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« da una parte non mostra alcuna sussistenza fuori della mente, <«<e quindi si può denominare un essere mentale o logico; ma « dall' altra egli ripugna, che sia una semplice modificazione <«< del nostro spirito, e anzi spiega egli tale attività, verso cui << il nostro spirito è interamente passivo e suddito: noi siamo «< conscii a noi medesimi di nulla potere contro l'essere, di « non poterlo immutare menomamente di più, egli è assolu«tamente immutabile, egli è l'atto di tutte le cose, il fonte << di tutte le cognizioni insomma egli non ha nulla, che sia «contingente, come noi siamo è un lume, che noi percepiamo naturalmente, ma che ci signoreggia, ci vince, e ci no«bilita col sottometterci interamente a sè. Oltracció noi possiamo pensare, che noi non fossimo; ma sarebbe impossibile « pensare, che l' essere in universale, cioè la possibilità, la ve«rità non fosse. Avanti di me il vero fu vero, il falso fu falso. << nè ci potrà mai essere un tempo, che fosse altro che così. È questo nulla? No certamente; chè il nulla non mi costringe,

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<< non mi necessita a pronunziar nulla: ma la natura della verità, che risplende in me, mi obbliga a dir: Cio è; e ov❜io << non lo volessi dire, saprei tuttavia, che la cosa sarebbe egual«mente, anche a mio dispetto. La verità dunque, l'essere, la

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possibilità mi si presenta come una natura eterna, necessaria, tale, contro a cui non può alcuna potenza, poichè non può « concepirsi potenza, che valga a disfare la verità. E tuttavia « io non veggo, come questa verità sussista in sè; io non ne « sento, che una forza ineluttabile, una energia, che si mani« festa dentro di me, e la mia mente e tutte le menti soggioga «<e soavemente domina, come un fatto, senza possibilità di « opposizione 1. » Ma se l' ente ideale si manifesta allo spirito, come un agente dotato di energia e di forza ineluttabile, che soggioga tutte le menti come una natura eterna, necessaria, e tale, contro cui non può alcuna potenza; come un lume, che ci signo

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reggia, ci vince, ci nobilita col sottometterci interamente a sè stesso; se il nostro spirito verso tale attività è interamente passivo e suddito; come le si può negare una sussistenza, non pur reale e obbiettiva, ma assoluta? Perciò o l'Autore contraddice a sè stesso, o quando egli disdice all'ente ideale la realtà e la sussistenza obbiettiva, si dee intendere di una realtà e sussistenza perfettamente conosciuta. Alla qual sentenza, non che ripugnare, noi porgiamo appieno il nostro assenso. Collimano allo stesso intento queste altre parole dell' Autore : « L'essere pensato «in atto compiuto è Dio. Questa formola è vera; se non che all'uomo è inintelligibile, in quanto che egli non può pensare « l'essere stesso nel suo atto perfetto e compiuto 1. » Dunque lo pensa in un atto imperfetto e incompiuto, e ha una qualche nozione della sua sussistenza.

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In proposito del divario, che corre fra il suo sistema e quello del Kant, il Rosmini così favella: «L' unica forma ch'io do « all'anima non ha da far niente colle forme Kantiane... Quella << mia forma è veramente tale entità, che in sè considerata è « distinta dall'anima, e infinitamente all' anima superiore, e «che informa l'anima non come la vita informa il corpo, ma più tosto come la luce informa l'occhio. La distinzione fra « l'anima e l'ente, che la informa, è data nel mio sistema nella prima naturale intuizione dell' essere, è data all' anima questa « dualità fino dal primo suo esistere. V' ha un nesso fra l'ente, «e l'anima, il quale non è altro che l'intuizione permanente, « necessaria, ma questa intuizione non confonde però mai la << natura dell' anima intuente: in quanto poi si considera l' ente, « come termine dell'intuizione dell' anima, in tanto dicesi ogrispetto poi all' ufficio, che egli presta di far conoscere

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« all'anima tutte cose di cui ella esperimenti l'attività, chiamasi lume, idea, o prima specie e finalmente per l' evidenza

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1 N. Sag., p. 157, 158.

«con che appaga lo spirito, e dà la prova irrepugnabile a tutte le cognizioni, appellasi verità. Quindi è, che là dove i Kantisti, riconoscendo l' impotenza del lor sistema a provare il mondo esteriore, ne lasciano in dubbio la sussistenza; io « all'opposto la mantengo, e di evidente dimostrazione la com«munisco 1. » Qui non si esclude più in nessun modo la sussistenza dall' ente ideale; anzi parrebbe che vi si affermi, poichè come altrimenti si potrebbe col mezzo di esso provare la sussistenza dei corpi? Ma siccome lo scrittore pretende che tal sussistenza non è una cognizione, e che è un effetto di quel singolar giudizio, che abbiamo veduto, nulla per questo canto si può inferire dalle sue parole. Più definitiva saria la frase, che l'intuizione non confonde mai la natura dell' anima intuente, se fossimo sicuri di bene intenderla. Ma che cosa può voler dire questo costrutto in lingua italiana? L'unico senso, che ne so raccapezzare, è questo; che sebbene vi sia un nesso intimo fra l'ente e l'anima, cioè fra l'oggetto e il soggetto, in virtù dell' intuito, tuttavia questo non confonde mai, non mescola, non immedesima l' uno coll' altro, lo spirito conoscente coll' ente conosciuto. Ma in tal caso non è egli chiaro che l'ente e l'anima debbono avere due sussistenze affatto distinte, e che quindi l'ente ideale ci si presenta come sussistente in modo obbiettivo?

