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tenza dell'ente possibile; onde si può credere che l'Autore si esprima coi termini più precisi. « Egli è un essere mentale » (il vostro ente possibile,) « e non ancora un essere sussistente « in sè fuor della mente;.... poichè non conosciamo di lui il << modo come egli è (se pur è) fuor della mente, ma pura«mente il modo com'egli è nella mente; non conosciamo « l'atto del suo esistere in sè, ma solo l'atto del suo esistere « nella mente nostra 1. » Che vi pare, sig. Tarditi? Direte ancora, che quando io parlo di sussistenza nella mente o fuori della mente, il mio modo di esprimermi non sia buono che per un materialista? Ovvero terrete per materialista il vostro riverito maestro? O pure metterete il fuori in mazzo coll' astratto, che abbiam veduto di sopra, e confesserete che quantunque siasi letto molte volte un libro, non è male talvolta il rileggerlo, per aiuto della memoria? Io vi lascio l'elezione fra questi vari partiti. Quanto a me, se il Rosmini non avesse altro peccato filologico, che di parlare del difuori e del didentro dello spirito, non che convenirlo in giudizio, lo crederei irreprensibile quanto al linguaggio che adopera; perchè tali locuzioni metaforiche da un canto non sono equivoche, nè pericolose, poichè ciascun lettore, eziandio con poca suppellettile filosofica, e con mediocre attenzione, può coglierne il vero intendimento, e dall' altro canto son necessarie alla scienza; nè si trova alcun filosofo antico o moderno, che all'occorrenza non usi le medesime appunto, o altre dello stesso conio. Ma ben diverse e maggiori sono le arditezze e le licenze e le singolarità di stile, che si rinvengono negli scritti rosminiani, (e ne abbiam veduto qualche saggio,) delle quali non oserei certamente farmi seguace e

1 Nuovo Saggio sull' orig., delle idee, tom. III, pag. 317.

imitatore. Ora, passando dalle parole alle cose, resta a vedere che dir si voglia per sussistere fuori e dentro la mente, onde raccogliere, se si dia alcun mezzo almeno ideale fra questi due generi di sussistenza. La quale, generalmente considerata, è sinonima di realtà, ma può concepirsi in due modi, cioè sostanzialmente e modalmente. Sostanzialmente una cosa sussiste in sè stessa, e modalmente in un'altra cosa, verso la quale essa ha l'attinenza della modificazione verso la sostanza. La sussistenza importa dunque in ogni caso l'idea di sostanza, e ammette solo qualche varietà intorno al modo, con cui questo concetto interviene; giacchè la cosa sussistente può essere la sostanza stessa, o una modificazione della sostanza. Ora allo spirito umano ripugna assolutamente il pensare una cosa, o vogliam dire col Rosmini una entità qualunque, che non sussista in sè stessa, o in altro oggetto, come sostanza, e che quindi non sia sostanziale e modale di sua natura. Ciò che non appartiene all'una o all'altra di queste due categorie è un mero nulla, che non può essere materia di cogitazione. Provisi ciascuno a pensare una cosa qualsivoglia, senza concepirla come dotata di realtà sostanziale, o come aggiunto, proprietà, relazione, dipendenza di una sostanza necessaria o contingente, interna od esterna, e via dicendo; e non potrà riuscirvi. Altrimenti converrebbe dire che il principio di sostanza non è assoluto; giacchè in virtù di questo pronunziato tutto ciò che sussiste dee essere sostanza o appartenenza di una sostanza. Così l'ente possibile del Rosmini, se non è un nulla, dee sussistere in sè ed essere sostanza, o sussistere in altro, ed essere proprietà di una sostanza; il che è tanto evidente, che voi e il vostro maestro il concedete, (ogni qual volta le obbiezioni degli avversari non vi costringono a negarlo per consonare ai vostri principii,)

