Page images
PDF
EPUB

ci ha aperto la sua mente e ci ha detto in termini abbastanza chiari, che « il fine così d'una parte, come del tutto del suo lavoro, si è di rimuovere gli uomini in questa vita dallo stato di miseria e di condurli allo stato di felicità. » Così appunto ei scrivea al suo Signore e protettore, Can Grande della Scala, nel dedicargli la Cantica del Paradiso. Che poi per codesta felicità s'abbia da intendere sopra tutto l' eterna, il dice apertamente nel libro de Monarchia; benchè non come manifestazione del fine propostosi nella Divina Commedia, ma bensì come fine da conseguirsi dall'uomo in questa terra: dalla quale dottrina egli certo non si è allontanato nella sua opera principale, e sarebbe fargli una grave ingiuria il pensare diversamente. Udiamolo dunque, chè non potrebbe desiderarsi in proposito cosa più bella. « L'uomo solo tra tutte le cose è un certo che di mezzo fra le corruttibili e le incorruttibili; per la qual cosa l'hanno giustamente i filosofi rassomigliato all' orizzonte, ch'è nel mezzo de' due emisferi. Imperocchè se noi vogliamo considerare l'uomo secondo le due parti essenziali che lo compongono, anima e corpo, egli è corruttibile; ma se lo consideri come una sola, ch'è l'anima, allora egli è incorruttibile. Se dunque l'uomo è un certo che di mezzo fra le cose corruttibili ed incorruttibili, ne viene di necessità ch'esso abbia dell'una e dell'altra natura. Ed essendo ogni natura stabilita a qualche ultimo fine, ne segue che per due fini sia l'uomo, il quale siccome solo fra tutte le cose è partecipe di corruttibilità e d'incorruttibilità, così sia solo fra tutte le cose ordinato a due fini; l'uno dei quali sia suo fine come corruttibile, e l'altro come incorruttibile. Due fini adunque l'ineffabile Sapienza propose all'uomo ai quali dovesse indirizzarsi; cioè ad una felicità in questa vita, la quale consiste nell' operazione di sua propria virtù, ed è figurata nel terrestre paradiso, l'altro fine è la beatitudine eterna, che consiste nella fruizione dell' aspetto divino; alla quale non si può salire per propria virtù, se da lume divino non è aiutata, e questa viene dall' intendere che cosa sia il paradiso celeste. A sì fatte beatitudini adunque si dee andare, come si va a diverse conclusioni per diversi mezzi. Imperocchè alla prima si perviene per via di filosofici docu

menti, quando però si seguono con opere che siano secondo le morali ed intellettuali virtù. Alla seconda beatitudine, a cui non potrebbe condurci l' umano conoscimento, si perviene col mezzo di documenti spirituali, purchè questi si seguano secondo le virtù teologali, fede, speranza e carità. E ne segue essersi così fatti fini e mezzi dimostrati i primi dall'umana ragione, la quale ci fu interamente sviluppata dai filosofi; i secondi dallo Spirito Santo, il quale per mezzo de' Profeti e sacri scrittori, e col mezzo del suo coeterno Figliuolo e de' suoi discepoli rivelò la soprannaturale verità a noi cotanto necessaria.» (1) Ecco dunque sì, giova ripeterlo ancora una volta, il nobilissimo fine che si propose Dante, la felicità temporale col far buon uso della ragione; la felicità poi eterna col far buon uso della grazia. Così l'hanno intesa sempre la maggior parte degli espositori della Divina Commedia, tutte le volte che fecero dire a Dante non ciò che essi forse voleano, ma ciò ch'egli volle dire. Benvenuto da Imola, per esempio, uno de' più antichi espositori dice: « Dante cerca di render buoni gli uomini col timor delle pene, e col premio dei. meriti. » Il Borghini, vissuto nel secolo decimosesto, si esprime eziandio più chiaramente e distesamente così: « Sebbene pare assai l'aver ripiena quest'opera di tanta scienza umana e divina, più assai non di meno deve parere che abbia insegnato all'uomo e a tutte le qualità d'uomini in universale ed in particolare tutto quello che bisognava per ritirarlo dal peccato, scoprendo tutta la malizia di esso, e gl'inganni del mondo e della carne, mettendolo per la strada della virtù, insegnandogli passo per passo andar per essa; e qual'è il suo ultimo fine, e come si ha da portar per arrivarci, insegnando i rimedi per gl'impedimenti. E in somma, messo insieme e ordinato si può dire un'etica cristiana compita e perfetta, conforme all'Evangelio ed alla legge cristiana, e a quello che hanno scritto i Santi Padri e ancora alle verità dei filosofi, dove ha potuto la ragione umana.» (2) E a' giorni nostri il Lyell Scozzese dice pure

