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cielo, dal fare opere di pietà e di religione; e quel ch'è peggio, divengono sovente in sua mano potenti strumenti a soddisfare le più sregolate voglie. Quindi Gesù Cristo, nostro vero modello in tutto, non solo ci consigliò la povertà, ma ce ne porse ei medesimo il più stupendo esenipio, affine di rendercela vie più facile, nascendo, vivendo e morendo sì povero, da non avere avuto mai, com'egli dicea, un luogo di sua proprietà ove posare il capo.

Senonchè codesta povertà:

... privata del primo marito,

Mille e cent' anni e più dispetta e scura.
Fino a costui si stette senza invito ; (1)

da Cristo cioè sino a Francesco. Non già (s'intendano bene le parole del poeta) che dopo Gesù Cristo e i suoi apostoli e discepoli la povertà non fosse stata abbracciata da tanti buoni cristiani, da tanti monaci, e, più o meno, da tutti i Santi in ogni tempo ed in ogni luogo; però mai era stata professata in comune da nessun Ordine o ceto di persone, mai osservata con tanto rigore e strettezza, mai amata con tanto affetto, mai prodotto avea si copiosi frutti sino a Francesco... Appena costui ebbe udito quelle parole del Vangelo: «Non vogliate avere, nè oro, nè argento, nè danaro nelle vostre borse; nè bisacce pel viaggio, nè due vesti, nè scarpe, nè bastone; » (2) ecco quel ch'io cerco! esclamò con indicibil gioia. E nell'istante medesimo lascia il bastone, gitta via con dispregio la borsa del danaro, levasi le scarpe, si cinge d' una ruvida corda; e ad altro non pensa, che a mettere in pratica il più esattamente che siagli possibile la vita apostolica. Onde in tutta la sua vita, si contentò mai sempre, dice S. Bonaventura, d'una sola tonaca, stretta a fianchi da una grossa fune. E stimavasi beato e troppo favorito dal cielo quando potea avere per ricoprirsi un sacco rattoppato avuto in elemosina, per abitazione una spelonca nel folto d' una selva, per letto la nuda terra, per togliersi la fame un tozzo di pane accattato, per ismorzar la sete un sorso di acqua.

(1) Paradiso XI. - 64 - 67.

(2) Matt. 10. 9 - 10.

Nè solamente egli era povero di roba, ma era altresì povero di spirito; e tanto affetto ebbe mai sempre alla povertà, che può affermarsi senza tema di errare, niun Santo averlo mai in ciò superato nè prima nè poi. Certamente egli amava tutte le virtù, chi potrebbe dubitarne? però il suo amore per la povertà fu sì tenero, sì ardente da non potersi affatto esprimere a parole. Innamoratone sino ad esser per questo riputato pazzo, la chiamava coʼnomi più cari di sua signora, di sua madre, di sua sorella, di sua diletta sposa. In veggendola derelitta ed abbandonata dagli uomini, ne piangea inconsolabile; nè potea persuadersi come non fosse amata e abbracciata da tutti, ma specialmente dai cristiani. Egli encomiava tutte le virtù, ma per la povertà non trovava parole che bastassero : « Sappiate, miei cari, dicea ai suoi Religiosi, che la povertà è la regina delle virtù, poichè risplendette a meraviglia in Gesù Cristo, re dei regi, e nella sua Madre santissima. La povertà s'innalza sopra tutte le cose terrene, e le calpesta. Essa è il tesoro nascosto nel campo dell' Evangelio, il fondamento e la base dell'Ordine nostro, la via sicura della salute, il sostegno dell'umiltà, la madre dell'annegazione di sè stesso, il principio dell' ubbidienza, la morte dell' amor proprio, il distacco dalle vanità e dalla cupidigia, la radice della perfezione. É una virtù discesa dal cielo, che ci fa pronti a sprezzare tutto cio che avvi di spregevole; distrugge tutti gli ostacoli, che impediscono all' anima di unirsi perfettamente a Dio. » Egli chiedea al Signore il dono di tutte le virtù, quello però della povertà gliel chiedea assai spesso, interponendovi anche la mediazione dei Santi. Onde dice S. Bonaventura, che non v'era alcuno sì avido di ricchezze, come Francesco di povertà. Egli volea che i suoi Religiosi praticassero tutte le virtù; ma sopra tutto la povertà; e che dovessero riguardarla mai sempre come il loro distintivo, come la loro virtù propria, come la loro eredità, e come il loro più prezioso tesoro da custodirsi gelosamente. Egli fu eminente in tutte le virtù, ma fu affatto singolare nella povertà, essendo stata essa il principal fondamento, su cui innalzò l'altissimo edificio di quella santità, che sarà sempre la meraviglia del cielo e della terra! Ha ragione perciò di esclamare qui il gran Bossuet : « Oh mille volte felice e mille

il poverello Francesco, il più caldo, il più impetuoso, e, dirò così, il più disperato amante della povertà che fosse mai nella Chiesa di Dio!» (1)

E perciò a questo spettacolo di povertà mai più visto sulla terra, alle parole di fuoco che usciano dalla sua bocca in lode della medesima e in dispregio del mondo, spegneasi sì nell'a nimo dei mondani l' amore alle ricchezze ed alle cose terrene, una delle piaghe principali, siccome dicemmo, di que'tempi. E si videro innumerevoli uomini d'ogni età e condizione, perfino principi e letterati, volgere coraggiosi le spalle al mondo, scalzarsi, vestirsi di ruvido sacco e seguire con grande amore il poverello d'Assisi nella povertà e nella penitenza. Si videro innumerevoli verginelle, in sul fior degli anni abbandonar generosamente gli agi e le ricchezze paterne, e racchiudersi per sempre in un chiostro a menarvi vita povera e nascosa con Cristo. Si videro innumerevoli fedeli dell'uno e dell'altro sesso, i quali, rimanendo tuttavia in mezzo al secolo, presero tale amore alla povertà, da ritenere le ricchezze come beni dei poveri, come mezzi a meglio conseguir la vita eterna. La povertà, a dir breve, per opera di Francesco si facea largo in mezzo al mondo, e producea frutti innumerevoli di santità e di perfezione. Onde l'Alighieri cantava a ragione di questo connubio tra Francesco e la povertà:

