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del contingente, l'intellezione di quello dee precedere logicamente la nozione di questo, e produrla; e l' idea, che lega insieme tali due concetti, e fa dal necessario rampollare il contingente, è quella di creazione. Ogni pensante ha presente allo spirito qualche cosa di contingente; ma non potrebbe pensare il contingente, se non pensasse la sua ragione, cioè il necessario; nè il necessario, cioè la ragione del contingente, può collegarsi col contingente stesso, se non per via di una produzione assoluta e libera, cioè dell' atto creativo. Tutto questo processo adunque si contiene nell' idea del contingente, la quale senza di esso è inesplicabile, e involge una ripugnanza manifesta. Per tal modo l'intuito ideale, consultato dalla riflessione ontologica, per mezzo della parola religiosa, ci dà spiccate e distinte le tre idee fondamentali di tutto lo scibile, cioè l'Ente, l'esistente, e la creazione, che è il nesso di entrambi. Ora l'Ente e l'esistente sono due concreti, e lo spirito nostro gli afferra nella loro concretezza, non già applicando loro l'idea astratta di ente, come vuole il Rosmini, ma cogliendoli con quella apprensione immediata, che la scuola scozzese chiama percezione. La nozione dell' ente astratto viene solo nel sèguito, per opera della riflessione psicologica, che sottentra all' ontologica. Ella risiede nell' animo, che ripiegandosi sull' intuito stesso, e apprendendo quest' atto nella sua union misteriosa coll' Ente assoluto e creante, trova in esso come un riverbero o una impronta di questo grande oggetto ; giacchè il soggetto conoscente in virtù della cognizione riceve in sè medesimo una impressione e una modificazione dall' oggetto conosciuto. Questa modificazione fatta nell' intuito dalla cosa intuita, è il concetto astratto dell' ente; cioè il concetto dell' ente possibile, dell' Ente come pensato e pensabile, spogliato della sua concretezza, e considerato nei termini del solo pensiero. Ma l'intuito, apprendendo l'Ente per modo immediato, non apprende l'Ente in quiete, ma l'Ente in moto e creante; e quindi congiuntamente all' Ente percepisce l'esistenza, e l'unione dei due termini, mediante l'anello intermedio

della creazione. Perciò l'oggetto immediato dell' intuito non essendo l'Ente solo, ma l' Ente in relazione coll' esistente, mediante l'organismo della formola ideale, l'impressione, che esso intuito ne riceve, dee corrispondere del pari ai due concreti della formola, cioè all' Ente e all' esistente, e rendere imagine dell' uno e dell' altro. Insomma l'ente, come pensato e pensabile, dee corrispondere all' Ente e all' esistente, e rappresentarli entrambi perciò la pensabilità dell' Ente e quella dell' esistente debbono riunirsi in un solo elemento, che nell' atto cogitativo sia comune ad amendue, e loro egualmente applicabile. Ora qual è questo elemento, se non l'ente astratto, possibile, comune del Rosmini, predicabile dell' Ente e dell' esistente, di Dio e delle creature? Ecco adunque, come il processo ontologico, dopo averci date le notizie concrete dell' Ente e dell' esistente, spiega il modo, con cui si forma nello spirito il concetto astratto dell' ente, base di ogni astrazione, e ce lo mostra dapprima, come l'impression subbiettiva fatta dalla sintesi obbiettiva dell' Ente e dell' esistente nell' unità psicologica dello spirito, mediante il primo atto intuitivo. Ma l'ontologismo qui non si arresta, e ci dà una dichiarazione ancor più adequata e profonda di questo fatto, cui il psicologismo è costretto ad ammettere, come un fenomeno misterioso, inesplicabile e primitivo. Imperocchè si può chiedere, come mai una sola nozione, una nozione unica e semplicissima, qual si è quella dell' ente astratto, possibile, comune, generalissimo, possa convenir del pari a due cose così diverse, come sono il necessario e il contingente, l'infinito e il finito, il Creatore e la creatura? A prima fronte la cosa pare impossibile, non che improbabile, e si può dubitare di qualche inganno o illusione dello spirito; sembrando che fra l'Ente e l'esistente, divisi da un infinito intervallo, non si debba trovar nulla di comune. L'ontologismo risolve

Il Rosmini ripete spesso, che l' intuito dell' ente ideale è un fatto primitivo e inesplicabile.

questo dubbio, colla sintesi dell' atto creativo'. La qual sintesi, importando una relazione reale dell' Ente coll' esistente, ci conduce di necessità ad ammettere una similitudine fra questi due termini, a malgrado dell' immenso intervallo, che gli disgiunge, e ce la fa ravvisare nell' idea eterna dell'Ente, sulla quale è esemplato l'esistente nell'atto stesso, in cui viene prodotto. Ora l'idea dell' ente possibile è questo archetipo eterno, senza il quale la creazione sarebbe impossibile. L'ente possibile fa quindi parte dell' Intelligibile divino; e, siccome l'Intelligibile divino ci è comunicato nell' intuito, mediante l'atto creativo, e forma l'intelligenza nostra, ne segue che l'idea dell' ente astratto splendiente alla riflessione, è la stessa idea divina. La quale, essendo esemplare nell' Ente, ed esemplata nell' esistente, essendo il vincolo di entrambi, e rendendo possibile il magisterio della creazione, dee perciò essere generale, comunissima, e applicabile a Dio, come alle creature. L'idea dell' ente astratto ci è dunque data dalla percezione dell' Ente concreto, che la contiene in sè, come la percezion di un miraglio porge quella degli oggetti, che vi si rappresentano ci viene eziandio somministrata dalla riflessione, mediante la quale il pensiero, ripiegandosi sovra sè stesso, la trova effettuata, e quasi incarnata nella propria forma. Lo spirito umano la riceve adunque in due modi; cioè, come esemplare divino, nell' intuito dell' Ente assoluto; e come copia esemplata sul divino modello, in virtù dell' atto creativo. Imperocchè lo spirito, come creatura, discende da Dio a sè, e come pensiero, risale da sè a Dio; e queste due operazioni sono simultanee, immanenti, e s'immedesimano, mediante l'azione creatrice. Dunque lo spirito, come creato e riflettente, trova in sè effigiata l'idea divina dell' ente

