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même, qui oblige immédiatement, qui n'a besoin pour se faire << respecter et reconnaître, d'invoquer rien qui lui soit étranger, << rien qui lui soit antérieur et supérieur. » Egli è dunque chiaro, che secondo l'Autore, si può trovare il principio dell' obbligazione assoluto, senza uscir del creato, cioè del relativo. La contraddizione non potrebbe essere più palpabile e manifesta.

Ella però non è evitabile, ogni qualvolta si procede, secondo gli ordini del psicologismo, che vuole colla scorta del senso asseguire le verità razionali. Camminando per questa via, lo spirito non può logicamente levarsi al di sopra del mondo; e quando dalle singole parti egli è giunto alla considerazione del tutto, ivi è costretto di far posa, e non può salir più oltre. Ma siccome, per l'immanenza dell' intuito, egli ha eziandio nel riflettere il concetto confuso dell' Assoluto in sè stesso; siccome per le attinenze dell' Assoluto col proprio arbitrio e col sistema generale delle forze libere, egli ha la notizia di una obbligazione morale e irrefragabile; egli è forzato a trasferire queste idee nell' universo, che è il punto più eccelso, a cui gli sia dato di poggiare, ⚫e a considerarlo, come l' Assoluto medesimo. Se procede in questo lavoro con impavido rigore di logica, egli divien panteista. Se il buon senso lo salva dal panteismo, egli perde dal canto della severità scientifica ciò che acquista da quello del senso comune; com' è appunto accaduto al Jouffroy, il quale, non risolvendosi ad essere panteista, e tuttavia scorgendo che l'obbligazione morale è assoluta, e come tale dee provenire da un principio della stessa natura, fu indotto a considerare l' ordine dell' universo, come una cosa assoluta, senza osar però indiarlo, secondo l' esempio del suo maestro, più ardito o men consigliato di lui. Quindi ne nasce quel linguaggio vago, fluttuante, destituito di ogni precisione, e quel lusso di epiteti, con cui il nostro Autore cerca di ornare e nobilitare il suo soggetto, scostandosi dalla esattezza e simplicità sua solita; quasi che per trasformare il relativo in assoluto, bastasse lo scambiare

i vocaboli, e l'accumulare sovra di esso tutte le qualificazioni più onorevoli e magnifiche, chiamandolo regola, legge sacra, bella, immutabile ecc. come si vede nel luogo citato, e nel seguito del ragionamento, che stimo inutile di riferire, essendo una semplice ripetizione delle cose dette 1.

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Abbiamo veduto che il Jouffroy rimuove dichiaratamente dal suo concetto dell' ordine universo, come fine morale, ogni idea di un principio superiore. Ora questa sola esclusione prova che l'idea di un tal principio era presente allo spirito dell' Autore; imperocchè non si può sbandire ciò che non si pensa. Egli dunque pensava a Dio, quando riponeva nel solo ordine creato il principio del bene morale e della obbligazione. E che il fatto sia vero, risulta da ciò che dice poco appresso: « Cette idée de « l'ordre elle-même, si haute qu'elle soit, n'est pas le dernier « terme de la pensée humaine. Elle fait un pas de plus et s'élève jusqu'à Dieu, qui a créé cet ordre universel, et qui a donné à chaque créature qui y concourt, sa constitution, et par consé«quent sa fin et son bien. Ainsi rattaché à sa substance éter«nelle, l'ordre sort de son abstraction métaphysique et devient. l'expression de la pensée divine; dès lors aussi, la morale << montre son côté religieux. Mais il n'était pas besoin qu'elle le « montrat, pour qu'elle fût obligatoire. Au delà de l'ordre, notre «< raison n'aurait pas vu Dieu, que l'ordre n'en serait pas moins « sacré pour elle, car le rapport qu'il y a entre notre raison et « l'idée d'ordre subsiste indépendamment de toute pensée religieuse. Seulement, quand Dieu apparaît comme substance de « l'ordre, si je puis parler ainsi, comme la volonté qui l'a établi, « comme l'intelligence qui l'a pensé, la soumission religieuse << s'unit à la soumission morale, et par là encore l'ordre devient respectable 2. » Vedesi pertanto, come l'illustre scrittore af

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1 Cours de droit nat., leçon 2, tom. I, p. 48 seqq.

2 Ibid., p. 50, 51.

ferma nello stesso tempo che Iddio è il principio dell' ordine morale, e che l'ordine morale è indipendente da Dio. Imperocchè, se non fosse, se il fine virtuoso, e il dovere, che lo prescrive, necessariamente con Dio si connettessero, come mai la legge e l'obbligazione potrebbero esser note, senza la cognizione del legislatore? Singolare follia del psicologismo, che mette il reale in contraddizione collo scibile! Ma come mai il Jouffroy sa che v' ha un Dio, da cui provengono l'universo, l' armonia, che vi risplende, la legge che il governa, e l'obbligo di ubbidire alla legge? Giacchè il psicologismo non può rivelarci alcuna di queste cose. Qui si pare l'influenza, che la religione esercita eziandio su coloro, che la ripudiano. Il psicologista moderno, nato e nudrito nel seno della civiltà cristiana, ancorchè rigetti il Cristianesimo, come culto positivo e divino, ne ammette, spesso senza saperlo, molti dettati, e mentre si crede di filosofare da sè, e alla libera, non fa sovente altro, che ripetere i pronunziati della ontologia cristiana, ricevuti per via della parola e della tradizione. In ciò consiste non di rado la superiorità degli increduli moderni sui filosofi del paganesimo. Il Jouffroy nel passo allegato ce ne porge uno splendido esempio; conciossiachè, mentre da un lato, come cartesiano e psicologista, pone l'assoluto morale nel mondo, e lo rende indipendente da Dio; come uomo nato ed educato in una società ortodossa, restituisce a Dio il privilegio usurpato, riconosce in Lui il vero Assoluto, ed esprime, quasi senza accorgersene, una di quelle verità stupende, che si sanno eziandio dal fanciullo cristiano, ma non potrebbero scoprirsi dai più ingegnosi psicologisti, in virtù dei loro principii, ancorché in eterno speculassero.

