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« nelle menti nostre, noi possiamo dire con sicurezza, ch'egli « non contiene in sè, nè ci mostra nessun essere reale sussis

tente fuor della mente 1. » Perdonimi l'illustre filosofo, ma io credo, che quando viene imputata a un autore una contraddizione, egli è obbligato a mostrare ch' essa non ha luogo, o per lo meno, ch'è assai meno evidente dei fatti, onde emerge. Certo, che tra i fatti reali non può essere reale contraddizione, e che questa, ogni qual volta occorra, è solo apparente; ma per avere il diritto di tirar questa conclusione, bisogna prima accertarsi che i fatti siano reali; poichè se l'uno di essi manca, cessa ogni ragione di tener per vana e illusoria la ripugnanza. D'altra parte, è pure indubitato, che le contraddizioni apparenti non possono mai essere evidenti; onde quando una di queste occorre, si può esser sicuro, che l'uno dei due termini è falso. Ora, che non si possa dare un mezzo nel caso dell' Autore, mi par cosa evidentissima. Imperocchè fra il sussistere e il non sussistere non v' ha via di mezzo, e ciò che non sussiste in se o in altro, è nulla. D'altra parte fra il sussistere nello spirito dell' uomo, o fuori di esso, non v' ha pure alcun mezzo; tantochè, se l'ente ideale non sussiste fuori dello spirito, come tante volte ci ha ripetuto l' Autore, esso dee sussistere nello spirito, e se sussiste nello spirito, vale a dire, se la sua sussistenza è quella di esso spirito, non può essere che una sua forma, o modificazione, o qualità, o proprietà, o comunque chiamar si voglia; perchè lo spirito sussiste come sostanza, e ciò che sussiste in virtù di una sostanza è una proprietà, o qualità, o forma, o modificazione, ovvero un effetto di essa. Vorrà egli l'illustre Autore rifiutare questo modo di discorrere per esclusione? Ma egli non può ripudiare una foggia di raziocinio, approvata da tutti i logici, e di cui si serve più volte egli stesso 2. Dirà egli che male l' adoperiamo? Ma in tal caso, gli saremo

1 N. Sag., tom. III, p. 319.

* Vedi N. Sag., tom. II, p. 60, 61. Il Rinnov, della filos, del Mam, esam., p.

413.

obbligati, se correggerà l'errore, in cui siamo involontariamente caduti, e mostrerà il vizio del nostro discorso.

CAPITOLO SECONDO.

L'ente ideale del Rosmini è obbiettivo, e assoluto, benchè si distingua da Dio.

Abbiamo veduto nei passi citati, e segnatamente nell' ultimo. come l'illustre Autore nel punto stesso, che nega all' ente ideale ogni real sussistenza fuori dello spirito, afferma pure, ch' egli è obbiettivo in un certo modo, e non è una modificazione di esso spirito. Abbiam pure avvertito, come questa obbiettività innestata sulla mera sussistenza del soggetto non può essere altro che apparente, e che il Rosmini fu illuso dallo stesso equivoco, in cui si fonda l' error principale del Kantismo. L'autor del quale pretese eziandio di evitare lo scetticismo, ammettendo un numeno obbiettivo; ma inutilmente; perchè questo numeno non potendosi riconoscere se non per via di un concetto, e ogni concetto nel suo sistema essendo subbiettivo, il numeno non può essere di più valore. Ora lo stesso raziocinio si può volgere contro il Rosmini, il quale, negando al suo ente ideale ogni sussistenza fuori dello spirito, gli dà una obbiettività solo apparente, come quella, che si fonda tutta nel soggetto. Tuttavia l'acume del filosofo italiano è troppo grande, e il suo animo troppo religioso, da non avvisare il pericolo di questa dottrina, e da non rigettarla, quando gli si affaccia nella sua schiettezza. Quindi ne nasce un nuovo ordine di contraddizioni, un nuovo genere di pericoli, che esporremo nell' articolo presente. In quello che precede, vedemmo la insussistenza dell' ente ideale condurre per forza di logica verso il nullismo: in questo, mostreremo che l'obbiettività di esso, nel senso rosminiano, conduce al pan

teismo, e che l'illustre Autore non ha potuto altrimenti evitare il secondo eccesso come il primo, che accumulando sofismi e contraddizioni, tanto onorevoli all' animo di lui, quanto pregiudiziali al credito del suo sistema.

Il Rosmini stabilisce di proposito l'obbiettività dell' ente ideale, e rigetta espressamente la dottrina contraria di Emanuele Kant, accusandola di aprire il varco allo scetticismo 2. Ma qui importa il ricercare, se attribuendo all' ente l'obbiettività, egli parli sempre di quella obbiettività insussistente e fallace, di cui testè toccammo, e che è certo inetta a ribattere le pretensioni e le obbiezioni degli scettici; ovvero, se non intenda talvolta di una obbiettività vera. La quale non consiste e non può consistere altrove, che in una sussistenza indipendente dal soggetto; giacchè l'essere obbiettivo, e il sussistere obbiettivamente, è tutt' uno. L'inchiesta, che ci proponghiamo, si riduce dunque a sapere, se l'illustre Autore, tratto dal desiderio e dal bisogno di evitare lo scetticismo, non dimentica talfiata le cose dette, e non si risolve di dare al suo ente ideale, una vera obbiettività, facendolo realmente sussistere fuori dello spirito. Ora che la cosa sia così, il lettore potrà persuadersene, facendo avvertenza ai passi, che seguono.