1 Non posso qui far altro, che accennare un punto di scienza ampio, oscuro e difficilissimo, il quale, per essere ben trattato, vorrebbe da sè solo un libro, non che una nota. Ne parlerò a dilungo nella Scienza prima, di cui parte importantissima è la teorica dell' atto creativo.

possibile; come creato e intuente, contempla lo stesso tipo nell' Ente concreto, oggetto del suo intuito. Perciò l'idea dell' ente possibile è subbiettiva e obbiettiva ad un tempo : subbiettiva, come esemplata nello spirito dalla creazione, e rivelataci dal pensiero riflesso; obbiettiva, come esemplare divino, insidente in Dio, e dall' intuito fatto palese. Dal che si vede che il Rosmini ha ragione di ascrivere all' idea dell' ente possibile un elemento obbiettivo; ma egli erra, così nel negare l'elemento subbiettivo, che l'accompagna, come nel credere che l'elemento obbiettivo possa stare, senza l'intuito immediato dell' Ente nella sua concretezza. Certo, se non avessimo questo intuito, e se l'Ente assoluto, contenente in sè l'idea dell' ente possibile, non risplendesse direttamente allo spirito, la nozione di esso ente possibile non potrebbe darsi, o avrebbe un valore meramente subbiettivo.

Questa sintesi dell' obbiettivo e del subbiettivo nell'idea dell' ente astratto, mediante l'atto creativo, dà eziandio ragione delle convenienze, che corrono fra l'ente astratto e l'Ente concreto assoluto. «Nell' idea dell' essere, » dice il Rosmini, «è compresa « un'idea negativa dell' infinito, o come la chiamavano gli antichi, un infinito in potenza 1. Ma che cos'è questa idea dell' infinito potenziale, se non il concetto della virtù creatrice inseparabile dall' Ente? Lo stesso Autore ripete spesso, come abbiamo veduto, che l' ente ideale è indeterminato, e dice che noi vediamo «< quell' attività che si chiama essere nel suo principio, << ma non ne' suoi termini, ne' quali ella si compisce e si as« solve 2. » Queste e simili locuzioni ricorrono a ogni poco sotto la sua penna. Ora io non so quanto sia esatto il supporre che la concretezza dell' essenza divina consista nell' aver de' termini, poichè essa esclude ogni termine, come infinita. I teologi delle

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scuole dicono che le persone divine compiono e terminano la divina essenza, togliendo queste voci in senso analogico, per esprimere la sussistenza personale; ma qual è il senso, che si può dare al vocabolo termine applicato all' essenza divina, razionalmente conosciuta, se non si riferisce alle persone? Quando poi si dice che l'ente ideale è indeterminato, si giuoca d'equivoco; imperocchè o si vuol significare, che non è concreto, ma vago, indefinito, comune, applicabile a ogni cosa; ovvero, che non ha limiti ed è infinito. In questo secondo caso, tanto è lungi che l'indeterminazione dell' ente escluda i caratteri della Divinità, che anzi ne costituisce uno dei principali. L'ente astratto è infinito, perchè è un esemplare insidente nell' infinita essenza, dotata di virtù creatrice ed infinita. Nell' altro caso, l'ente astratto è veramente indeterminato, perchè esprime il contingente, che può essere effettuato o non essere, può esser fatto così e così, in virtù dell' azione creatrice, che è liberissima. Questa indeterminazione esprime adunque un altro carattere divino, cioè la perfettissima libertà dell' Ente creatore. Ma basti di ciò per ora. Credo che questi pochi cenni siano sufficienti a mostrare che l'ontologismo è il solo metodo atto ad evitare le difficoltà, le ambiguità, le contraddizioni, gli assurdi, in cui incorrono i psicologisti, e a metterci sulla buona via per avere una teorica ortodossa della visione ideale. Il compiere quest' assunto sarà materia di un altro discorso.

NOTA 39.

S. Bonaventura è uno degli anelli tradizionali, che congiungono nella storia della scienza la filosofia di santo Agostino e di santo Anselmo con quella del Malebranche. Recherò i tratti principali della sua concisa, ma profonda, teorica della visione ideale, esposta nell' Itinerario, scritterello chiamato da Giovanni Gersone opus immensum, cujus laus superior est ore mortalium 1.

1 S. BONAV. Oper. Moguntiæ, 1609, tom. VII, p. 125.

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