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Se questo è il valore, che l'illustre Rosmini dà alle nostre idee, non è più da maravigliare, ch' egli rigetti espressamente la dottrina del Malebranche e di altri sommi uomini, sulla visione ideale. Parlando del Malebranche, egli così si esprime : Quanto non sembra quest' uomo prossimo a cogliere quel filo, «< che trae dall' intricatissimo labirinto delle idee! Egli l'ha in « mano, e non se ne avvede. Invece di dire con san Tommaso, «< che quell' idea dell' ente è un lume creato, egli vuole, che sia «Dio stesso; indi l'errore. Fino a questo passo egli era proce«<duto con una osservazione fina della umana natura, con una logica accurata : qui il suo metodo l'abbandona, e sull'ali « dell'immaginazione franca l' immenso spazio, che corre fra la «< creatura e il Creatore. Ma non avea detto egli medesimo, che quell' idea dell' ente è un' idea vaga? Che è l'idea dell'ente « indeterminato? Che è l'ente in genere? Ora l'idea di Dio non «è vaga questo ente è infinito bensì, ma non indeterminato : « finalmente egli non è l'essere comune delle cose, molto meno « l'essere in genere, ma è l'essere primo, certo, compito, fuori << di tutti i generi questa distinzione fra l'essere universale << astratto, e l'essere sussistente, è una verità conservata nel « deposito delle cristiane tradizioni, che non si dovea ignorare « da un tant' uomo nè trascurare 1. » Il Malebranche non ha mai negata questa distinzione, e questa non è la parte difettuosa della sua teorica. Ciò bensì, che si può imputare a lui e a' suoi precessori, si è di non aver distinto in modo preciso l'idea intuitiva dall'idea riflessiva dell' Ente, e di aver bene spesso confusa l' una coll' altra. Da questo mancamento provenne che spesso si travisarono i veri caratteri dell' Idea, come oggetto immediato dell' intuito, trasportando in essa le proprietà del concetto riflesso. Il quale, essendo un debole riverbero del concetto intuitivo, ne riproduce imperfettamente, le doti; onde l'infinità dell' Ente diventa indeterminazione; l' universalità si

1 N. Sag., tom. II, p. 478, 479.

muta in generalità; la concretezza dà luogo all' astrattezza; e così via discorrendo. Non posso qui dilungarmi intorno a un tema vasto, nuovo e profondo, a cui ho in animo di consacrare un lavoro speciale. Mi ristringerò a dire che il difetto della teorica della visione ideale, quale fu lasciata dal Malebranche, consiste nel non aver ben fatta questa distinzione; e che questo vizio nato dall' aver dismesso il rigore del processo ontologico, contribui a screditare i risultati buoni e sodi della scienza per questa parte. Ma l'illustre Rosmini, al parer mio, si dilungò dal vero assai più che il Malebranche, e quegli altri valentuomini, che lo precedettero; i quali ammisero pure l'intuito immediato dell' Ente reale, benchè lo confondessero colla riflessione; laddove il nostro filosofo lo tolse via del tutto, recando ad errore dei migliori antichi la verità più importante, che si trovi nei loro sistemi. « 1 Platonici generalmente corrono in quella stessa « confusione... fra l'idea dell' esser comune o dell' esser in potenza, coll' idea dell' essere primo e attualissimo, e trasfor<< mano la ragione umana nella essenza divina 1.» (Non già la ragione umana, ma la ragione obbiettiva dell' uomo, la quale è veramente la ragione divina). E in proposito del Ficino, del Thomassin, del Gerdil, che seguirono le orme di santo Agostino e di santo Anselmo : « Ciò che è sfuggito a tutti questi autori si fu, per quanto mi sembra, la grande distinzione faa l'essere in potenza (idea, essenza dell' essere) e l' essere in atto.... mediante «la quale distinzione s. Tommaso.... dimostra, che Iddio non «è fra le cose note per sè stesse. Questi dicono: L'essere non si può pensare privo dell'essere : dunque l'essere esiste. Qui c'è equivoco nella parola essere. Se per essere intendete essere ideale, certo non potete pensarlo, senza che sia, e che sia necessariamente; ma non dovete confondere l'esssere ideale coll'essere sussistente. 2. » (Ma l'idealità dell' essere ideale, se

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1 N. Sag., tom. II, p. 480. Ibid., tom. II, p. 480, not,

non ci si manifesta come un nulla, non ci dee apparire come una

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cosa sussistente?) E parlando di san Bonaventura : « Non è dubbio, «< che questo sommo uomo, non dirò italiano, perchè del mondo, « pone essere nell' uomo innata l'idea dell' essere attualissimo;...... « cioè più di me; perciocchè io pongo innata solo l'idea dell' « essere comune e perfettamente indeterminato 1. » Di sant' Agostino poi, egli discorre in questi termini: «Questa maniera di dire (vedere le idee in Dio) dee intendersi in sano modo, perocchè «presa alla lettera, come l'ha usata il Malebranche, io non saprei approvarla. E se noi consideriamo attentamente, e raffrontiamo insieme i luoghi de' Padri, noi la veggiamo in varie guise temperata. Consideriamo questo passo di s. Agostino, « cioè di quel Padre, che ha molto illustrata cotale dottrina, e << per così dire fatta sua, sebbene veramente ella gli discendesse « da' Padri anteriori. Riprende sè stesso in un luogo delle Ritrattazioni (L. I. c. VIII.) dell' aver detto, che l'apparare che fanno gl' idioti non è che un ricordarsi le cognizioni dimenticate, il «che era placito di Platone: Questo lo riprovo, dice. Perocchè « è più probabile, che gl' imperiti rispondano il vero di alcune discipline, quando son bene interrogati, per questo, che ad essi è presente, quanto può in essi capire, il lume della ragione eterna, dove veggono questi immutabili veri; non perchè gli avesser co"nosciuti altre volte, e se ne fosser dimenticati, come n'è paruto a « Platone ed altrettali. Qui si fa chiaro, che sebbene il santo dottore dica presente all' anima intelligente il lume della « verità eterna, cioè il lume di Dio, come spiega in tanti luoghi, «tuttavia vi pone la limitazione, quantum id capere possunt; e in

