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<< mano le divine scritture; vedesi, che tutta la conoscibilità « delle cose è nella divina essenza. Finalmente, distinguendosi appunto nell' essere realmente due forme o modi primordiali, «< che io chiamo la realità, e l'idealità, l'essere reale e l'essere ideale; niente vieta, che l'essere ideale, la conoscibilità essen«ziale, in quanto si trova congiunta e identica essenzialmente « colla realità assoluta, appellisi il Verbo di Dio 1. Giacchè le « idee universali vi sono, e di universale non v'ha che Dio ; « dunque quelle idee debbono appartenere in qualche modo « all' essere supremo, debbono almeno nel loro fondo essere una pertinenza della natura divina 2. Non è... da' sensi, che noi raccogliamo e partecipiamo la verità, secondo l' Angelico, ma «si da Dio; perocchè veggendola noi veramente eterna, e non « essendo ella eterna che in Dio, convien dire, che in Dio la veggiamo, e che da Dio ci venga questa luce, secondo la quale giudichiam de' fantasmi e delle cose tutte, siccome con suprema norma ed infallibile 3. » Finalmente egli dichiara a lungo l'unità numerica dell' ente ideale per tutte le menti'; sentenza, che quadra a capello con quella del Malebranche, e presuppone necessariamente la medesimezza di quello colla divina na

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tura.

Se avessimo l'occhio soltanto a questi luoghi, potremmo collocare il Rosmini fra i discepoli di esso Malebranche e degli altri illustri filosofi, che propugnano l' intuito immediato dell' ente ideale. Se non che, ivi pure trovasi una certa esitazione, un certo uso di temperamenti ambigui ed indefiniti, che dimostrano l'illustre Autore non esser ben certo della dottrina, che pronuncia. Imperocchè quando gli accade di dire che le idee umane

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sono identiche alle divine, egli mitiga la sua frase colla clausula quanto al fondo1. Questa clausula altrove non gli basta, e ci aggiunge altri correttivi, dicendo, che le idee « debbono appar« tenere in qualche modo all' essere supremo, debbono almeno « nel loro fondo essere una pertinenza della natura divina 2. » Vedi quante restrizioni e quanti palliativi! Le idee non sono già la natura divina, ma una semplice appartenenza di essa; non sono pienamente, ma nel loro fondo; nol sono per ogni verso, ma solo in qualche modo. Nell' altro brano citato, si concede, nulla vieture che l'essere ideale, la conoscibilità essenziale, in quanto si trova congiunta e identica essenzialmente colla realità assoluta, appellisi il Verbo di Dio. Che fogge di parlare sono coteste? Niente vieta; si tratta adunque di un probabile giuridico, e non di un vero metafisico? Che l'ente si appelli il verbo; la quistione riguarda dunque un nome, una metafora, e non la cosa stessa? La conoscibilità essenziale; che cosa vuol dire l' epiteto di essenziale? Ogni conoscibile non è essenziale, in quanto è conoscibile? La conoscibilità essenziale congiunta e identica essenzialmente colla realita assoluta. Forsechè la conoscibilità essenziale o non essenziale può essere separata dalla realtà assoluta? Forse può essergli accidentalmente congiunta? Forse una cosa può essere non essenzialmente identica ad un' altra? Come mai il Rosmini, che per ordinario è si preciso, si avviluppa qui in tali locuzioni, che tolgono ogni precisione al suo dire? Come mai adopera di que' temperamenti equivoci, che annebbiano il pensiero, e ch'egli biasima, quando gli trova ne' suoi avversari3? Ma v' ha di più. In altri passi il suo linguaggio è ancor più incerto, fluttuante, e alieno da quella esattezza, che nelle altre materie è famigliare al nostro Autore. « Non si può dire con esattezza, che noi veggiamo Dio (l'essenza divina) nella vita presente; perocchè

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Ibid., p. 77, not. 3; p. 210, 211, 453, not. 4 et al. passim.

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« Dio non è solo l'essere ideale, ma è indisgiungibilmente «reale-ideale. Ciò che noi veggiamo però è un' appartenenza di Dio, e completandosi acquisterà la forma di Dio. Iddio cioè ci si mostra quaggiù solo in quanto è ente intelligibile pura«mente, (verità,) e anche ciò in un grado limitato. Questa << limitazione dell' essere da noi veduto, è al tutto soggettiva; « cioè nasce dalla parte nostra, e non dalla parte dell' essere « stesso, cioè di Dio 1. » Non v' ha dubbio che i limiti del nostro intuito siano subbiettivi, e che rispetto alla vastità dell'oggetto, che si contempla, siano grandi, anzi infiniti. Ma io chieggo, se qualunque siano i limiti, l'ente schietto, che noi veggiamo, è Iddio, o no? Chieggo in oltre, come si possa dire che il lume mentale sia un' appartenenza di Dio, senza essere Dio stesso? Iddio ha forse, come le cose create, delle appartenenze, che si distinguano dalla sua essenza? E s'egli è assurdo il supporlo, quel lume, che il dotto Autore confessa essere increato, non è forse l'essenza stessa di Dio? Si può ammettere qualche cosa d'increato, fuori della divina essenza?« Perciò più propriamente direbbesi, che l'essere in quanto è veduto da noi così limita«<tamente, può ammettere l'appellazione di lume creato, anzi «che d' increato. Ma considerato solo in quella parte che noi veggiamo, e non nella limitazione sua, egli è oggettivo, in«< creato, assoluto, veramente divino 2. » Dunque un tal lume considerato nel suo elemento positivo è Iddio stesso. «Ma esso « non mostra in sè alcuna determinazione, e... perciò egli è « come un cotale iniziamento dell' essere completo; giacchè « l'essere non si compie nella sua entità metafisica, se non me«diante le due forme insieme accoppiate della idealità e della « realità 3. » Che cosa vuol dire questo iniziamento dell'essere completo, il quale non è anco, se non cotale, cioè in un certo

