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rio non può nascere dal contingente, nè l'oggetto dal soggetto, così i sensibili interiori od esteriori non possono partorire l'intelligibile. Non mi distendo su questo punto, sia perchè non iscrivo elementi di psicologia, e perchè la proposta medesima del quesito involge una ripugnanza; conciossiachè essendo l'Idea l'oggetto immediato ed eterno della cognizione, e non una specie o imagine di esso, il chiedere, qual ne sia l'origine, diventa ridicolo, se non si ha solo riguardo alla sua attinenza verso l'intuito nostro; la quale non concerne la natura di essa Idea, ed è una relazione esterna solamente. La quistione si riduce dunque a sapere, se derivando la cognizion dell' Idea da una facoltà speciale, che dicesi mente, o intelletto, o ragione, ella è acquisita od ingenita; cioè, se l'uomo può sussistere, eziandio pure un piccolissimo spazio di tempo, come spirito pensante, ed esercitare la facoltà cogitativa, senz' avere l'Idea presente; e quindi ne va in cerca e se la procaccia; ovvero, se ella gli apparisce simultaneamente col primo esercizio della mente, tantoche il menomo atto pensativo e l'Idea siano inseparabili. Il che è quanto si vuole intendere, allorchè si chiede, se l'Idea sia innata; imperocchè, non essendo ella una effigie o forma impressa nello spirito, ma l'oggetto medesimo, che si affaccia al suo intuito mentale, tanto è dire che sia innata, quanto affermare che non è un lavoro cogitativo, e che, a rispetto nostro, nasce ad un parto col pensiero che l'apprende. Per tal modo l'Idea può aversi per acquisita, rispetto alla sostanza dell' anima, com'è acquisito il primo atto mentale; ma è ingenita, rispetto al pensiero. Ciò posto, la soluzione del quesito è agevole e brevissima. Non si può fare un atto cogitativo, senza pensare a qualche cosa intelligibile; perchè altrimenti, il pensiero essendo l'apprensione dell' intelligi

bile, si penserebbe senza pensiero. Ora l'intelligibile è l'Idea stessa, come quella che è l'oggetto immediato del pensiero e della cognizione. Non si può adunque assegnare altra origine all' Idea, per rispetto nostro, che l'origine medesima dell' esercizio intellettivo. Il ricercare poi, qual sia l'origine e il nascimento di questo esercizio, non appartiene al presente proposito, e debbo riservarlo a un lavoro distinto da questa Introduzione, essendo uno de' punti più nuovi e più astrusi di tutta la filosofia.

L'ldea non si può dimostrare, ma si dee ammettere, come un vero primitivo. Imperocchè qualunque prova presuppone un concetto anteriore; ora siccome ogni concetto è l'Idea, o si fonda nell' Idea, e ogni dimostrazione è composta di concetti e di giudizi, egli è chiaro che qualunque assunto dimostrativo della verità ideale si risolve in un pretto paralogismo. Non ne segue però che l'Idea non sia legittima, o valga meno dei veri, che si dimostrano. Imperocchè la virtù di ogni dimostrazione deriva dall' Idea, che ne porge i principii; onde, se questa avesse meno valore delle verità dimostrate, la conseguenza sarebbe più salda delle premesse. L'Idea non è dimostrabile, perchè è la fonte di ogni prova e di ogni dimostrazione. Ella è nello stesso tempo una proposizione e un entimema, nei quali il soggetto e il predicato, l' antecedente e il conseguente s' immedesimano insieme, come vedremo nel processo del nostro ragionamento.

La nota ideale, che equivalendo alla dimostrazione, ne fa le veci, è l'evidenza. L' evidenza è l'intelligibilità delle cose; e siccome l'Idea è l' Intelligibile, ella riesce evidente

per sè medesima. Le altre cose sono evidenti in virtù dell' Idea, e partecipano all' intelligibilità, che ne deriva, e di cui ella è fonte unica, suprema ed universale. L'evidenza ideale è dote intrinseca e non estrinseca, luce propria e non riflessa, sorgente e non rivolo, causa e non effetto; anzi non è proprietà della cosa, a rigor di termini, ma la cosa stessa. Ella non rampolla dallo spirito umano, ma dal suo termine assoluto, è obbiettiva e non subbiettiva, appartiene alla realtà conosciuta, e non al nostro conoscimento. Ella è quindi insignita di una necessità obbiettiva, assoluta, spettante alla propria natura, non all' intuito, che la contempla: non arguisce nulla di subbiettivo, nè risulta dalla struttura dello spirito umano, secondo i canoni della filosofia critica. L'evidenza non esce dallo spirito, ma vi entra e lo penetra: vien dal difuori, non dal didentro : l' uomo la riceve, non la produce, e ne è partecipe, non autore. Ella scaturisce dalle viscere del suo oggetto, ed è la voce razionale, con cui l' Idea attesta la propria realtà, e l'atto medesimo, con cui questa pone sè stessa al cospetto del contemplante. E infatti, se l'evidenza è l'intelligibilità, come mai potrebbe trovarsi fuori dell' Intelligibile?

