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e assoluta. L'uno lavora su certi dati naturali, che gli rimangono; l'altro sul nulla. La pretensione del primo è una insigne temerità: quella del secondo, una follia ridicola.

Dalle cose testè discorse si deduce una conseguenza di gran rilievo; cioè, che la prima invenzione del psicologismo si dee attribuire più tosto a Lutero, che a Cartesio. L'eresiarca gittò il seme fatale, che fu esplicato dal francese filosofo. Il primo sostituì il metodo psicologico al metodo ontologico nella religione: il secondo applicò questa innovazione alla filosofia in particolare, e per essa a tutto lo scibile. L'uno troncò il filo della tradizione religiosa : l'altro diede lo sfratto eziandio alla scientifica. Da Lutero e dal Descartes nacquero i mostri gemelli della falsa teologia e della filosofia mendace, che regnano tuttora, dove è spento o languisce il principio cattolico. La teologia e la filosofia moderna, procreate dallo stesso vizio metodico, hanno avuto un corso conforme, e direi così parallelo, che meriterebbe di essere attentamente studiato. A ogni nuovo passo dell' una nel corso fatale dell' errore si accompagna un nuovo passo dell' altra traviamento risponde a traviamento, e precipizio a precipizio. E come il principio era stato unico nelle due discipline, così l'esito fu somigliante; anzi il fine di entrambe fu un regresso al cominciamento. La filosofia cartesiana riusci allo scetticismo, e la teologia luterana al razionalismo biblico, che è lo scetticismo teologico; giacchè l'uno nega ogni vero naturale, come l'altro ogni dettato che sormonti la natura. Lo scetticismo, che era il punto comune, donde mossero le due scienze, fu pure il termine, in cui riposarono. Uscite dal nulla, tornarono nel nulla.

Il protestante crede di poter apprendere la verità rivelata colla sola lettura dei libri sacri : Cartesio stima di poter rinvenire il vero naturale colla considerazione e collo studio di sè medesimo. Quindi, come a rigor di logica, secondo Lutero, si danno o almeno possono darsi tanti Cristianesimi, quanti sono i lettori della Bibbia; cosi tu devi ammettere tante filosofie, quanti sono i filosofanti, se credi al Descartes, rinnovatore della verità subbiettiva, immaginata da Gorgia e da Protagora. E di vero, l'oggetto vuol germinare dal soggetto, e l'intelligibile dal sensibile, a tenore del sistema cartesiano; e la stessa grammaticale struttura del suo principio indica il genio subbiettivo, e la fiacchezza universale della dottrina che ne procede. Imperocchè, se altri dicesse : l'animo mio pensa, dunque è; accennerebbe in qualche modo a una verità generale, indipendente, assoluta; ma chi invece esordisce, dicendo: io penso, dunque sono, concentra il vero nell' individualità propria, e lo imperna, per così dire, nella persona del filosofo. Il che tanto è vero, che il Descartes protestò apertamente di non voler tessere un entimema risolubile in un sillogismo, ma esprimere un semplice fatto primitivo; giacchè nel caso contrario, bisognerebbe sottintendere una proposizione necessaria e generica: ciò che pensa, è. Cartesio all' incontro pone la radice del vero in sè medesimo, e deduce l'essere dal proprio pensiero, come se dicesse io sono il vero assoluto. E siccome egli esprime il principio di tutto lo scibile, personificandolo in sè stesso e parlando in persona prima, egli si agguaglia al Dio di Mosè, pronunziante: Io sono colui che sono. Il carattere proprio del Cartesianismo, che vuol cavare l'intelligibile dal sensibile, e far dello stesso Dio una creatura dello spirito umano, anzi dello spirito di Cartesio, non potrebbe scoprirsi meno dissimulatamente. Dal creare Iddio mentalmente all'

essere Iddio, non corre un gran divario ; onde non dee far meraviglia, se il padre della sapienza moderna trovò fra i suoi discendenti di Germania un ardito e valoroso ingegno, che assunse l' ardua impresa e la condusse a compimento (21).