considerando il vostro ente iniziale, come una forma della divina natura, o dello spirito umano, e facendolo sussistere ora in Dio e fuori della vostra mente, ora nella mente medesima, come poco dianzi faceste, affermando che il concetto del possibile è soggettivamente reale nella mente d'ogni essere ragionevole 1. E avvertite bene che questa necessità non concerne soltanto l'ordine delle cose, ma eziandio quello delle cognizioni; poichè ripugna metafisicamente che pensiate il possibile, senza concepirlo come sussistente in qualche sostanza creata o increata; e la ripugnanza metafisica all' ordine delle idee appartiene. Nè giova il ricorrere allo spediente del vostro maestro, dicendo che la sussistenza del possibile in qualche sostanza non ci è somministrata dall'intuito, ma dal raziocinio, mediante il principio di sostanza; giacchè in prima questo principio non si può in alcun modo avere per legittimo, se non si fonda nell' intuito dell' ente reale e assoluto, come ho mostrato altrove. In secondo luogo, il principio di sostanza non si può applicare all'ente possibile, se questo non si manifesta all'intuito, come capace e bisognoso di tale applicazione, la qual capacità e necessità in ciò consiste, che il possibile s'affacci allo spirito come un semplice modo, che è quanto dire, come un'appartenenza della sostanza; tanto che l'uso riflessivo che si fa in tal caso del detto principio presuppone la nozione intuitiva del possibile, come inerente ad un' entità sostanziale. Resta dunque a vedere dove questa entità collocar si debba; e anche qui non v'ha mezzo fra il sussistere nello spirito e fuori dello spirito, in Dio o in una creatura. A voi pare di trovar questo mezzo, fermando che l'ente possibile sia

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interiore ed esteriore alla nostra mente; quasi che questo non sia un moltiplicare numericamente la sussistenza, ammettendo insieme i due capi del dilemma, invece di trovare un mezzo fra l'uno e l'altro. Ma voi non potete già accordarvi meco per dare al concetto del possibile, come riflessivo, una sussistenza interiore, e come intuitivo, una sussistenza esteriore; sia perchè non ammettete l'intuito, come una facoltà che apprenda immediatamente il concreto; e perchè il Rosmini nega espressamente che l'ente possibile ci si affacci, come sussistente fuori del nostro intelletto. Vero è che voi asseverate l'ente ideale essere nell'uomo un principio distinto dall'uomo stesso, e tuttavia seco congiunto intimamente per legge di natura; ma se io vi chieggo in che consista questa distinzione e congiunzione, voi non potrete rispondere, senza considerare esso ente ideale come un' appartenenza di Dio intuita dallo spirito o come una modificazione dello spirito medesimo; sentenze, che contraddicono del pari alla espressa dottrina del Rosmini, e che arguiscono egualmente una sussistenza. Finalmente il passo di santo Agostino vi è affatto contrario, e mi dà qualche stupore che osiate citarlo; giacchè tutti sanno che il grande Affricano ammette nel modo più solenne l'intuito immediato della Divinità, negato formalmente dal vostro maestro. E questo intuito diretto è chiaramente espresso nella frase da voi allegata; poichè la verità, a cui lo spirito aderisce, senza frapposizione di alcuna creatura, non è già come la vostra verità, (di cui parlerò in breve,) una cosa distinta da Dio e dal creato, ma lo stesso Dio; e chiunque ha letto le opere del Tagastese non può avere su questo articolo il menomo dubbio 1. Nè l'antitesi fra la verità

1 Chi voglia vedere riuniti e maestrevolmente discussi i testi, che

e la creatura avrebbe senso, se per la prima non s' intendesse il Creatore. Se dunque fra Dio e la mente umana non v'ha interponimento di alcuna cosa creata, e immediato è il commercio dello spirito intuente col suo Facitore, non si può ammettere per mediatore fra l'uno e l'altro il vostro ente possibile, che non sussiste fuori della mente, e la dottrina del vostro maestro è tanto lontana da quella di santo Agostino, quanto dal vero.

« Trattasi qui, notate bene, non del sussistere, ma dell' « intendere 1. » Si tratta dell' uno e dell' altro, perchè l'intendere suppone l'inteso e il conoscere arguisce una cosa conosciuta. Ora non si può intendere, se non quello che sussiste in qualche modo; cioè in sè o in altro, nella mente o fuori della mente, nel Creatore o nelle creature. « Ora « l'intendere implica un soggetto ed un oggetto 2. » Verissimo, se per oggetto intendete una cosa che sussiste, e non un non so che d'insussistente fuori dello spirito, come si è il vostro ente possibile, che non è nemmeno una cosa; il quale, non avendo realtà fuori del soggetto, si confonde seco, e non può esercitare l'ufficio di oggetto. « L'intendere è << appunto una tale congiunzione così intima del soggetto, e dell' oggetto, che di que' due principii si fa un «< individuo solo, senza però quelli confondersi insieme 3. » Ma se l'oggetto non sussiste fuori del soggetto, se fa seco un

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fanno al proposito, legga la Difesa del Malebranche, scritta dal nostro Gerdil.

1 Lett. 3, pag. 110.

2 Pag. 110, 111.

3 Pag. 111.

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