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che il possibile sia il gran nulla, volete inferirne che sia un piccolo nulla, un nulla diminutivo, o in germe, in erba, in iscorcio, una frazione di nulla, un infinitamente piccolo, una quantità negativa, o altra simile faccenda. Stò anche pensando, se cotesto benedetto possibile essendo a vostro giudizio un ente iniziale, come spesso ripete il vostro maestro, non si possa dire colla medesima verità e precisione che sia un nulla iniziale, e quasi uno sgorbio, uno schizzo, una bozza, una sconciatura di nulla; dichiarazioni così limpide ed esatte, che mi paiono attissime a mettere in credito il Rosminianismo presso i filosofi matematici; i quali vi dovranno concedere molto volentieri che il vostro ente possibile sia da manco di nulla. « Il nulla in quanto è una privazione o negazione. « dell'essere, non può essere pensato, ripugna assolutamente. "Ora il possibile può essere pensato, perchè il possibile è appunto l'esclusione d'ogni ripugnanza, la possibilità è la « stessa pensabilità, come voi stesso dite. L'ente possibile adunque non è una mera apparenza, cioè il nulla 1. » Voi qui commettete due errori; l'uno, male interpretando le mie parole, e attribuendomi una sentenza, la quale è sottosopra quella del Bardili; l'altro, approvando voi medesimo tal sentenza dopo averla rigettata. Imperocchè quando io dico che il possibile consiste nella pensabilità, non parlo solo della pensabilità umana, ma eziandio della divina; la quale costituisce il possibile obbiettivo, rilucente all'intuito. Aggiungete ch' eziandio l'apparenza non è nulla, poichè è un apparenza; tanto che il vostro ente possibile, non essendo una cosa, e quindi riducendosi a nulla, è anco meno dell' apparenza.

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È vero che il possibile ha un ordine necessario coll' Ente << assoluto e reale, sul qual ordine appunto si fonda la ragione « nell' integrazione, con cui dal concetto d' Ente possibile o

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iniziale passa a quello di Ente compiuto. Ma tutto questo « ci è dato dal discorso della mente, non nell' intuito primo « che forma la nostra intelligenza 1. » Ma che cos'è il discorso, se non l'esplicazione dei semi conoscitivi, racchiusi nella tela primigenia dell'intuito? Se il Rosmini, invece di ricorrere a quella sua integrazione, che non ispiega nulla, avesse studiata la natura del raziocinio, si sarebbe accorto che questo non partorisce e non può partorire alcun nuovo dato o elemento di cognizione, e che non è una facoltà produttiva, ma solo elaborativa e raffinativa di materiali già acquistati. Forza è dunque che i dati, su cui lavora il ragionamento, gli vengano somministrati dall'intuito; e l'opera sua si riduca a tradurre in concetti distinti e riflessivi le preconcezioni confuse e intuitive, come ho dichiarato a dilungo nelle Lettere soprascritte. «E perchè questo discorso non tutti lo fanno, anzi pochi sono quelli che lo facciano : perciò molti sono i quali << nell'atto stesso che pur adoperano continuamente quella luce divina che forma la loro intelligenza, non s'innalzano fino « a vedere, anzi non pensano neppure a quel Sole, di cui il « lume della ragione è quasi un raggio staccato; e taluni per

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fine lo negano; come chi vedendo pure per mezzo della

« luce fisica le cose sensibili non pensasse al sole, da cui

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quella luce irradia, o perchè il cielo è di nuvole coperto, si desse stoltamente a credere che al di là di quello strato di vapori non esista, non debba esistere un centro luminoso 2.>> Negli ordini intellettivi la luce e il sole non differiscono, nè

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anco numericamente; onde torna impossibile il non vedere il sole a chi fruisce la luce. Voi distinguendo il lume dal luminare, facendo del primo un' emanazione creata del secondo, (giacchè ogni emanazione si dee aver per creata, chi non voglia essere emanatista,) e presupponendo che si possa goder dell'uno senza l'altro, come si vede la luce, ancorchè il sole sia rannuvolato, fate espressa professione di psicologismo, e contraddite a tutti quei luoghi delle vostre opere e di quelle del maestro, in cui si parla dell'ente possibile, come di una forma divina, e si suppone che noi ne abbiamo l'intuito immediato. Nel resto, che tutti abbiano l' intuito immanente di Dio, e non tutti riflessivamente lo riconoscano, non dee fare alcuna meraviglia, poichè è un fatto certissimo e attestato continuamente dall' esperienza, che lo spirito possiede un gran numero di notizie confuse, delle quali non ha coscienza determinata; e che molte di tali notizie nella maggior parte degli uomini non diventano mai distinte, perchè non vi adoperano in modo acconcio lo strumento della riflessione.

