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rapporto? L'unità assoluta del Noi. Noi abbiamo da una parte la percezione al tutto oscura della sussistenza, dall' altra noi << stessi pure abbiamo l'intuizione dell' idea: confrontiamo adun«que nella nostra unità la percezione, la passione nostra coll' «idea intuita; e mediante questo confronto, diciamo a noi stessi : « la percezione è una realizzazione dell'ideale da me intuito. In << tal modo la percezione riceve luce; e la sussistenza della cosa, « sebbene in sè tenebre, viene illustrata, secondo la maniera di dire scolastica, nel quale stato piglia il nome di percezione intellettiva. Che cosa è adunque quest' atto? Non semplicemente << un'intuizione di un'idea, ma un' affermazione, un giudizio: « l'idea riman quella di prima; non si aggiunge veramente e propriamente parlando un oggetto intellettivo, ma solo si fa « una funzione di un altro principio, del principio applicante la cognizione (l'idea), principio attivo, appartenente egli stesso al mondo reale, e non all' ideale, principio, che preso in generale qual attività, che si parte poi in un complesso di funzioni, denomino ragione. La sussistenza dunque delle cose è esclusa dalla conoscenza propriamente detta; non appartiene punto nè poco all' intelletto, considerato come recettivo degli «enti intelligibili, perchè dall' intelletto è essenzialmente escluso «il reale, e non è che la sede dell'ideale. Ma se la sussistenza « delle cose non è ente intellettivo, se è esclusa dall' intelletto; è però essa sola la sussistenza, che ha questa esclusione e nulla più. Tutte le qualità delle cose accidentali o sostanziali hanno « ugualmente l'essenza intellettiva, l'idea, e però tutte appartengono alla cognizione pura e formale '. » Questo connubio fra la materia e la forma è altrove così descritto dal Rosmini : « La materia considerata in sè stessa (il fatto, l' essere semplice«mente preso, e il sentire) è un'attività diversa dal conoscere e molto più dalla forma della cognizione. Quindi ancora ho detto, che la materia della cognizione, divisa dalla cognizione

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Il Rinnov, della filos, del Mam, esam., p. 499, 500.

« stessa, rimane incognita, e su di lei non può cadere questione « di sua certezza, perchè la certezza è solamente un attributo << della cognizione. Ciò adunque che s' identifica colla forma « della cognizione, è la materia della cognizione, in quanto è « cognita; e questa cognizione succede appunto con un atto, « mediante il quale ella s'identifica colla forma; perchè lo spirito <«< in tal atto non fa che considerar quella materia relativamente « all'essere, e vederla nell' essere contenuta, come una attua«<zione e termine del medesimo. Per tal modo, prima che la << materia sia cognita, ella è tale, di cui noi non possiamo tener « discorso; ma quando è già a noi cognita, ella ha ricevuto coll' «atto del nostro conoscimento una relazione, una forma, un

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predicato, che non avea prima, e in questo predicato consiste « la sua identificazione coll' essere; perocchè si predica di lei « l'essere, e in questa predicazione stà l'atto, onde noi la co«nosciamo. Sicchè poi ci sembra, considerando la materia già cognita, ch' ella abbia in sè medesima qualche cosa di comunissimo con tutte le cose: mentre questa qualità in quanto è « comunissima è per lei acquisita e ricevuta dalla mente nostra, « è una relazione ch' ella ha colla mente, non reale in essa, ma «reale solo nella mente stessa 1. » Lascio stare la ripugnanza di questo paragone, che si dee fare tra due termini, l' uno dei quali è perfettamente ignoto, o non è noto altrimenti, che in virtù dell' altro, e in quanto è già con esso unito, e mi contento di notare nei detti passi, che, secondo l'Autore, il reale delle cose è affatto inaccessibile alla cognizione, e che questa non può apprender nulla, se non l'ideale, cioè quello che al parer del Rosmini, non che essere reale, è assolutamente opposto a questa proprietà. Si avverta eziandio, che la certezza, essendo solo un attributo della cognizione, e non potendo cadere nella materia delle cose, non appartiene al reale, ma solo all' ideale, cioè al suo contrario; onde le sole cose certe, che si trovino al

1 N. Sag., tom. III, p. 110.

mondo, o almeno quelle, di cui possiamo accertarci, non sono già le cose che sussistono veramente, ma quelle che possono sussistere.

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Il lettore mi perdonerà, se moltiplico le citazioni; ma elle sono necessarie, per ben chiarire la mente dell' Autore. Altrove egli ripete le cose già dette con termini ancor più efficaci. « Se « l'uomo placidamente considera tutte le cose sussistenti a lui « cognite, gli dee esser facilissimo a veder pur questo, che in « esse non v' ha nulla di ciò che si chiama conoscenza. E pure questa conoscenza è, qualunque cosa ella sia, perocchè egli « veramente conosce. La conoscenza adunque e la sussistenza << delle cose, non hanno niente di simile o di comune in fra di « loro. Convien dunque dire, che la conoscenza sia una cotal forma, un cotal modo di essere diverso e in opposizione colla sussistenza, perocchè nel concetto di ciò che sussiste ella non «si comprende, anzi da lui viene interamente esclusa, come dal « sapore è escluso il suono. Se dunque la conoscenza stà in opposizione delle cose, convien indurre sicuramente, che essa << conoscenza non può risultare nè formarsi da nessuna delle << sussistenze a noi cognite, e però nè dal mondo materiale, nè « dall' anima nostra, ma che vi dee essere un altro principio sui generis, onde la conoscenza procede, principio, la cui essenza

