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" allora abbiamo l' idea o specie della cosa, e con essa cono« sciamo un dato termine, in cui può terminar l'essere.... L' es<< senza della cosa è ancora una cosa ideale; ell' è un'attuazione

e determinazione dell' essere, ma non completa ancora, poichè « l'essenza può terminare ella stessa ad uno e talora ad infiniti individui questi attuano e compiscono ad un tempo l' es« senza e l'essere da noi cognito, e sono a noi dal solo senti"mento presentati, ove si parli di esseri reali, finiti e contingenti. Il termine ultimo dell' essere è la sussistenza : questa è l'atto compito dell'essere l'essenza dunque e l'essere co«munissimo non è che la cosa in potenza, l'essere iniziale delle

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cose.... Avendo noi l'essere iniziale a noi per natura presente; ove sentiamo un sentimento, un' azione qualunque, ricono« sciamo questo per finimento e termine di quell' essere, che già « avevamo naturalmente in noi concepito. E in questo raffron«tamento e accorgimento consiste la natura del conoscere 1. » « L'essere, come ci stà presente essenzialmente allo spirito,

è incompleto: questa mancanza di compimento abbiamo trovato « consistere nel mancare de' suoi termini, e nell' esser quindi « un essere iniziale, e medesimamente un essere comune, perchè mancando de' termini suoi è atto naturalmente a terminarsi «<e completarsi in infinite maniere 2. "} « Il veder l'ente in « idea o in disegno, che cosa vuol dire, se non veder l'ente in « un cotal suo principio, nella sua mera possibilità? Ma se quest' «<ente stesso il penso già realizzato, egli è l'ente di prima, « ma non in modo iniziale, ma pienissimamente conosciuto.... "Gli enti finiti non sono che l' ente ideale realizzato in un «modo finito e limitato: Dio all' incontro è l'ente ideale rea<< lizzato pienissimamente 3. »« In percependo i singolari uomini,

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1 N. Sag., tom. III, p. 114, 115.

* Ibid., p. 252.

3 Il Rinnov. della filos. in Ital. prop, dal Mamiani ed esam., Milano, 1836,

p. 621.

« noi li abbiamo percepiti, come enti, li abbiamo considerati, « come realizzazioni parziali dell' ente ideale, indefinito e uni«versale, e però mediante questa relazione comune, come « aventi una natura comune: abbiamo in una parola percepito questa natura comune indivisa dalla sussistenza di ciasche« duno 1. »

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Io confesso che nel cercare il senso preciso di tutti questi passi, e nel conferirli colle altre parti del sistema rosminiano, mi trovo in un' ambiguità grandissima. Imperocchè, che cosa vuol dir l'Autore, affermando che l'ente ideale esclude la sussistenza? Vuol egli dire che l'idea dell' ente ideale non sussiste? Ovvero solamente che non sussiste l'ente ideale rappresentato dall' idea? Nel primo caso, l'idea dell' ente ideale sarebbe il nulla, cioè l'opposto dell' ente; assurdo enorme, che certamente non può cader nello spirito dell' illustre Autore. Resta adunque che egli voglia dire l'idea dell'ente reale sussistere veramente, ma non rappresentare alcuna cosa sussistente; tanto che ella esprima solo l'ente possibile. Ma io chieggo, se questa idea, rappresentando ogni ente, non dee principalmente rappresentare sè stessa ; e siccome tale idea sussiste, ne segue che qualche cosa di sussistente verrà da essa rappresentata. Non vedo che ci sia modo di uscire da questo dilemma. O l'idea dell' ente è nulla, o è qualche cosa. Se è nulla, non occorre più filosofare: se è qualcosa, ella è certo qualcosa di sussistente; poichè sussistente nel linguaggio del Rosmini è sinonimo di reale. Ed essendo sussistente, ella dee certo rappresentare la propria sussistenza, poichè una idea, che non rappresentasse sè stessa, sarebbe in contraddizione seco; dee rappresentar qualche cosa di sussistente, e di reale, poichè fuori del reale e del sussistente non v' ha che il nulla; e il nulla non può meglio rappresentarsi, che sussistere. Ma l'Ente ideale è l'ente possibile, e il possibile

1 Il Rinnov. della filos. in Ital. prop.dal Mamiani ed esam., Milano, 1856, p. 526.

non sussiste, perchè se sussistesse, sarebbe reale, e lascerebbe di essere possibile. Rispondo che la possibilità stessa è una somma sussistenza, e una somma realtà; la quale è possibile, in quanto si riferisce a un termine estrinseco, ma è reale, in quanto questa relazione non potrebbe darsi, se non si fondasse in un soggetto reale ed assoluto. La possibilità importa un'attinenza del necessario col contingente, e presuppone la virtù creatrice ella si fonda sul concetto di creazione, per cui i due estremi della formola ideale insieme s'intrecciano. Perciò l'ente ideale dell'illustre Rosmini dee pur essere supremamente reale, cioè assoluto; e l'aver voluto disgiungere queste due nozioni è uno dei vizi fondamentali del suo sistema, e la cagion principale delle contraddizioni, che ci pare di ravvisarvi. Il qual vizio nacque dal metodo psicologico, con cui costantemente procede l' Autore.