« Oltre quel modo di essere, che hanno le cose sussistenti e << che chiamammo reule, ve n' ha un' altro interamente distinto, «che chiamammo ideale. Si; l'essere ideale è una cotale entità di «una natura tutta particolare, che non si può confondere nè « collo spirito nostro, nè co' corpi, nè con alcun' altra cosa che « appartenga all' essere reale. Quindi un gravissimo errore sarebbe <«< il credere, che l'essere ideale, o l'idea fosse nulla, perchè non appartiene a quel genere di cose, che entrano ne' nostri sen

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«<timenti. Anzi l'essere ideale, l' idea, è una entità verissima e nobilissima; e noi abbiam veduto di quai sublimi caratteri «ella vada fornita. Vero è, che non si può definire; ma si può « analizzare, o dire di essa quello che sperimentiamo, cioè, che «è il lume dello spirito 1. » Ivi si esclude pure la realtà e la sussistenza dall' ente ideale; non già, per quanto mi pare, ogni realtà, e ogni sussistenza; ma solo quelle, che nascono dai nostri sentimenti. Pigliando la cosa per questo verso, ne seguirebbe che l'ente ideale ha una sussistenza, e una realtà sua propria, diversa da quella delle altre cose, delle cose create, le quali ci si manifestano per attuali e sussistenti, in quanto producono in noi, come termini dell'attività loro, dei sentimenti e delle sensazioni. A questa interpretazione mi paiono favorevoli queste altre parole dell' autore : « Quando veggiamo l'ente ideal«< mente, non veggiamo la sussistenza dell' ente (se non quella << propria dell' ente ideale :) l'ente ideale adunque per noi non «è che un progetto, un disegno di ente: e quando proviamo « de' sentimenti, allora ci accorgiamo di alcuni modi, limitati però, ne' quali quell' ente in disegno si realizza: ma non veggiamo mai l'intera e l'assoluta realizzazione di esso ente, « non veggiamo eseguito pienamente il disegno, che nell' ente ideale contempliamo » Dunque l'ente ideale ha una sussistenza sua propria; dunque la sussistenza, che esclude, è solo quella dei modi limitati, fattici palesi dal sentimento, nei quali si realizza; dunque ci è conta la sussistenza di esso in qualche guisa, benchè imperfettissima, e più tosto come un disegno, un abbozzo, un ordito elementare, che altrimenti. Certo, da questa sussistenza imperfetta alla totale insussistenza obbiettiva dei passi citati nel precedente articolo, v' ha qualche divario. Altrove dice, l'essere, che nella mente riluce non si presenta « come sostanza, cioè come un essere sussistente e perfettamente

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1 N. Sag., tom. I. P. 153.

2

Il Rinnov, della filos, del Mam, esam., p. 620.

compito. Ora, se non è perfettamente compito, cioè terminato, lo è certo in qualche modo, e quindi è in qualche modo sussistente. Notisi infatti, che secondo la dottrina dell' Autore, la persuasione della sussistenza delle cose create è il risultato di un giudizio, per cui la ragione dell' uomo accoppia l'idea dell' ente astratto splendiente all' intelletto, di cui è la forma, con una sensazione o un sentimento, che sono la materia della cognizione. La sensazione poi e il sentimento sono il termine di un'attività estrinseca, operante nel nostro animo; il quale apprende la sussistenza delle cose, in quanto in lui si termina la loro azione 2. Quindi è che l'ente ideale si dee giudicare insussistente, se non è terminato; e si dee stimare non terminato, se non esercita sul nostro spirito un' azione, come le sostanze create e le cose esteriori. Ma se all' incontro l'ente ideale operasse su di noi in qualche modo, ci rivelerebbe i suoi termini, e ci si mostrerebbe dotato di una sussistenza propria. Se l'essere che nelle nostre menti risplende fosse compito co' suoi termini essenziali, egli sarebbe allora un singolare percepito essenzialmente dall' intendimento nostro, perchè l'essere è di sua natura conoscibile, anzi constituente la cognizione » Imperocchè la cosa... che sola è conoscibile « nella sua sussistenza e individualità per così dire, è l'essere solo; perchè rispetto a sè egli è particolare e individuale '. » Il concetto della sussistenza di una cosa dipende insomma dalla sua terminazione, e questa dalla sua azione sullo spirito nostro ; tantochè la sussistenza di un oggetto dee in fine in fine corrispondere alla sua attività. Ora l'ente ideale è egli affatto inattivo, in ordine al nostro conoscimento? « L'essere in universale, pensato essenzialmente dalla mente, è di tal natura... che

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N. Sag., tom. III. .. 147.

* Vedi fra gli altri luoghi il N. Sag., tom. II. p. 109 seq.

3 N. Sag., tom. III, p. 147.

4 Ibid., p. 148, not.

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