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1 Il Rinnov, della filos, del Mam. esam., p. 503, 504.

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modo? È forse un inizio dell' iniziamento? E come mai l'ente, che è semplicissimo, può essere capace d'iniziamento, o di compimento? O come l'ideale in esso si può distinguere dal reale? lo capisco questa distinzione nel sistema dei panteisti tedeschi non la comprendo in quello dell' illustre Autore. L'idealità divina è somma realtà, come la realtà divina è somma idealità. Senza che, quel lume, che il Rosmini confessa essere oggettivo, increato, assoluto, veramente divino, non è forse reale? E se non fosse reale potrebbe essere divino, od umano, o di altro genere? Questa separazione fra il reale e l'ideale conduce al nullismo o al panteismo a quello, come abbiam veduto, se il reale si sottordina all' ideale; a questo, se si fa il contrario, come vedremo fra poco. «Io non vi nego mica, che le idee peculiari « delle cose create, sieno in Dio da tutta l'eternità. Ma dico, «che le idee onde noi conosciamo le cose, quanto alle deter«minazioni particolari, non sono quelle stesse onde conosce << Iddio, e solo nel loro fondo comune costituito dall' ente ideale, «<esse sono identiche a quelle, che stanno in Dio, con questa « immensa differenza però, che l'ente ideale comunica a noi la « sua luce in un grado infinitamente minore a quello che ha in « Dio, dove egli è Dio stesso, Verbo di Dio. E tuttavia vi aggiungo, che le nostre idee sono eterne, e sono in Dio1. » Dunque almeno l'ente ideale è Dio, poichè è il fondo comune fra le idee divine e le umane, ed è in virtù di esso, che le idee nostre sono eterne, e sono in Dio. Ma come conciliare questa sentenza col tratto seguente dello stesso dialogo fra l'Autore e il suo Maurizio?« M. Ma dove ponete voi quest' idea dell'ente « considerato come idoneo a produrre in voi quella modificazione? « in Dio, o fuori di Dio? A. Provato, che una cosa è eterna, egli « è anco provato che è in Dio, unica sede di tutte le cose eterne. « M. Le nostre idee dunque, sebben limitate, sono in Dio. A. Sì, «< in Dio sono tutte le idee nostre, e tutte le idee che avessero

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1 Il Rinnov, della filos, del Mam, esam., p. 615.

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quelle centomila maniere d' intelligenze, di cui a voi piace di « far popolati gli astri innumerabili del firmamento 1. » A leggere queste parole, voi credereste che il nostro filosofo fosse diventato malebranchiano, poichè colloca tutte le idee umane in Dio. Disingannatevi, e udite: « Iddio adunque ha bensì le idee « nostre, ma come nostre, non come sue. Mi spiego. Iddio co«nosce tutto: dunque conosce anche le nostre idee, e i nostri «modi di conoscere; e però ha l'idea delle nostre idee; e lo stesso dite delle idee che aver dovrebbero i vostri abitatori << della luna, e dell' altre sfere. In questo senso le nostre idee << sono eterne, e si trovano in Dio anche nella parte loro soggettiva. E tuttavia noi non le veggiamo già perchè sieno in

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Dio; ma sono in Dio, perchè egli ha voluto, che fossero in « noi, e che in noi si generassero a quel modo che in noi si generano 2. » Se questa è l'eternità, che si concede alle idee, si possono fare ugualmente eterni gli uomini, e le piante, e le bestie, e tutte le creature del mondo, senza scrupolo di coscienza. Imperocchè Iddio ha ab eterno l'idea di tutte le cose create o possibili a crearsi, fino alla menoma loro appartenenza; non perciò si potrebbe dire, senza grave improprietà di linguaggio, che le creature sono eterne, perchè eterno è il loro archetipo risedente nella mente creatrice. Così, se le nostre idee sono cose, che in noi si generano, cioè vere creature, Iddio ha certo ab eterno l'idea loro, ma esse non sono eterne più che le altre opere divine : l'eternità appartiene all' idea divina delle idee umane, come dice benissimo l'Autore, ma non alle idee umane in sè medesime considerate. E allora, che divengono quelle magnifiche lodi date alle idee dall' ingegnoso filosofo? Come si possono ancora chiamare necessarie, eterne, infinite, assolute, increate, immutabili? Come si può ancora difendere l'unità numerica dell' idea in tutte le menti umane, in tutte le intelligenze create?

1 Il Rinnov. della filos. del Mam. esam., p. 617.

2 Ibid., p. 618.

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