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è, non è altro che un vero, un'idea; fa conoscere, illumina, si comunica alla intelligenza; non ci modifica per «anco il sentimento, non ci fa per anco godere l'infinita « bontà che è unita, anzi immedesimata al sommo Vero. Questo è di fatto e di fede. Chiamo dunque ideale l'essere

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« fin che luce soltanto all'intelletto: lo denomino poi reale e

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« sussistente, quando ci fa provare la sua propria bontà 1. » Nelle facce seguenti egli ripete sottosopra il medesimo, e finalmente conchiude « che il principio ideologico non è << l'intuito di Dio reale, concreto, sussistente, sostanziale, cioè non è Dio sentito 2, » come quegli che non si rivela ai viatori quaggiù, ed è un privilegio degli spiriti celesti.

LA FORMOLA.

Tanto che negli ordini presenti non ci è dato di apprendere la realtà di Dio, perchè non possiamo sentirla.

Così è.

L'ENTE.

LA FORMOLA.

Siamo dunque costretti ad appagarci in questo mondo di un Dio prettamente ideale e possibile.

L'ENTE.

Basta bene che sappiamo questo Dio essere anco effettivo,

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e che tegniamo speranza di goderlo come tale in quell' altra vita.

LA FORMOLA.

Potrei dirti che non possiamo accertarci della realtà del Dio ideale, se non la conosciamo in qualche modo. Ma posto che tal realtà si dia in effetto, la speranza di fruirla un giorno è ella fondata?

L'ENTE.

Puoi dubitarne? Tutta la mia scuola te lo assicura, e te ne entra mallevadrice.

LA FORMOLA.

A malgrado della riverenza che io ti porto, ho qualche difficoltà ad ammettere questa conclusione, se debbo credere a' tuoi principii. Imperocchè, affermandosi e ripetendosi dal Rosmini in cento luoghi delle sue opere che la sensazione è cieca e che la sussistenza delle cose è inconoscibile 1; se la visione intuitiva di Dio, conceduta ai beati, risedesse nel sentimento di tal sussistenza, essa verrebbe a consistere in due cose cieche e inescogitabili; il che tornerebbe a dire che la visione di Dio è riposta nella cecità, e la luce della gloria in tenebre purissime. Ora, a confessarti il vero, questa visione non mi contenta.

1 Vedi fra gli altri luoghi Il Rinnovamento della filosofia in Italia, proposto dal Mamiani ed esaminato, Milano, 1856, pag. 499, 500, 506, 507.

L'ENTE.

Quasi che i beati non apprendano Iddio ancora coll' intelletto.

LA FORMOLA.

Secondo il nostro Paolo, essi apprendono coll' intelletto il Dio ideale, ma non il Dio reale, che si manifesta unicamente al senso, cioè ad una potenza cieca. Cosicchè la visione dei beati può al più differir di gradi, ma non di essenza, dalla nostra; e il solo privilegio, per cui essenzialmente ci superano, non si può chiamar visione, poichè non è nemmeno una cognizione. Ma questa non è la sola cosa, che mi è difficile a inghiottire nella tua teorica. Dimmi : si può egli dare un soggetto senziente, senza un oggetto sentito?

No.

L'ENTE.

LA FORMOLA.

L'oggetto sentito non è egli un sensibile?

L'ENTE.

Cotesta è una quistione di parole.

LA FORMOLA.

Non di parole, ma d'idee, poichè le voci senziente e sensibile esprimendo due correlativi, non si può dare una cosa senza l'altra. E vedi che Paolo medesimo discorre di un Dio sentito; il che torna a dire che Dio è un sensibile.

L'ENTE.

Sia in buon' ora; che male c'è a dir cotesto?

LA FORMOLA.

lo avea sempre creduto finora coi teologi ortodossi e coi buoni filosofi, che Iddio sia solo intelligibile, ch' Egli sia l'intelligibile assoluto, e che l' essere sensibile, importando una proprietà contingente, ripugni alla perfezione della divina natura. E mi pareva che non si potesse giudicare altrimenti, senza cader nell' errore grossolano degli antropomorfiti.

L'ENTE.

Avresti ragione, se Dio fosse un sensibile materiale a uso dei corpi, e non un purissimo spirito.

LA FORMOLA.

L'antropomorfismo non consiste solamente nell' immagi

nare un Dio corporeo, ma eziandio nel far di esso un sensibile spirituale, come l'animo umano e gli altri spiriti creati. Imperocchè la nozione del sensibile inchiude quella di una natura finita, passiva, contingente, e soggetta alle imperfezioni proprie delle creature. Iddio non è dunque uno spirito, se per questo vocabolo intendi un sensibile, cioè un essere relativo e circoscritto; giacchè la sensibilità, sia attiva sia passiva, che è quanto dire l'essenza propria del soggetto sensibile e sentito, non è altro che il limite della intelligibilità e della intelligenza. Iddio è intelligibilità e intelligenza, idea e mente, luce e vista infinita; dee dunque escludere ogni circoscrizione: non può essere appreso col sentimento, come il nostro animo apprende sè stesso, perchè ogni sentimento arguisce certi confini nella cosa sentita può solo essere conosciuto per opera della ragione, come quella che ha virtù di afferrar l'infinito, (benchè lo afferri solo finitamente, e perciò la ragione creata si distingue dalla increata,) e quindi può contemplare l'Idea sussistente e assoluta. Ogni altro modo di conoscere Iddio ripugna alla eccellenza della sua natura; la quale, essendo perfettamente ideale, e possedendo una realtà intrinseca, che dalla idealità sua propria in niun modo si distingue, non può rendersi accessibile al sentimento, come le verità razionali non possono esser colte dagli occhi del corpo o dal senso intimo della coscienza. Arrogi che ogni sensibile, come tale, essendo subbiettivo, se Iddio fosse sensibile ai beati, Egli lascerebbe di essere obbiettivo verso di essi, e si confonderebbe colla loro individualità e natura; onde la visione beatifica importerebbe l' unificazione dei falsi mistici e dei panteisti.

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