La lor concordia e i lor lieti sembianti
Amore e maraviglia e 'l dolce sguardo
Faccan esser cagion de'pensier santi;
Tanto che 'l venerabile Bernardo

Si scalzò prima, e dietro a tanta pace
Corse, e correndo gli parv'esser tardo.
Oh ignota ricchezza, o ben verace!

Scalzasi Egidio, e scalzasi Silvestro,
Dietro allo sposo; sì la sposa piace. (2)

(1) Nel panegirico del Santo.
(2) Paradiso XI - 76 - 85.

5.

Ama ardentemente Dio ed il prossimo, procurando di questo la salute spirituale col raccomandare sopratutto la concordia e la pace.

Del resto, con avere Francesco riportata piena vittoria di sè e del mondo, mediante la più profonda umiltà ed altissima povertà, non avea mica innalzato l'edificio della sua santità; ma solo ne avea gittato, siccome accennammo, le fondamenta, solo avea vuotato e purificato il suo cuore da quegli affetti appunto, che vie maggiormente impediscono a Dio di venirvi ad abitare come in proprio tempio; chè, al dire d'un dottissimo teologo, « la grazia comincia dov'è spento l'orgoglio, e quando l'uomo s'è vuotato di sè allora incomincia ad essere riempito della sapienza di Dio. » (Ventura) Che cosa dunque rimaneagli a fare per innalzar davvero codesto edificio della santità? « La santità, secondo l'illustre Lacordaire, è l'amor di Dio e degli uomini spinto fino ad una sublime stravaganza.» (1) Ottimamente: l'amore spinto fino ad una sublime stravaganza, o, che vale il medesimo, un amore accesissimo da far parere colui che n'è preso agli atti, al modo poco men che pazzo; essendochè l'amore ordinario è un precetto, quindi necessario non solo a santificarsi, ma a salvarsi. L'amore poi a Dio consiste nel cercarne a tutt'uomo l'onore e la gloria, e quel del prossimo nel procurarne la felicità temporale ma più l'eterna: Dio dee essere amato per sè medesimo ed il prossimo per amor di Dio. L'uomo, fatto che abbia ciò secondo le sue forze, ha fatto tutto dal canto suo, perchè avrebbe raggiunto il fine per cui fu creato lui ed ogni cosa, come ce ne assicura Gesù Cristo medesimo. (2)

Ora con questo concetto della santità e dell'amore torniamo a Francesco. Chi potrebbe però ridire a parole, come dice lo

(1) Conferenza XXVIII.

(2) Matt. 22 - 40.

stesso S. Bonaventura, quanto amasse il suo Dio, egli che dopo la sua totale conversione parea che nulla avesse più di comune colla terra e con gli uomini, ma che già addivenuto fosse un comprensore del cielo? Egli, che, rischiarato l'intelletto da lume superno e raddrizzata la volontà dalla grazia divina, correa dritto al suo Dio, quale fiamma alla sua sfera, qual corpo al suo centro? Oh il divino amore penetravalo non altrimenti che il fuoco penetra un acceso carbone! Solo all' udir pronunciare l'amor divino sentiasi commosso, ferito, infiammato. A vie più eccitarsi poi ad amare il suo Dio serviasi di tutte le creature come di altrettanti specchi, ne' quali contemplava la mente suprema, la sovrana bellezza, il principio d'ogni cosa; come di altrettanti gradini, pe'quali salendo giugnea sino all'oggetto dell' amor suo; come di altrettanti ruscelli, ne' quali gustava con una inesprimibile dolcezza la bontà infinita della sorgente, donde deriva ogni bene; come di tanti armoniosi concenti, che gli rivelavano appieno l'armonia delle cose celesti; onde invitava tutte queste creature a lodare ed amare il comun creatore. Non restavagli altro di proprio, come dicea ei medesimo, che il corpo e l'anima da dare intieramente a Dio; ebbene faceagli continuo sacrificio di quello col rigor de'digiuni e delle penitenze, e di questa colla veemenza de' suoi desideri, specialmente di morire per amor di luí, com'egli era morto per amor di tutti noi. E questa cocentissima carità egli sforzavasi di comunicare a tutti, sicchè era sovente il soggetto de'suoi discorsi, il motivo che proponea ai Religiosi per animarli alla virtù ed al patire. E da questo amorosissimo incendio eran cagionati quei continui rapimenti in Dio, quelle estasi portentose, onde sovente punto non si accorgea di quanto accadea intorno a sè; e da questo l'istessa sua morte, al dire del Salesio, e l'appellativo di Serafico, fatto poi comune a tutto il suo Ordine. Che cosa dire poi del suo amore a Gesù Sacramentato ed a Gesù Crocifisso? Egli avvampava, segue a dirci il Serafico Dottore, d'un amore assai intenso verso il Santissimo Sacramento dell' Eucarestia, maravigliandosi sommamente dell'amorosissima benignità e del benignissimo amore di Gesù avuto per noi. Si comunicava per ciò spesso e con tanta divozione, che rendea divoti anche gli al

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