Oggi si costuma, assai più che in addietro, di ripetere a ogni poco certe sentenze intrinsecamente false, senza esaminarle, spacciandole quasi per assiomi e dando loro un valore, che dipende dalla sola consuetudine invalsa di replicarle ; quasi monete false, ma correnti, nella repubblica degli scrittori. Tal è per esempio questa proposizione, che il Descartes creò la filosofia libera dell' età moderna 1. Cito un solo passo, tratto da un' opera pregevole per l'erudizione, e dettata da un uomo, che francese di avita origine e tedesco per adozione, rappresenta l'intimo connubio dei principii cartesiani colla moderna filosofia germanica: potrei allegarne cento, che dicono altrettanto. L'asserzione è assolutamente falsa, se per libertà non s'intende la licenza, che è la sua maggior nemica (22). Il Descartes volle ripetere la libertà di filosofare dallo spirito dell' uomo, come altri oso derivare la libertà degli stati dall' arbitrio del popolo : entrambi la distrussero. La dottrina del Locke e del Rousseau sulla sovranità popolare non è altro, che il psicologismo applicato alla politica, e la subordinazione dell' ontologia alla psicologia nella scienza civile. Il far dipendere l'Idea dall' uomo, l'annulla il far germogliare l'intelligibile dal sensibile, rende l'uomo schiavo del senso e di sè medesimo; sorte pessima di servitù. La sola libertà sincera e legittima consiste nel por

:

1 CH. L. MICHELET, Ex. crit. de la Mét. d'Arist. Paris, 1836, p. 249.

ger libero omaggio alla signoria dell' Idea, che sottraendo l'uomo alla dura schiavitù di sè stesso e del mondo, lo assoggetta al dolce imperio della Mente creatrice. Quando lo spirito umano si vuol ribellare da questo supremo e legittimo dominato, egli diventa mancipio e ludibrio della natura sensibile; imperocchè l'uomo non comunica seco stesso, se non in quanto fa parte degli esseri naturali, ed è dotato di virtù sensitiva. Si osservi in effetto che, da Cartesio in poi, la filosofia fu schiava della immaginativa e della poesia, dei sensi e della fisica. I sensisti di Francia e d'Inghilterra sono più fisiologi, che filosofi; i panteisti di Germania sono meno filosofi, che poeti.

Fermata la sussistenza del proprio pensiero, come primo principio della verità, il Descartes ne argomenta l'esistenza di Dio, perchè fra i propri concetti trova quello dell' Ente perfettissimo. Da tal nozione egli deduce la realtà della cosa rappresentata, sia perchè quella dee avere una causa esterna e condegna, e perchè l'essenza dell' ente, che vi è effigiato, inchiude l'esistenza. La prima di queste due prove è l'argomento ordinario di causalità dimezzato, e quindi menomato di forza. Quanto alla seconda, farebbe meraviglia il vedere che sia potuta uscire da un cervello filosofico così leggiero, come quello del Descartes, se non fosse troppo chiaro che il valoroso Francese la rubò agli Scolastici, e forse a santo Anselmo, guardandosi però cautamente dal confessare il proprio furto. Dico forse, perchè non è necessario il supporre che Cartesio abbia letto il Monologio o il Proslogio: la sola dottrina comune delle scuole, che in Dio l'essenza s'immedesima coll'esistenza, conteneva la sostanza del raziocinio cariesiano. Ma il Descartes ebbe cura di avvertirci in questo mede

simo luogo del suo progresso filosofico, che un argomento così profondo non poteva esser pascolo da' suoi denti, nè frutto del suo giardino. Imperocchè egli cade in una di quelle splendide ed enormi contraddizioni, che son più chiare del sole nel suo meriggio. Dopo avere poco innanzi stabilito che la coscienza del proprio pensiero è la prima verità e la base di ogni certezza, egli, parlando di Dio, afferma che ogni vero e ogni certezza dipendono dalla veracità della sua natura. Per tal modo egli deduce la legittimità dell' idea di Dio dal sentimento di noi stessi, e il valore di questo sentimento dall' idea di Dio. (23). Non contento di questo bel circolo, onde uno scolarello di logica si vergognerebbe, egli entra in un' altra contraddizione, se non maggiore, ancora più stupenda della prima; e afferma che le verità metafisiche, morali, matematiche, le verità assolute di ogni genere, dipendono dal libero arbitrio della volontà divina. Tanto che, se il tutto è maggior della parte, se l'ingiustizia è cosa detestabile, se l'effetto suppone una causa, ciò accade, perchè Iddio ha voluto che così fosse, quando avrebbe potuto volere e determinare il contrario. Samuele Clarke, mentre era tuttavia fanciullo, avendo appreso che Iddio è onnipotente, discorreva seco medesimo che la potenza divina non avrebbe potuto annientare lo spazio contenuto nella stanza, ov'egli albergava. Questo concetto, puerilmente espresso, ma sostanzialmente vero e profondo, presagiva un metafisico non volgare. All' incontro il Descartes, valente matematico, e in età matura, crede possibile a Dio l'operare che due via due facciano cinque. E perchè disdirgli il potere di annullar sè stesso, e di essere e non essere nello stesso tempo? Questa meraviglia, per un metafisico, non sarebbe maggiore di quella. Ma il primo presupposto è una pietra di paragone

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