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di un privilegio dello scetticismo; il quale, cessando ogni fede, non è propriamente un sistema, ma un giuoco ingegnoso, con cui gli spiriti più acuti che forti si trastullano e van passando il tempo, sconfidati che sono o incuriosi di trovare scientificamente il vero. Si capisce, come uno spirito non ordinario, ma guasto e sviato, possa farsi scettico per disperazione, come altri si ammazza per la stessa causa; e lo scetticismo si può chiamar veramente il suicidio dell' intelletto. Ma il Descartes ci porge l'esempio unico di un uomo, che si fa scettico assoluto, per diventar dogmatico, e che dal dubbio universale vuol fare uscire in corpo e in anima tutta la filosofia, e con essa tutto lo scibile umano. Ora lo scetticismo, che, come scopo, è una follia ingegnosa, come mezzo dogmatico, è una follia sciocca e ridicola; e se si vuol rendere il Descartes meno colpevole dei Pirronici e degli antichi sofisti, la sua innocenza non si può salvare altrimenti, che disdicendogli quel senno naturale e volgarissimo, onde sono dotati quasi tutti gli uomini.

Renato dubita di tutto, per poter creare la filosofia. L'intento è ottimo, giacchè, se la filosofia è una bella cosa, è onorevole e bellissimo il farsene autore. Ma per volere plausibilmente creare un oggetto qualunque, bisogna che tale oggetto non si trovi al mondo, o sia di quelli che si possono moltiplicare. Michelangelo può scolpire anche dopo Fidia; perchè le statue possono esser molte, e vari sono gli aspetti imitabili del Bello, benchè il Bello sia unico. Ma la filosofia, come il vero, è una; e quantunque le moltiplici facce del vero, e la varietà delle sue applicazioni, diano pur luogo a diversi sistemi, o per dir meglio a diverse parti di un solo sistema, e aprano un largo campo all'ingegno degli uomini; tuttavia non possono darsi

molte filosofie; e quando se ne abbia una, ancorché imperfettissima, il volerne crear di pianta un'altra, è cosa assurda ed incomportabile. Resta dunque a supporre che ai tempi del Descartes non ci fosse di tale scienza altro che il nome, e quel vago concetto, che si suol avere delle cose sconosciute. Eppure Platone, Aristotile, Plotino, Agostino, Bonaventura, Tommaso, (per far solo menzione dei nomi più insigni,) erano vissuti sul nostro globo, e aveano creduto di filosofare. Le loro opere, frutto di lunghe e indicibili fatiche, correvano per Europa, e il Descartes potea leggerle e studiarle a suo talento; anzi le lesse in parte, e le rubò all'occorrenza, senza citarle, ed anco senza intenderle. A un ingegno straordinario quei valorosi accoppiavano i vantaggi di una vita spesa nello studio, di assidue meditazioni, e di un credito universale; venerati dai coetanei, e più ancora dai posteri, come maestri. Come adunque il Descartes potea pigliar l'assunto di creare la filosofia? Se questa scienza si trovava negli scritti di que' sommi e dei loro seguaci, era ridicolo il farsene autore. Se ci era, ma imperfetta e mista di errori, come tutte le cose umane, era d'uopo correggerla, purgarla, accrescerla, perfezionarla; e benchè niuno si dovesse arrischiare a quest' ardua impresa, che non si sentisse bene in forze per riuscirvi, il consiglio in sè stesso era buono e ragionevole. Si dirà forse che gli ultimi Scolastici aveano talmente guasta e deformata la filosofia, che per liberarsi da quell' ingombro, era d' uopo smantellare affatto l'antico edifizio, e alzarne un nuovo dalle fondamenta? Ma dal rigettare i cattivi Scolastici al dar lo sfratto a tutti i filosofi anteriori, eziandio ai più eccellenti, senza fare il menomo caso delle speculazioni e delle fatiche di tanti sublimi ingegni, l'intervallo era troppo grande. Che si direbbe di un