(1) Lib. 3. cap. 15.

(2) Difesa di Dante come Cattolico ecc.

apertamente a nostro proposito: « Allettare alla virtù e porre in odio il vizio, è lo scopo morale della Divina Commedia ; essendo l'Inferno ed il Purgatorio rappresentazioni della miseria e della punizione del vizio; ed il Paradiso la felicità ed il guiderdone della virtù. Il dovere ed il vantaggio della perseveranza nelle buone opere non può essere con più venustà, nè con maggiore energia espresso che in questi versi del Paradiso (canto xvi. 58-61):

E come, per sentir più dilettanza,

Bene operando, l'uom di giorno in giorno
S'accorge che la sua virtute avvanza. (1)

Sicchè, in ordine al fine propostosi da Dante, possiam conchiudere francamente col Gozzi: Eccovi la massima morale che ne esce da quel di Dante : considera i vizi, gli correggi, e salirai a Dio. » (2)

5.

La Divina Commedia perciò fu tenuta sempre in gran pregio dai nazionali e dagli stranieri.

Essendo adunque tale e tanto l'ingegno di Dante, grandioso ed importante il soggetto tolto a cantare, e nobilissimo e santo il fine propostosi, non fa meraviglia nò, che il suo poema sia stato mai sempre tenuto in altissimo pregio da tutti gli uomini di senno e di dottrina, e riguardato piuttosto come un prodigio, anzichè parto naturale e comune dell' umana mente; ad onta de'non pochi difetti che ha, propri non tanto del poeta, quanto del secolo in cui visse. Vi fu sì di tanto in tanto qualche pigmeo, o balzano cervello, che senza prima comprenderne e misurarne la grandezza, osò attaccar questo gigante, affine di gittarlo giú, se gli fosse potuto riuscire, da tanta altezza; ma ne andò, già s' intende, colla testa rotta, nè altro ottenne che far meglio conoscere al pubblico de' letterati la propria incapacità e presun

(1) Riportato da Alessandro Torri nella sua edizione de Monarchia, Livorno 1845. (2) Difesa di Dante ecc.

zione, e ridestare ad un tempo l'amore e l'attenzione al gran poema: come accadde per esempio al Bettinelli nel secolo scorso. Gl' Italiani perciò s' ebbero sempre carissimo l'Alighieri e lo riguardarono come la prima e la più splendida gloria nazionale: cosa che non isfuggì all' osservazione degli stranieri. Onde dice lo Smiles: « Dante fu sempre il più nazionale, il più amato, il più letto de' poeti d' Italia. Fin dal tempo della sua morte, (e potea dire anche prima) ogni Italiano che avesse cultura, imparava a memoria i migliori passi del suo poema; e i sentimenti che vi sono espressi ispirarono la loro vita e perciò operarono anche sulla storia della nazione. » (1) E il Lord Byron: «Gl'Italiani parlano ora di Dante con tale eccesso, che sarebbe ridicolo, se il soggetto non fosse veramente degno della loro ammirazione. » E per fermo, chi di loro chiamò la Divina Commedia opera bellissima, stupenda, soprumana (Borghini); chi: uno de' più meravigliosi lavori, che dall' umano ingegno si producessero giammai (Tiraboschi); chi: il primo parto grandioso dell' ingegno europeo e moderno per ragione di tempo e di eccellenza (Gioberti); chi : il più sublime inno di grazie che siasi mai cantato sulla lira cristiana (Giuliani); chi: opera d'im mensa dottrina, quale solo potea versarne un ingegno maraviglioso (Fraticelli); chi: il più difficile parto della mente umana (Audisio); chi: il maggior monumento del genio italiano (la Civiltà Cattolica). E di simili epiteti onorano eziandio l'autore, il che in fondo è una cosa medesima, onde non occorre riportarne esempi.

