale tutto possedendo, e più desiderare non possendo, li Re tenga contenti nelli termini delli regni, sicchè pace intra loro sia, nella quale si posino le città. » (1) 2. Che la persona destinata da Dio a questo principato universale, dovea essere, ed era, l' Imperatore de' Romani, allora Arrigo VII, come si disse, e in seguito sarebbero stati i suoi successori. 3. Che l'autorità del Principe, cioè dell'Imperatore, non deriva già dal popolo, o dal Papa, come allora si volea da molti ed anche si difendea nelle scuole, ma bensì immediatamente da Dio medesimo. Ognuno vede perciò che un tal libro riusciva, specialmente a que'tempi assai pericoloso, poichè rinfocolava i partiti politici invece di spegnerli, e diminuiva asssai la potenza del Papa ; onde a ragione ne fu jmpedita la diffusione e proibita la lettura. Che del resto, giova ripeterlo, esso nulla contiene che sia menomamente contrario alla fede, ed al Sommo Pontefice, quale Vicario di Cristo. E a meglio accertarcene, odasi come incomincia l'ultima parte di questo libro: «Per la qual cosa solo con quegli combatteremo, (nella presente questione) i quali, indotti da alcuno zelo inverso la Chiesa loro Madre, la verità che qui si cerca non conoscono. Co'quali io incomincio in questo libro la battaglia per la salute della verità, usando quella reverenzia, la quale è tenuto usare il figliuolo pio inverso il padre, pio inverso la madre, pio inverso Cristo e la Chiesa, e il Pastore, e inverso tutti quelli che confessano la cristiana religione. » E odasi pure come la finisce con essa tutto il libro: «Ma la verità di quest' ultima questione (che cioè l'autorità del Monarca viene immediatamente da Dio) non si debbe così strettamente intendere, che il Principe romano non sia al romano Pontefice in alcuna cosa soggetto; conciosiachè questa mortale felicità alla felicità immortale sia ordinata. Cesare adunque quella reverenza usi a Pietro, la quale il primogenito fi

(1) IV, 4.

gliuolo usare verso il padre debbe; acciocchè egli illustrato dalla luce della paterna grazia, con più virtù il circulo della terra illumini. Al quale circulo è da Colui solo preposto, il quale è di tutte le cose spirituali e temporali governatore. » (1)

«E questo fia suggel che ogni uomo sganni. » (2)

(1) Libro III, cap. 3, e cap. 15

traduzione di Marsilio Ficino ecc.

(2) Non so mica quanto tali cristianissime e cattolicissime sentenze del gran poeta, specialmente che ogni potestà viene immediatamente da Dio, possano piacere ai nostri politiconi e liberaloni, i quali anche in politica dicono di appoggiarsi alle teorie di Dante; ma essi o non le hanno mai lette, o sono veramente cattivi, che altrimenti non gli farebbero dire con tanta leggerezza ciò ch' ei non dice, nè si varrebbero della sua autorità in conferma dei loro strafalcioni.

CAPO VIII.

SPECIALI ATTINENZE TRA S. TOMMASO, S. FRANCESCO E DANTE.

ED AIUTO CHE SI PRESTANO A VICENDA.

1.

Tutti e tre ci manifestano Dio in una maniera speciale, S. Tommaso come somma verità, S. Francesco come somma bontà e Dante come somma beltà.

orse più d' uno de' lettori fin dal titolo stesso di quest' umile lavoro avrà detto tra sè e sè che relazione mai vi potrà essere tra S. Francesco, S. Tommaso e Dante, mentre S. Francesco morì quando nacque S. Tommaso e S. Tommaso morì quando nacque Dante? E la loro professione, o meglio, la loro missione avuta da Dio fu pure diversa, perchè il primo fu solo un gran Santo, il secondo un gran Teologo, il terzo un gran Poeta?.. Si risponde che avvi si relazione tra loro, ed assai intima e stretta, come vedremo brevemente in questo capo. Qui però, a meglio intenderla, fa d'uopo prender le mosse un po'da lontano.

