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creda il lettore che rigettando l'applicazione presente del suddetto principio fatta dal Rosmini, io ripudii il principio stesso, o voglia stiracchiare i fatti, per sottoporli al raziocinio, o pretenda di rivocare in dubbio que' fatti reali, che l'Autore ha illustrato colle sue analisi. Io sono amicissimo dei fatti, e nemico mortale delle esclusioni temerarie o arbitrarie; ma sono pure nemico delle ipotesi, che contraddicono ai fatti appurati, e delle chimere. E chiamo chimere i fatti apparenti, partoriti dai presupposti, dalle fantasie, dalle preoccupazioni. Il Rosmini nel presente luogo, e in quelli, che riferirò seguitamente, mi parla di un fatto, che trovo evidente, e impossibile a negarsi; qual si è l'obbiettività dell' ente ideale. Ma a costa di questo fatto, egli crede di vederne un altro, e afferma che l'ente ideale, benchè obbiettivo, è una mera astrattezza, e non sussiste fuor della mente. Io rigetto questo fatto, perchè ripugna diametralmente al primo ma siccome un uomo ingegnoso, come il Rosmini, non può ammettere un fatto falso, che non abbia qualche apparenza di verità, mi credo in obbligo di cercare, in che consista questa apparenza, e di spiegare l'illusione, che ne deriva. E trovo ch'essa risiede nella confusione del concetto riflesso colla percezione intuitiva, confusione nata dall' aver sostituito il metodo psicologico all' ontologico. Per tal modo io concilio l'apparenza del fatto col fatto stesso, e osservo il consiglio assennato del Rosmini, senza contravvenire ai precetti inesorabili della buona logica. Ma seguitiamo.

Tornando dunque al proposito nostro, è l'analisi accurata « del primo fatto della mente, qual è quello dell' intuizione. « dell' essere, che ci dà queste due verità, cioè ch' egli 1o è un « essere mentale (oggettivo,) e non un essere sussistente in sè, e ch'egli 2o non è tuttavia una semplice modificazione della 1o E veramente egli è un essere mentale, e non «< ancora un essere sussistente in sè fuor della mente. Che vuol « dire un essere mentale? S'intenda bene; vuol dire un essere,

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che ha la sua esistenza nella mente per modo, che ove noi "supponessimo non esistere qualche mente ov' egli fosse, la << sua esistenza ci sarebbe inconcepibile; poichè noi non cono« sciamo di lui il modo come egli è (se pur è) fuor della mente, « ma puramente il modo com' egli è nella mente; non cono<< sciamo l'atto del suo esistere in sè, ma solo l'atto del suo « esistere nella mente nostra 1. » Ma io chieggo, se quest' essere mentale è qualcosa di sussistente fuori dello spirito, ancorché s'ignori il modo di questa sussistenza? Se è qualcosa di sussistente, benchè conosciuto in modo vago e indeterminato, non è un mero essere mentale. Se non è, non può aversi, che per una modificazione della mente. La qual modificazione avrà, se vuoi, una relazione obbiettiva, in quanto mi rappresenta un non so che di generico, e distinto da essa mente; ma siccome questa rappresentanza non sussiste fuori del soggetto, non può avere un valore legittimamente obbiettivo, nè partorire una obbiettività reale, ma solo una obbiettività apparente, invalida fuori del soggetto, come quella della filosofia critica. «Ora, bene intesa questa definizione, egli è per sè manifesto, che l'essere iniziale, l'essere comunissimo presenta al nostro spirito una semplice possibilità, non alcuna sussistenza; quasi « direi un progetto di essere, ma nessun essere veramente completo e in sè attuato. A conoscer dunque, che l'essere innato è un semplice principio logico, una regola direttrice del « nostro spirito, un'idea, un' essenza mentale, e non ancora « un essere reale e sussistente, basta esaminare ed analizzare

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imparzialmente quest' essere che noi naturalmente veggiamo, « il quale appunto perchè comunissimo a tutti gli enti sussis« tenti, non è, nè può essere alcun d'essi, ma solo fonda«mento di tutti. E quindi rimangono confutati que' Platonici << antichi e moderni, i quali confusero l'ordine delle idee coll' « ordine delle cose reali, e dell' essere ideale fecero un Dio, come

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« delle essenze od idee delle cose fecero altrettante intelligenze separate, non essendo essi giunti a conoscere la natura dell' «<ente mentale, il quale è pur mentale, sebbene non sia una << modificazione del soggetto limitato e finito, che n' ha la vi«sione 1. » Si noti come l'illustre Autore rigetti da una parte l'ontologismo, e lo confonda dall' altra parte col psicologismo degli emanatisti, che deificò le idee, invece di adorar l' Idea, ed è diametralmente contrario all' altro sistema.