Dunque per tornare al senso dei passi sovrallegati, dico che se questi si pigliano a rigore, è forza inferirne che il Rosmini neghi la sussistenza all' idea medesima dell' ente ideale, e quindi abbia questa idea per un mero nulla. Infatti, se l'ente ideale esclude ogni sussistenza, se è comune a tutte le cose, e non proprio di nessuna, se è la perfetta indeterminazione, e tuttociò che sussiste dee essere in qualche modo determinato; seguita che l'idea stessa rappresentativa di questo ente sia destituita di sussistenza, e di realtà, e almeno obbiettivamente sia un mero nulla. Altrimenti l'ente ideale sarebbe anco reale, e crollerebbe tutto il sistema dell' Autore. Dico almeno obbiettivamente; perchè il fare di questo concetto un nulla subbiettivo e obbiettivo, sarebbe un espresso nullismo, che non può certo essere professato dall' italiano filosofo. Egli è vero che il nullismo non si può evitare, anche facendo di tale idea una forma subbiettiva, come testè mostreremo, e l'Autore stesso l'ha avvisato in altri luoghi; ma siccome in tal caso il nullismo è palliato, si capisce come uno scrittore possa momentaneamente

cadervi, tratto dalle esigenze logiche della sua dottrina. E e ciò sia succeduto al Rosmini, veggasi dai passi seguenti. Iscorrendo delle proprietà dell' ente ideale, egli stabilisce, che è perfettamente semplice 1. Questa semplicità consiste nell' escludere ogni giudizio. « Quest' idea è perfettamente semplice... è una << pura intuizione intellettuale, priva di ogni giudizio... E vera<< mente, quand' io dico esistenza in universale, che cosa esprimo «io con questa frase? Affermo io qualche cosa? Nego io? Nulla « di ciò. Pensare una cosa in universale (l' essere,) non è pur « pensare, che un qualche cosa sussista. Se io pensassi, che un qualche cosa sussistesse, io mi potrei ingannare : forse po«trebbe quella cosa non sussistere : si dà la possibilità del con«trario. Pensare una cosa in universale, è forse un pensare

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questa o quella cosa? Nè pure. È pensare a nessuna cosa « determinata: è pensare alla possibilità di una cosa qualunque. « E che è la possibilità? Non è che la pensabilità. Cioè non è «< che un'entità sui generis, che serve di lume alla mente, entità «< nella quale non è contraddizione o pugna interna 2. Se l'ente ideale esclude ogni affermazione, ogni giudizio, ogni sussistenza, e per ciò appunto rimuove ogni pericolo d'inganno, certo un tal ente non si può concepire come una cosa distinta dall' anima, ma dee immedesimarsi col pensiero stesso, che lo contempla. La subbiettività dell' idea non potrebbe essere più chiaramente significata.

Questo punto di dottrina si connette con un altro, che merita di essere attentamente avvertito. L'ente ideale, secondo l'Autore, è da una parte il solo termine del nostro conoscimento, la sola cosa, che sia veramente conoscibile: gli enti reali, possiamo sentirli, ma non conoscerli. D'altra parte, l'ente ideale non essendo reale, ed escludendo ogni sussistenza, ne segue

1 N. Sag., tom. II, p. 30. 2 Ibid., tom. III, p. 33.

noi

questa singolar conclusione, che noi non conosciamo alcuna cosa sussistente, e che lo spirito nostro ha il privilegio di apprendere coll' intelletto ciò che non è veramente, ma che quanto alle cose reali, esse gli sono del tutto impenetrabili. Odasi l'illustre Autore: « L'essere, che nella mente riluce, non si presenta, come sostanza, « cioè come un essere sussistente e perfettamente compito; e di « ciò nasce, ch' egli sia comunissimo.... Ora tutte l' altre cose non << sono conoscibili, se non per l'essere. Quindi è, che la nostra cognizione nello stato presente è essenzialmente universale, e «che il nostro intelletto non attinge e percepisce nessun essere « sussistente e singolare. In fatti non v' ha alcun essere singolare << che sia conoscibile per sè stesso, ma ciascuno ha bisogno di "esser fatto conoscibile dalla sua relazione coll' essere comunis«simo. Io notai, che materia delle cognizioni non potevano «< chiamarsi se non i sussistenti individui di una specie, la sus«sistenza sola formava la materia della cognizione : vidi, che la

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specie sola (idea) era l'oggetto dell' intelletto; e che la sus"sistenza non entrava in alcuno intelletto, non era per sè conosci«bile. Ma se la sussistenza non è per sè conoscibile, non si

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percepirà dunque? Si percepisce, ma con un atto essenzialmente « diverso da quello onde si intuisce la specie od idea: con un «atto, che non è egli stesso per sè cognizione. Quest' atto appartiene al mondo delle realità, e non a quello delle idee. Il « mondo delle realità è tutto fatto di sentimenti, di azioni, e di passioni; ma il mondo delle idee non ha nè passioni nè azioni; egli è tutto fatto di notizie o cognizioni. La percezione adunque « delle cose reali è una passione nostra, prodotta (nel sentimento) da una azione loro in noi. Ma fin qui non v' ha nulla di conoscitivo, siamo nel perfetto buio. Come passeremo alla « luce? La percezione delle cose reali, delle sussistenze, è fatta « in noi. Ora essa ha in noi un rapporto colle idee, col mondo

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« ideale, il quale è pure in noi. Qual è il fondamento di questo

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1 N. Sag., tom. III, p. 147. Vedi pure la nota della stessa pagina.

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