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« mantenga una cotale diversità ed opposizione a tuttociò che « esiste. Ora cotesto principio, che non si può da noi noverare « nel numero delle sostanze reali, nè in quello de' loro accidenti, « è appunto l'ente intelligibile, la possibilità logica o possibilità « delle cose, l'essenza, l'idea 1. » Ora io chieggo, qual sia il risultato ultimo di queste dottrine, non già secondo la mente del religiosissimo Autore, ma secondo il rigore del ragionamento, se non il nullismo? Se la certezza non appartiene che alla conoscenza; se la conoscenza non riguarda la materia degli oggetti,

1 Il Rinnov. della filos. del Mam. esam., p. 506, 507.

ma solo la loro forma; se questa forma consiste in una mera possibilità o pensabilità, che non ha nulla di obbiettivo, di reale, di sussistente, e che anzi è contrarissima a tutte queste doti; come mai l'uomo avrà il diritto di affermare, che sussiste qualcosa distintamente dall' atto del suo pensiero? Si dirà forse che la realtà appartiene alla materia, e ci è rivelata dalla sua unione colla forma? Tal pare in effetto essere l'intendimento dell' Autore; ma esso contraddice ai principii del suo sistema. Imperocchè, secondo questi, la materia non è pensabile per sẻ stessa, non è conoscibile, e trae tutto il valore che ha, rispetto agli spiriti creati, dal suo consorzio colla forma, cioè coll' ente ideale, che è la fonte di ogni certezza, e di ogni evidenza. Dunque la realtà, se è un elemento pensabile, deriva dalla forma nella materia, e non viceversa; che è quanto dire, la materia essere reale, perchè è unita colla forma, e non la forma essere reale, perchè è congiunta colla materia. La realtà è la verità, e il vero è ciò che è la realtà dipende adunque dall' idea dell' ente, e non si può attribuire alle cose materiali, se non in quanto esse partecipano dell' ente stesso. Se dunque l'ente ideale non è altro, rispetto a noi, che un mero possibile, se è destituito di sussistenza, se non inchiude alcuna realtà, anzi la sua essenza consiste nell' escluderla, esso non potrà dare alla materia un elemento, di cui è privo, e la realtà non potrà meglio competere alla materia accoppiata colla forma, che a ciascuna di queste due cose separatamente prese. Insomma o la realtà procede dall' ente ideale, o non ne procede. Nel primo caso, l'ente ideale dee contenere la realtà in sè stesso, dee anche essere reale, concreto, sussistente, e crolla tutto il sistema dell' Autore. Nel secondo caso, la realtà non si può più trovare in nessun luogo, poichè tutta la conoscibilità delle cose, tutta la loro verità, evidenza, certezza, tutto il valore ed il peso che esse hanno, riguardo al pensiero nostro, proviene dall' ente ideale, fuori di cui non v' ha nulla di pensabile. Non credo, che si possa uscire da questo

dilemma.

Che la materia riceva la pensabilità e l'essere dal suo connubio colla idea o forma, è dottrina antichissima, che l'illustre Rosmini ha tolto dagli Scolastici, questi da Aristotile, Aristotile da Platone, e Platone dalla dottrina ieratica degli Orientali. Ora in questa dottrina v' ha del vero e del falso. Il vero si è, che in effetto la materia, cioè l'esistente, riceve dalla forma, cioè dall' Ente, l'intelligibilità e l'esistenza, mediante l'atto creativo. Ma i filosofi orientali, ed i greci, che calcarono le loro vestigie, aveano smarrito il dogma della creazione, sostituendovi l' emanazione o altra produzion panteistica, e corrompendo essenzialmente la formola ideale. Quindi ne nacque il falso, che macchia la loro teorica. Imperocchè, se la materia non è creata dalla forma, o ella non sussiste realmente, e in tal caso il panteismo idealistico è inevitabile; ovvero ella sussiste, ma come una emanazione, o un modo o un attributo della sostanza unica. Secondo questo presupposto, la materia riceve l' essere dalla forma, in quanto è una modificazione di questo medesimo essere la sola realtà è la forma, e la materia non è reale, se non mediante il suo connubio con essa forma, cioè coll' Ente, unica sostanza che si trovi al mondo. Vedesi qui la confusione del necessario col contingente, dell' Ente coll' esistente, nata dalla negazione dell' atto creativo; imperocchè ogni qualvolta si rigetta la creazione, l'esistente e l'Ente debbonsi accomunare insieme col concetto astratto di essere, e la realtà della materia si dee considerare, come identica numericamente e specificamente alla realtà della forma, e quindi, non già come una creazione, ma come un efflusso, una comunicazione, una partecipazione di essa. Tal è in sostanza il sistema dei Platonici e dei Peripatetici; e tal pure è quello dell' inclito Rosmini, che, senza avvedersene, fa dietreggiare la filosofia fino al gentilesimo, e l' innesta sovra il principio panteistico, e distruttivo della creazione. Al che egli fu indotto dal suo metodo filosofico; cioè dal psicologismo; il quale, pigliando le mosse dal concetto astratto di essere, applicabile tanto all' Ente quanto all' esistente, è costretto a fare di queste due idee una

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