Fa d'uopo confessare però in ossequio alla verità, che gli stranieri medesimi, meno qualche rara eccezione, discorrono della Divina Commedia e del suo autore con istima ed entusiasmo non minore dei nazionali. Valgano ad esempio i seguenti sei vissuti in questo secolo, tre francesi e tre tedeschi disparatissimi, se volete, di condizione e di sentimento; unanimi però nel tributare le debite lodi al nostro sovrano poeta. « L'Italia, così Lamennais, aprì l'era della poesia novella, e nel secolo tredicesimo produsse il sovrano poeta, che,

(1) Il Carattere, pug. 25.

giganteggiando come colosso su tutti i poeti venuti di poi, non può essere paragonato che a sè medesimo. La Divina Commedia per alcun capo non si assomiglia all'epopee dell' età precedenti. Teologica tutta nell' essenza, ma di tale una teologia in cui si travaglio lungamente la ragione umana, abbraccia l'intero sistema delle cognizioni di quel tempo, la filosofia e la scienza strettamente collegate colla dottrina trasmessa per via di dogmatico insegnamento. La poesia di Dante, sobria di parole, concisa, nervosa, rapida e nel tempo stesso meravigliosamente ricca, tre volte si trasforma per dipingere i tre mondi, ai quali secondo la fede cristiana mette capo quello in cui abita l'uomo nella vita presente. Cupa e terribile quando descrive i regni bui, la città dell' eterno dolore e della perduta gente; si tempra a una soave e pia tristezza nei luoghi, in cui si espiano le colpe leggiere e si rimarginano le piaghe sanabili, e sembra che in quelle regioni senza stelle rifletta i molti chiarori d'una luce quasi spenta; poi tutto ad un tratto elevandosi da cielo a cielo, traversando le orbite de'soli innumerevoli, si veste d'uno splendore ognora più sfolgoreggiante, s'accende d'un ardore sempre più puro, finchè si perde, oltre gli ultimi confini dello spazio, nell'unica luce, che per sè stessa splende e nell'amore increato. Senonchè Dante, dando corpo nel suo sublime poema a codesti mondi invisibili, vi seppe congiungere gli avvenimenti reali e le passioni degli uomini. E gli uni e le altre dipinge a larghi tratti, e spesso con una sola parola, con una di quelle parole potenti che risuonano negli abissi del cuore e ne risvegliano tutti gli echi. Ci sono nel suo poema de' gridi spaventevoli, de' terribili silenzi; gli acri vapori della colpa, dell' odio immortale, dell'atroce vendetta, vi si confondono co' più soavi profumi della tenerezza e dell' innocenza, de' santi affetti e del celeste amore. Spesso il poeta con pochi versi semplici e misteriosi, quasi a traverso un velo, ci para innanzi tutto intiero un dramma spaventevole. Non solo ei significa i sentimenti, ma li suscita ad un tratto, mercè d' una magica evocazione; e quando, pieno ch'è de'suoi profondi pensieri, trascinato in balia della tempesta che gli rugge nel petto, pare del tutto segregato dalla natura, ad un tratto abbracciandola d'uno sguardo con quella sua parola pie

« PreviousContinue »