medico, il quale per rimediare ai difetti attuali della sua scienza, o a qualche cattivo sistema, che, come accade, fosse momentaneamente in voga, proponesse di cancellare quanto si è pensato e scritto da Ippocrate fino al Tommasini, facendo risalire la scienza più addietro degli Asclepiadi, anzi incominciandola ab ovo, come se l'arte del guarire finora non fosse stata al mondo? E pur tale fu l'assunto del Descartes in filosofia. Se poi egli pensava, che a malgrado dell' ingegno grandissimo, e di lunghe fatiche, tutti i filosofi precedenti abbiano procreati sogni e chimere, non veggo, come potesse confidarsi di fare egli solo ciò che riusci impossibile a tanti valentuomini, e a tutte le culte generazioni delle passate età. Imperocchè, se la filosofia avea ancora da nascere ai tempi di Renato, uno spirito giudizioso dovea conchiuderne, esser ella impossibile allo spirito umano. Si può creare una scienza nuova, quando il soggetto è nuovo, cioè dianzi non avvertito. Ma certo il soggetto della filosofia, cioè Dio, l'uomo, il mondo, non era passato inavvertito sin dai tempi più vetusti, e avea occupati i migliori ingegni; onde, se i loro sforzi erano stati al tutto vani, e i sistemi da essi fabbricati sono falsi e chimerici, l'impresa dovea credersi di non possibile riuscimento. Conclusione certo temeraria; ma che tuttavia può cadere in un grande intelletto, come Emanuele Kant, l'error del quale, se fa torto alla sua prudenza, non pregiudica al credito dell' ingegno; laddove la presunzione del Descartes è puerile. Il Descartes crede che la filosofia non si trova, che le menti più stupende non seppero inventarla, benchè se ne occupassero del continuo, e che a lui è riservato il discoprire questo nuovo mondo. E stima di poterlo trovare, stans pede in uno, con lo studio di breve tempo, e dettando due o tre opuscoletti di poche pagine, come si scriverebbe

una novella o una commedia (15). Non credo che in tutti gli annali del genere umano si possa trovare un esempio di temerità e di leggerezza simile a questo. Un uomo presume di poter creare egli solo dalle radici la scienza dell' umanità, di Dio, dell' universo, cioè di tutto lo scibile! Di poter egli individuo, più che gli uomini più segnalati, più che tutto il genere umano ! Di potere egli solo in pochi anni, più che gli altri in quaranta e più secoli! Ma qual è poi in fine questo nuovo miracolo? Qual è il sistema, che il Descartes sostituisce alla sapienza di tutti i suoi antecessori? È il sistema più leggero, più inconsistente, più illogico, più assurdo, di cui gli annali della filosofia facciano menzione. Uno scrittor francese, nel mezzo del secolo diciassettesimo, e dell' Europa civile e cristiana, divulga a suono di tromba, come fosse la filosofia per eccellenza, una teorica, i cui paralogismi avrebbero forse fatto arrossire que' rozzi pensatori, che vissero nella Grecia mezzo barbara, prima di Pitagora e di Talete. Tal è la pena, che Iddio infligge alla temerità dell' ingegno umano: lo castiga colle proprie opere. Gli spiriti superbi aspirano al sublime, e ottengono il ridicolo. Vogliono farsi iddii, come il primo padre delle nostre sciagure, e riescono meno che uomini (16).

Renato non volle solamente creare la filosofia, ma eziandio il soggetto, in cui ella versa. E veramente il primo assunto conduce di necessità al secondo. Ora qual è la materia sostanziale della filosofia? L'Idea. Bisogna dunque crear l' Idea. Ma per potervi riuscire, uopo è che l'Idea non sia, o lasci di essere; giacchè ciò che è, non si può ragionevolmente creare. Distruggasi adunque l'Idea. In che modo? Col dubbio universale, cacciandola da sè, supponendo che sia una chimera,

annientandola col proprio pensiero. Se in questo modo si annulli veramente l'Idea, senza la quale non è possibile il menomo atto cogitativo, lascio al Descartes il giudicarlo; ma in fine, uopo è contentarsene, e sarebbe indiscrezione il richiedere di più dalle forze di un filosofo. Il Descartes col suo scetticismo assoluto si colloca adunque, per quanto è possibile, in un vero nulla mentale, donde con un fiat creativo, farà scaturire la scienza. Egli si governa a suo potere, come un botanico, che per ben conoscere la natura dei vegetabili, si proponesse di crearli, e cominciasse a disertare le aiuole, e ardere le piante del suo giardino.

Il vero scientifico, come sapientemente nota il Vico, si reciproca col fatto, e la scienza è un artificio, con cui lo spirito umano compone le verità ideali (17). Ma egli le fa e non le crea, o per dir meglio le rifà, ritessendo colla riflessione l'ordito primigenio dell' intuito. La sintesi filosofica è la ripetizione, il ritratto, e come il riverbero, della sintesi ideale. L'Idea ponendosi e organandosi razionalmente da sè stessa, lo spirito umano la contempla, e ripiegandosi quindi sull' intuito proprio, ripone mentalmente essa Idea, e ne rifà l'organismo in modo intellettivo, a fine di appropriarselo. Questo lavoro forma la scienza; la quale si può definire la sintesi mentale, rappresentativa della sintesi ideale, e versa su questa, come sopra il suo proprio oggetto. Se in vece di star contento a rifare intellettualmente la sintesi ideale, il filosofo vuol crearla di pianta, egli somiglia a un architetto, che deliberi di murare in aria, e ad un tessitore, che senza stame, metta mano ad ordire la tela.

Il Cartesianismo imprende l'opera più assurda, che possa

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