« L'ente possibile, che nel sistema di Rosmini è l'oggetto << del primo intuito, non è reale, eppure non è il nulla 1. » Se la figura rettorica della ripetizione avesse virtù di partorir l'evidenza, cotesta vostra sentenza dovrebbe oggimai essere un assioma. « Invano adunque voi continuate a ragionare di<< cendo che se il possibile è reale, il primo concetto non rappre«senta dunque una possibilità mera, ma una realtà, perchè un possibile reale, come possibile, è reale assolutamente. Confesso ch' << io non so ben capire il senso di questa vostra espressione ; in

<< essa voi fate le viste di dare al possibile come possibile un'

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efficacia, che non può avere s' egli fosse, come voi dite un'as«trazione soggettiva del nostro pensiero 1. » lo non fo le viste di dare al possibile un valore assoluto, ma glielo dò in effetto, come risulta da mille luoghi delle mie opere, alcuni dei quali furono da voi menzionati. E come potrei fare altrimenti, quando secondo la teorica della formola ideale, tutti i concetti, come assoluti, obbiettivamente appartengono al primo membro di tal formola, cioè all' Ente, e sono in esso da noi contemplati? Ma l'Idea, che è una, infinita e semplicissima, può solo essere da noi conosciuta in modo finito; e però la riflessione, travagliandosi su di essa, non può asseguirla nella sua intima unità, ma è forzata a considerarla nelle sue attinenze esteriori; le quali essendo realmente moltiplici, ne nasce una moltiplicità nel nostro modo di concepire l'idealità divina; e l'Idea unica dà luogo a molte idee differentissime. Una di queste relazioni estrinseche è appunto quella del possibile; giacchè il possibile è l'ideale divino in ordine alla creazione. La facoltà, che distingue le varie attinenze estrinseche e produce quindi le varie idee, è l'astrazione; la quale non ha già il potere di creare alcun nuovo elemento, come voi supponete, e nemmeno d'introdurre nella conoscenza una distinzione arbitraria e aliena dall' intima natura degli oggetti, ma solo di ridurre a finitezza di contorni, e rendere più spiccati e distinti i lineamenti rudimentali dell'intuito. Imperò, sebbene io consideri l'idea riflessiva dell' ente possibile, come un parto della facoltà astraente, non escludo però la preesistenza di esso nell' intuito, come archetipo divino e universale della creazione; anzi tengo, che se il possibile non avesse luogo in Dio, come archetipo,

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non potrebbe, come astratto, trovarsi nello spirito umano. << Ma per quanto io v'intendo sembrami che il possibile come possibile non sia punto reale, siccome voi dite; perchè diversamente sarebbe come dire che il non reale come non « reale sia reale; e così pure il concetto del possibile come possibile esclude quello di reale; altrimenti sarebbe ad un tempo e non sarebbe concetto del possibile 1. » L'idea del possibile si dee considerare in tre modi, cioè come rappresentante, come rappresentazione, e come rappresentato. Come rappresentante è reale in sè stessa di realtà sostanziale, poichè sostanzialmente è lo stesso Dio. Come rappresentazione, essa ha quella realtà che conviene alle relazioni; le quali sono reali, come modi, e non come sostanze; e in ciò consiste la realtà del possibile, come possibile, il quale è una relazione estrinseca della divina natura. Questi due risguardi della realtà propria del prefato concetto, come rappresentante e come rappresentazione, risultano dagli stessi vocaboli, con cui lo esprimete; poichè dicendo idea del possibile, la prima voce significa il rappresentante e l'altra suona la rappresentazione. Resta il rappresentato, il quale si può considerare in due aspetti diversi, cioè come indiviso dalla rappresentazione, o come distinto da essa. Pel primo verso il rappresentato partecipa alla realtà della rappresentazione; ma pel secondo, esso è un mero nulla, ripugnando che lo schietto possibile sussista fuori della sua rappresentazione ideale; e il concetto, che ci facciamo di tale rappresentato, è prettamente negativo, e si fonda sopra una fizione dello spirito, simile a quella che altri fa, quando pensa al nulla, come se fosse qualche cosa. Laonde, come non si può pensare

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