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questa vita naturale non capisce nell' uomo abbastanza di «lume, da potersi questo lume appellare col nome sostantivo «Dio 2. » Ma sant' Agostino parla solo di una limitazione sogget tiva, la quale, ristringa pure quanto si voglia soggettivamente la

1 N. Sag., p. 119, not.

2 Il Rinnov. della filos. del Mam. esam., p. 491, 495, not.

cognizion dell'oggetto, non può fare che questo oggetto non sia quello che è, cioè una cosa sussistente, e la stessa essenza divina. Quando mai si è creduto che l'oggetto della cognizione lasci di essere quello che è, perchè il soggetto conoscente imperfettamente l'apprende? A questo ragguaglio, non vi potrebbe essere disparità di gloria nei comprensori; anzi a niuno di loro si potrebbe attribuire la virtù di vedere Iddio, poichè tutti l'apprendono, quantum capere possunt, e niuno certo ne ha un' apprensiva perfetta, pari o simile a quella, che l'Ente assoluto ha di sè medesimo. La quistione consiste nel sapere, se l'oggetto immediato dell' intuito razionale, per quanto sia imperfetto esso intuito, è Dio, o una cosa distinta da Dio, è il Creatore, o una creatura; giacchè non v' ha mezzo tra questi due termini. Se non è Dio, se è una cosa creata, contingente, finita, lo scetticismo e il nullismo sono inevitabili. Se è Dio, dee essere una cosa sussistente, e la stessa essenza divina, semplicissima, che non è capace di più o di meno, come quella, che nel medesimo tempo è una ed infinita. Ma l'uomo non ha quaggiù abbastanza di lume, da potersi questo lume appellare col nome sostantivo Dio. E perchè, di grazia? Il lume divino è forse come quello del sole, che si divide in raggi, consta di parti, ed è suscettivo di gradi diversi e di vari colori? Non è anzi la divina essenza? E questa non è una, semplicissima, inalterabile, indivisibile? Si può egli parlare delle varie dosi del lume ideale, come di quello di una lucerna? Nè io imputo già questo grossolano errore al sagace filosofo; ma fo quest' avvertenza, per inferirne ch' egli confonde ivi, come spesso, la cognizione o vogliam dire il lume obbiettivo col subbiettivo, e attribuisce all' uno ciò che è proprio dell' altro. Il lume subbiettivo, se cosi vuolsi chiamare, è l'intuito umano, finito di sua natura, e capace di una infinità di gradazioni : il lume obbiettivo è l'oggetto intuito, il quale è sempre identico a sè stesso, poichè è la divina essenza. Ora questo lume obbiettivo, qualunque sia la debole partecipazione, che ne ha l'intuito, non solo si può appellare col nome sostantivo Dio, ma si dee

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appellare in tal modo; perchè è in effetto Dio stesso; e Dio dee esser chiamato Dio, perchè vuol essere riconosciuto come tale, se già non si stima lecito lo scambiare il concetto e il vocabolo del Creatore con quello della creatura. Dunque santo Agostino nel detto luogo, e in molti simili, che non allego, perchè si possono vedere raccolti presso il Thomassin, il Gerdil, e altri autori, intende il contrario di quello, che stima il Rosmini. Il quale cita pure altrove un passo del gran vescovo d'Ippona, che basterebbe a confermare il nostro sentimento : «Se quest' essere » (cioè l'ente ideale) « spiegando sè stesso più "manifestamente innanzi alla mente nostra, dall'interno di sè « emettesse la sua propria attività, e così si terminasse e compiesse, noi vedremmo allora Dio: ma innanzi, che ciò avvenga, «<e non veggendo noi che pur quell' essere così imperfettamente << come lo veggiamo naturalmente, quell'attività prima, che cela « a noi il suo termine; non possiamo dire altro, se non quanto « disse mirabilmente s. Agostino, cioè, che in questa vita, certa, quamvis adhuc tenuissima forma cognitionis, attingimus Deum1.» Ma se il conoscimento umano apprende (attingit) Dio, Iddio è dunque l' immediato oggetto dell' intuito. Ciò che diciamo di s. Agostino si può pure intendere del Ficino, difensore della medesima sentenza, e citato dal nostro Autore, dove lodatolo, per aver detto, che in virtù dell' essere si conoscono le altre cose, ma lui si conosce per sè stesso, soggiunge; «In questa verità veduta ed « annunziata di passaggio dal Ficino, stà tutto il mio sistema, «< che è volto a scuoprire, in che stia l'essenza della conoscibi«lità delle cose, e a mostrare, che è posta nell' essere intelligi«bile o ideale. Ma il Ficino non isviluppò questo gran principio, «e dedusse quello, che non si potea da lui logicamente « dedurre, cioè che fosse propriamente Dio, non potendosi « dedurre altro, se non che è un' appartenenza di Dio 2. » Eccoci

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1 N. Sag., tom. III, p. 115.

2 Il Rinnov. della filos. del Mam. esam., p. 504, 506, not.

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