« 2o Dico dunque in secondo luogo, ch' egli non è una semplice modificazione della mente, o sia del soggetto, che n'ha « l'intuizione. E veramente questo vero si manifesta pure nell' « attenta considerazione dell' essere in universale. Nel pensiero <«< dell' essere noi veggiamo, che l'essere da noi pensato è un «oggetto della mente, che anzi è l'oggettività di tutti i pensieri « della mente, come tante volte abbiam detto. Egli è dunque per << essenza distinto dal soggetto, e da tutto ciò che al soggetto "può appartenere; egli è il lume del soggetto; egli è superiore << al soggetto; il soggetto è rispetto a lui passivo, egli è essen«zialmente attivo in un modo suo proprio; il soggetto percipiente è necessitato di vedere, di assentire all' essere, assai più che l'occhio aperto di sentire gli acuti raggi del sole che << ha di contro, e che pungono la sua retina: l'essere è immutabile, è qual è; il soggetto è mutabile: l'essere impone legge, e modifica il soggetto intuente, giacchè nell' intuizione << dell' essere entra una modificazione, un' attuazion del soggetto; ma in questa azione dell' essere dal soggetto sofferita, <«<l'agente e il paziente sono distinti sempre, perchè in opposi«zione fra loro, e la passione del soggetto è infinitamente di« versa dall' essere, nel quale termina, e col quale si unisce patendo. E tutte queste osservazioni valgono a ribattere l'er«rore contrario a quel de' Platonici surriferiti, e di tutti quelli,

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1 N. Sag., tom. III, p. 317, 318.

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che non trovando nell' idea dell' essere un ente reale e sus<«<sistente fuor della mente, gli negano ancora una vera oggettività, e ricorrono a dire, che sia puramente soggettivo, cioè << una pura modificazion del soggetto. L' attenta osservazione adunque, posta su quest' essere, che nelle nostre menti na«turalmente risplende, conduce a stabilire, che quest'essere è « un oggetto essenzialmente diverso dal soggetto, che lo percepisce, « ma che tuttavia egli non si pensa da noi fornito di altra esis«tenza, fuor solo di quella onde risplende nella mente, sicchè ri« mossa ogni mente, non si concepisce più alcuna sussistenza di quell' essere, e in questo senso si dice ch' egli è un ente mentale 1. » In questo passo si trovano, se ben m' appongo, due gravissimi equivochi. L'uno, che l'illustre Autore fa oggettivo l' ente ideale, perche è la rappresentazione di un oggetto vago e indeterminato. Ma l'ente ideale non può chiamarsi oggettivo, perchè rappresenta un oggetto, se non è un oggetto in sè stesso, vale a dire, se non è sussistente fuori della mente nostra. Diciamo in altri termini, che l'obbiettività, per essere reale, dee cadere non già solo sulla cosa rappresentata, ma eziandio su quella, che la rappresenta, e che dipende totalmente da essa. Ora qual è il rappresentante, secondo il presupposto del Rosmini? È la mente umana, poichè il rappresentante dee sussistere, e l'ente ideale non sussiste fuori di essa. Qual è la cosa rappresentata? È un oggetto vago e indefinito, cioè l'ente possibile. Sia in buon ora; ma il valore di quest' oggetto dipende affatto dal principio, che lo rappresenta; or siccome questo principio è la mente stessa, l' oggettività della cosa rappresentata può solo essere subbiettiva, come le nozioni trascendentali, anzi il numeno della scuola critica. Questa è adunque una oggettività apparente, e non reale. Senza che, quell' oggetto vago e indeterminato della rappresentazione, in cui essa consiste, non essendo altro che l'ente possibile; e l'ente possibile essendo l'ente pensabile; e l'ente pensabile, come

1 N. Sag., tom. III, p. 318, 319.

tale, non avendo alcuna realtà, fuori del pensiero; l'oggettività del rappresentato non è più soda di quella del rappresentante, ed entrambe si risolvono in una subbiettività mera e assoluta. Dirà forse l'illustre Autore, che chiamando l'ente coll' epiteto di mentale, egli non allude alla sola mente dell' individuo, alla sola mente creata, ma anche alla mente creatrice? E che quindi egli colloca l'ente ideale nella stessa mente divina presente al nostro spirito? S' egli la pensasse in questo modo, potremmo facilmente accordar la nostra colla sua sentenza. E veramente egli pare indicarlo nei passi sovrallegati, dove dice, che rimossa ogni mente, l'ente ideale più non sussiste. Ma questo è il secondo equivoco, che ho accennato: la proposizione così intesa ripugna assolutamente alle altre asserzioni dell'autore. Imperocchè, se l'ente ideale sussiste nella mente divina, ne segue che sussiste fuori del nostro spirito, e che noi apprendendolo, apprendiamo un oggetto sussistente e reale, apprendiamo il contenuto nel contenente, cioè l' idea nostra nell' Idea divina, il che, come vedremo, è espressamente negato dal nostro filosofo.

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Il quale conchiude il suo ragionamento, cosi discorrendo : Quelli che amano di sistematizzare, immantinente entrano a dire: Quell' essere se non sussiste in sè fuor della mente,) « non può esser altro che una modificazione del soggetto : qui non ci ha mezzo. Questo sentenziare, questo impor leggi alla natura, e acconciarla alla brevità del proprio vedere, è una via troppo mal sicura. Non ci può esser mezzo? Non cerco io ora ciò; non mi curo di saper se ci possa essere. Bastami d' aver rilevato, che l'essere, che vede la mente umana, nè « è reale e sussistente (in quanto è veduto da noi,) nè è una modificazion della mente. Se il fatto mi dice, che nè l'uno nè « l'altro di questi estremi ha luogo, io da ciò conchiudo senza più, che un termine medio vi sarà. E al fatto dee star contenta ogni savia intelligente persona: ab esse ad posse datur consecutio. Conosciuta pertanto la natura dell' essere, che luce

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