Le proprietà, che l'illustre Autore attribuisce all' ente ideale, sono pure inseparabili dalla realtà e sussistenza obbiettiva e assoluta. L'ente è infinito 2, necessario 3, immutabile, eterno, e dotato di tutte le proprietà divine. La verità, che è perfetta

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mente una, universale o incircoscritta, immateriale, infinita, necessaria, immutabile, è l' ente 1. « Il vero è un principio, un' entità, «di cui può ben partecipare e godere la umana natura, come

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gli occhi nostri partecipano e godono della luce, ma nello «stesso tempo egli è una cosa infinitamente più sublime della «natura umana, immutabile, eterna, necessaria, dotata insomma « di doti interamente opposte a quelle dell' umano essere muta«bile, contingente, da tutte parti limitato; e che solo dall' « altezza e dignità del vero, a cui si congiunge, attigne l' umana « natura tutti i titoli di sua grandezza 2. » Dai quali passi si dovrebbe dedurre che l'ente ideale, non solo sussiste fuori di noi, ma è lo stesso Dio, o almeno, che l'idea di esso presente allo spirito nostro è la stessa idea divina, che risiede nel divino intelletto. E tal sembra essere in molti luoghi l'idea dell' Autore. Il quale, parlando della dottrina dei Padri, e dei dottori ecclesiastici in questo proposito, così si esprime : « Furono le idee « nella lor propria mente contemplate, che loro ebbero rivelato quella immutabile stabilità e necessità di che esse vanno fornite, e che gli ebbero condotti a riconoscerle siccome cose infinitamente superiori alla natura umana, e a Dio solo appartenenti, in Dio solo sussistenti. Le idee adunque dell' uomo doveano essere, (quanto al fondo) identiche alle idee della « mente divina. Indi conchiusero, per una indeclinabile conse«guenza, che le idee dell' uomo erano un' arcana communicazione

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delle idee divine, o sia che l'uomo vedeva le idee in Dio; che Dio, l'intelligibilità divina, il Verbo divino era quello, come «dice la Scrittura, che illumina ogni uomo veniente in questo « mondo . » E citati alcuni passi di cattolici autori, conformi a questa sentenza, si ferma specialmente su sant' Agostino, e su san Tommaso, e approva la loro sentenza, che « le idee... sono eterne,

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«<immutabili necessarie, residenti in Dio, unificate nella essenza divina, e l'uomo non le può vedere altrove che dove sono, però in Dio 1. » Non pare questa a prima fronte la pretta dottrina del Malebranche? Egli entra quindi nella quistione, se il lume ideale si debba dir creato, o increato, e concilia le opinioni de' vari scrittori, riducendole alla sentenza di sant' Agostino, e di san Bonaventura, e provando che il lume della mente è in effetto increato, ma si può chiamar creato, in quanto è limitato dalla mente, che lo riceve. « Ella è cosa indubitata, che il lume «che Iddio comunica all' intelletto umano, non è tutto il lume divino, o per dir meglio, non è comunicata all' uomo, nè può « essere comunicata mai a creatura, la divina essenza intera« mente, come quella che è infinita. Il lume adunque della divina « idea, o propriamente del divin Verbo, in venendo all'uomo «< comunicato, riceve una cotal limitazione determinata dalla « volontà del creatore. La qual limitazione non è controversa; e qui sant' Agostino è in pienissimo accordo con san Tommaso. « Però chi vieta il chiamar questo lume creato, in quanto egli «ha seco un modo, una legge, un limite che non tiene nella << essenza divina? Può dunque dirsi increato nella sua propria entità, ma creato nel modo e forma particolare in che risplende all' uomo, o ad altre quali si vogliano create intelligenze 2. » E poco dopo conchiude, dicendo : « Fin qui la << Scuola teologica, la cui unanimità non mi fa dubitare di dire, «< che le dottrine esposte appartengano all' essenza del Cattoli«cismo 3. » Altrove ripete presso a poco lo stesso. « Questa idea << unica e sopra eminente, vera e pura luce, è l'ente stesso conosci« bile. E l'essenza divina è appunto riposta nell' essere, secondo «le Scritture e i teologi. Or avendo l' essere questa proprietà di << essere conoscibile per sè medesimo, per sè luce, come lo chia

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