Iddio è sommamente vero, sommamente buono, sommamente bello, vuoi in sè stesso, vuoi in quanto si manifesta a noi

sue creature. E per fermo, ei si manifesta a noi come sommamente vero coll' averci dato l'intelletto, raggio stesso del suo divin volto, per cui veniamo a conoscere lui e tutte le cose in lui, cioè come da lui create ed a lui tendenti siccome ad ultimo fine. Si manifesta a noi come sommamente buono coll' averci dato la volontà, per cui, conosciutolo noi come buono, ci sentiam tratti ad amar lui e tutte le cose per amor suo; vale a dire, perchè partecipano della sua bontà e sono amate da lui. Si manifesta a noi come sommamente bello coll' averci dato specialmente la imaginazione e la fantasia, per cui dalla bellezza vuoi naturale, vuoi artificiale, sparsa in tutto l'universo, ci eleviamo in alto, come per tanti gradini, sino a formarci un tipo perfetto in ogni sua parte, e perciò bellissimo, il quale è appunto egli medesimo. Sicchè il vero, il bene ed il bello da noi appreso, formano, come s'esprime egregiamente uno scrittore moderno, l'augusta piramide, al cui vertice è Iddio, ch' è sommo bello, sommo bene, sommo vero. Ora l'andare a Dio per la via del vero, forma la vera scienza, ch' è, come dicemmo, la filosofia e la teologia in pieno accordo fra loro; l'andarvi per quella del bene, forma la santità della vita; l'andarvi in fine per quella del bello forma l'estetica, ossia l'arte cristiana. In maniera che tutte e tre queste vie, insieme unite, costituiscono il grande edificio della religione, per la quale Iddio si manifesta a noi, e noi ci rivolgiamo a lui, e a lui tendiamo come ad ultimo fine; del quale edificio la scienza è il fondamento, l'arte un possente mezzo ed aiuto ad innalzarlo, la santità poi della vita è propriamente la necessaria materia, o per così dire, le pietre di cui dee esser composto. E per conseguenza è altresì il fine o almeno il termine della scienza e dell'arte, perchè Iddio ci si manifesta massime come sommo bene, e come tale formerà la nostra felicità eterna. Onde dice l'apostolo S. Giovanni: « Dio è carità; e chi sta nella carità, sta in Dio, e Dio in lui. » (1)

Ogni uomo che viene in questo mondo, perchè fatto ad imagine di Dio, e a Dio dee assomigliare per la virtù,

(1) I. cap. 4, 16.

partecipa più o meno di questa triplice manifestazione dell'Essere, anche perchè è l'oggetto adequato delle sue facoltà intellettive. Ed in uno prevale la cognizione del vero, in un altro l'amore del bene e in un terzo la rappresentazione del bello, secondo i disegni fatti dal Creatore su ciascheduno. È sempre vero però, che ad onta della prevalenza d'una manifestazione sulle altre, mai vanno del tutto scompagnate; anzi si aiutano a vicenda ed una rafforza e perfeziona l'altra. La ricerca per esempio e la contemplazione del vero, prevalente in uno, non può fare a meno che non risvegli in lui altresì l'amore del bene e della virtù, e ad un tempo un gusto maggiore e più perfetto del bello, e viceversa. Ciò in quanto all'uomo considerato in sè stesso, e secondo lo scopo ordinario più o meno comune a tutti. Állorchè però Iddio vuol che gli uomini, come membri della società, meglio conseguano il loro fine ultimo, e que' che han traviato tornino in sul retto sentiero della verità e della virtù, che cosa fa? ne suscita all'uopo uno o più tra loro cui partecipa in ispecial modo o la scienza, o la bontà, od altri suoi divini attributi; di maniera che fattisi costoro modelli e maestri agli altri, li conducano colla parola e coll'esempio per la retta via della santità e della giustizia. Una sola volta fece ciò a mezzo dello stesso suo Figliuolo Gesù Cristo, perchè trattavasi non solo d'illuminare e guidare a salute il genere umano, ma di rialzarlo altresì caduto, e affatto fuorviato; prima però e dopo il fece sempre pel ministero degli uomini stessi. La quale ristaurazione, od apostolato, mai per avventura fu più completo e solenne di quello operato nel medio evo a mezzo di S. Tommaso colla scienza, di S. Francesco colla santità e di Dante coll'estetica cristiana. Dice in un luogo il P. Marchese, che Iddio si fece intendere da S. Tommaso d'Aquino, si fece sentire da S. Francesco d'Assisi e si fece vedere dal B. Angelico da Fiesole. Permetterà l'illustre scrittore che in luogo di quest'ultimo poniamo appunto l'Alighieri; non perchè quegli ne sia indegno, ma perchè questi cade più in acconcio, e il sentimento torna poi lo stesso. Di fatto, come abbiamo già provato e a lungo, chi mai possedette una scienza filo

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