Non si vuol però credere che l'evidenza sia perfetta a rispetto nostro, o venga posseduta colla stessa misura da tutti gli uomini, in ordine alla riflessione. Essendo ella una luce incorporea, che raggia dall' oggetto ideale, e lo rende cospicuo alla virtù visiva dello spirito, si possono dare diversi gradi di luce e di splendore; la qual varietà non procede da essa luce, che è sempre identica a sè medesima, ma dalla disposizione della virtù contemplatrice, che influisce nell' oggetto della visione in modo negativo, cioè diminuendo

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più o meno il chiarore, che l'accompagna. Quando lo spirito riflette sull' intuito proprio, e il lume che lo rischiara è debole e fioco, perchè abbacinato da esso spirito, egli può alterare la notizia dell'oggetto; quindi nasce l'errore, di cui è capace ogni mente libera e creata. Siccome l'evidenza è l'Idea, e l'Idea è assoluta ed eterna, ella non può perfettamente fruirsi da altri, che da sè stessa, e ogni ente finito partecipa della sua luce in modo limitato e proporzionevole alla propria natura. Per questo rispetto, si afferma con verità che la cognizione umana consta di elementi subbiettivi e obbiettivi, e che i primi derivano dalla disposizione dello strumento cognitivo, cioè dello spirito. Ma questa subbiettività è negativa: noi non intromettiamo nulla del nostro nell' oggetto intelligibile, e tutto il positivo della conoscenza gli appartiene; se non che, in virtù della nostra capacità limitata, lo apprendiamo finitamente e imperfettamente. Questa imperfezione è poi di due specie; l'una intensiva, e l'altra estensiva. La prima concerne i gradi della luce intellettiva; l'altra gli oggetti illuminati. Conciossiachè l'Idea, essendo l'intelligibilità stessa delle cose, irraggia sè medesima e l'universo col proprio fulgore, ed è veramente quel sole intellettuale, di cui il sole corporeo, secondo molti antichi filosofi, è come un' immagine o un' ombra, e più ancora un' ombra, che un' immagine. Ma siccome questo mondo delle cose conoscibili è amplissimo, e per ciò che riguarda l'Idea stessa, infinito, egli è chiaro che nessuna mente creata può abbracciarlo nella sua immensità; e questa impotenza subbiettiva è pur, come l'altra, una semplice privazione dal canto nostro. Ne dee dunque nascere l'incomprensibilità di molte cose, cioè il sovrintelligibile. Cercheremo altrove la radice intima di

questo concetto misterioso, le sue relazioni, e le sue influenze in tutte le parti dello scibile umano. Qui basti il notare che il sovrintelligibile ha una origine meramente subbiettiva, come quello, che nasce dall' imperfezione e dai limiti del soggetto conoscente, e, (fuori della rivelazione, che lo illustra con dati obbiettivi,) ha veramente quelle proprietà, che Emanuele Kant, per uno sbaglio singolare, attribui al suo contrario, cioè all' intelligibile. Fuori dello spirito creato, non v' ha sovrintelligibile; poichè i misteri nella loro entità obbiettiva, sia che riseggano nell' Idea, sia che ne derivino, sono illustrati dal suo eterno e infinito splendore. Il sovrintelligibile è come un' eclissi mentale; se non che, per l'aggiustatezza della comparazione, bisogna supporre che il corpo frapposto tra l'occhio e il sole sia nell'occhio stesso, cioè nello spirito; onde l'interposizione, e l'oscuramento che ne procede, durano almeno, quanto la vita organica. L'imperfezione estensiva della cognizione, da cui nasce l'incomprensibile, si può paragonare a una piccola maglia, che vela solo una parte della pupilla, ma produce su tal punto una oscurità assoluta; laddove l'imperfezione intensiva è come un panno sottilissimo, che l'adombra tutta, ma per la sua trasparenza non toglie interamente il benefizio della visione, benchè la renda confusa, scemando la copia e la vivacità della luce.

L'evidenza partorisce la certezza, ed è una spezie di mediatore fra questa e il vero, fra la mente conoscitrice e I'ldea, oggetto della sua cognizione. Essendo ella obbiettiva, la persuasione, che ne nasce, è perfetta e rimuove ogni dubbio. La certezza è perciò il modo, con cui lo spirito nostro s'appropria il vero e l'evidenza, e ripete a sè stesso i pronun

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