I vizi del psicologismo si fanno sentire a ogni tratto nelle opere del Jouffroy, e rendono bene spesso le sue analisi manche, imperfette, superficiali, non ostante la sagacità e la gravità propria di questo scrittore. Il male non vien dall' artefice, ma dallo strumento che adopera. Ciò che egli discorre in proposito dello

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scetticismo, ce ne porge un altro esempio. Proponendosi di risolvere le obbiezioni degli scettici, egli comincia a distinguere quattro facoltà, che concorrono nel partorire la cognizione, cioè la sensibilità, la ragione, il raziocinio e la memoria; e poscia così favella: « Quand l'une des quatre facultés qui concourent dans «la formation de nos connaissances, vient à s'appliquer et à nous « donner la notion qui lui est propre, il est évident que nous « ne croyons et ne pouvons croire à la vérité de cette notion qu'à une première condition, c'est que nous avons foi à la véracité native de cette faculté, c'est-à-dire à sa propriété de << voir les choses telles qu'elles sont; car pour peu que nous en << doutions, il n'y a plus de vérité, plus de croyance possible « pour nous. Et cependant rien ne prouve, rien ne peut prouver « cette véracité native de nos facultés. » Applicata questa sentenza in particolare alle varie facoltà, egli continua in questi termini.« Donc, messieurs, le principe de toute certitude et de «< toute croyance est d'abord un acte de foi aveugle en la véracité «naturelle de nos facultés. Quand donc les sceptiques disent « aux dogmatiques: Rien ne prouve que vos facultés voient les « choses comme elles sont; rien ne démontre que Dieu ne les ait pas

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organisées pour vous tromper; les Sceptiques disent une chose <«< incontestable, et qu'il est impossible de nier. C'est à cette con<«<dition que nous croyons 1. » Egli è singolare che queste parole si trovino nelle opere di un filosofo dogmatico, e in un luogo appunto, dove si vogliono confutare gli scettici. I quali certo non sono così indiscreti, che richieggano di più, e non si contentino di un dogmatismo, che mette la radice del vero, e la base del sapere in una fede cieca. Dunque l'assenso, che si porge all' evidenza, è una fede cieca! Dunque quella pura e viva luce intelligibile, da cui ogni altro lume deriva, non è altro che tenebre! Dunque l'intelletto non differisce dall'istinto, e il conoscere dal sentire, poichè l'uno è senz' occhi, come l'altro! Dunque

1 Cours de droit nat., leçon 9, tom. 1, p. 251, 252, 253.

il primo vero si ammette senza ragione, perchè si crede senza prova; quando il non aver esso bisogno di prova deriva appunto dall' essere la prova universale degli altri veri, e la somma ragione! Anche gli antichi, e santo Agostino, e Dante, e tutti i più grandi pensatori del mondo, dissero che l'uom crede al primo vero; intendendo per credenza una cognizione, che esclude il discorso dimostrativo, ma non già l' evidenza; giacchè quello è nullo in tal caso, perchè questa è suprema. Il Jouffroy non ha potuto dissimulare à sè stesso, che posta la fede cieca, come base della certezza, ne nasce contro di questa una obbiezione gravissima. Laonde, dopo risolute altre opposizioni di minor conto, egli conchiude che « il resterait démontré que nous « pouvons arriver à la vérité, s'il l'était que nos facultés ont été

organisées pour voir les choses comme elles sont, et non pour « en transmettre d'infidèles images. Revenons maintenant à cette << dernière objection 1. » La risposta ch' egli vi fa, dopo averla menata così in lungo, non è prolissa, poichè consiste a dire che non ve ne ha alcuna. « Je m'empresse de vous le répéter, mes«sieurs; à cette objection des Sceptiques, je ne connais aucune

réponse catégorique; il n'existe aucune possibilité de prouver « la véracité de notre intelligence 2. » E poco appresso la chiama una obbiezione irréfutable 3.

Niuno rida del valente psicologo, a vederlo in queste misere strette; poichè il torto non è suo, ma del sistema. Si lodi anzi la sua sincerità, che non gli permette di palliare i vizi della dottrina, e di aggirare chi legge, invece di fare una confession generosa. Infatti il psicologismo, che va dal soggetto all' oggetto, dalla facoltà conoscitrice alle cose conosciute, non può discorrere altrimenti, nè credere scientificamente al vero, se

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