་་ possibles, mais qu'il a toutefois voulu rendre impossibles. Car « la première considération nous fait connaître que Dieu ne peut « avoir déterminé à faire qu'il fût vrai que les contradictoires « ne peuvent être ensemble, et que par conséquent il a pu faire « le contraire; puis l'autre nous assure que, bien que cela soit « vrai, nous ne devons point tâcher de le comprendre, pour « ce que notre nature n'en est pas capable. Et encore que Dieu « ait voulu que quelques vérités fussent nécessaires, ce n'est « pas à dire qu'il les ait nécessairement voulues; car c'est « tout autre chose de vouloir qu'elles fussent nécessaires, et de « le vouloir nécessairement, ou d'être nécessité à le vouloir. « J'avoue bien qu'il y a des contradictions qui sont si évidentes « que nous ne pouvons les représenter à notre esprit sans que « nous les jugions entièrement impossibles, comme celle que « vous proposez : Que Dieu aurait pu faire que les créatures ne « fussent point dépendantes de lui; mais nous ne nous les devons point représenter pour connaître l'immensité de sa puissance, « ni concevoir aucune préférence ou priorité entre son entende«ment ou sa volonté; car l'idée que nous avons de Dieu nous apprend qu'il n'y a en lui qu'une seule action toute simple et « toute pure; ce que ces mots de saint Augustin expriment fort « bien, quia vides ea, sunt, etc., pour ce que en Dieu videre et « velle ne sont qu'une même chose 1. » Alcuno chiederà forse, se fra queste contraddizioni cosi evidenti, che si affacciano allo spirito, non vi ha quella dell' ateismo; e se conseguentemente il Descartes non ha avvertito, che secondo i suoi principii, Iddio in virtù della propria onnipotenza, dovrebbe potere annientar sè stesso, e far che d'ora innanzi gli atei avessero ragione. Io non so, se l' ingegno profondo di Cartesio era da tanto per muovere questa obbiezione; ma trovo che in effetto essa gli fu fatta da un suo corrispondente. Al quale egli risponde che veramente «< il répugne que Dieu se puisse priver de sa propre existence, 1 OEuv., tom. IX, p. 170, 171, 172. « ou qu'il la puisse perdre d'ailleurs 1. » La concessione non è piccola, poichè si rinunzia alla logica; benchè i sacrifizi di questo genere costino poco al filosofo francese. Ma qual è la ragione, con cui legittima la sua risposta? Forse dicendo che questa è la massima delle contraddizioni; che il distruggere è un atto d'impotenza; che se l'onnipotenza divina fosse suscettiva, per così dire, di suicidio, non sarebbe più onnipotenza; che il contrario dell' assoluto, non essendo possibile, non può mai diventar reale, ecc.? Oibò; tutte queste ragioni sono miserie; oltrechè esse provano troppo, perchè arguiscono impossibile a Dio il far cose contraddittorie, e il Descartes è troppo accorto da volersi dare della falce in su' piedi. Egli adunque si contenta di dire, che « ce serait une imperfection en Dieu de se pouvoir priver de sa propre existence . » Vedete, com'è discreto! Iddio non può mica annullarsi, e da questa parte possiamo dormir sicuri, senza temere che il celebre sogno di Giampaolo Richter si verifichi. Ma sapete mo il perchè? Perchè, se gli toccasse il capriccio di farlo, egli ne resterebbe un po' meno perfetto di prima. Abbiamo veduto di sopra che il Descartes confonde la ragione colla causa efficiente. Questa confusione d'idee contribui a precipitarlo nel prefato errore, e fa segno ch' egli attendesse con poca sollecitudine alle nozioni più elementari della scienza, quando giovanetto studiava nel collegio della Flèche. Essa ricorre in vari luoghi delle sue opere; e ci spiega quella sua strana sentenza, che Iddio «< fait en quelque façon la même chose à l'égard de soi-même que la cause efficiente à l'égard de son « effet. » Antonio Arnauld, a malgrado della sua indulgenza verso il nostro filosofo, non potè tenersi di esclamare, udendo " uno strafalcione cosi solenne: Sane durum mihi videtur et falsum1. Mi rincresce che la risposta del Descartes a questa partita è troppo lunga, da poter essere qui riferita per disteso 2. Fra le altre cose, egli dice: « Je pense qu'il est manifeste à tout le <«< monde que la considération de la cause efficiente est le premier « et le principal moyen, pour ne pas dire le seul et l'unique, «que nous ayons pour prouver l'existence de Dieu. Or nous ne « pourrons nous en servir, si nous ne donnons licence à notre esprit de rechercher les causes efficientes de toutes les choses qui sont au monde, sans en excepter Dieu même; car pour « quelle raison l'excepterions-nous de cette recherche, avant qu'il ait été prouvé qu'il existe ?» Per ciò appunto che si dee cercare la causa effettrice di ogni causa contingente, non si può cercar la causa delle cose necessarie, la causa della causa delle contingenti. La voce causa dice un rispetto estrinseco, che riguarda l'effetto, e non la cosa medesima, che qual causante si considera. La causa efficiente presa in sè stessa è sostanza e non causa, coma la prima causa è l' Ente in ordine all' esistente, che ne è l'effetto. Perciò la licenza che il Descartes vuol dare al suo spirito, non che illustrare od avvalorare l'argomento ontologico, lo debilita ed intenebrisce, dandogli la forma di un paralogismo. « Il est nécessaire de montrer, qu'entre la cause efficiente proprement dite, et point de cause, il y a quelque chose qui «tient comme le milieu; à savoir, l'essence positive d'une chose, à laquelle l'idée ou le concept de la cause efficiente se peut « étendre, en la même façon que nous avons coutume d'étendre « en géométrie le concept d'une ligne circulaire, la plus grande qu'on puisse imaginer, au concept d'une ligne droite; ou le concept d'un polygone rectiligne qui a un nombre indéfini de « côtés, au concept du cercle 1. Sarebbe desiderabile che l'autore di queste parole, invece di dar licenza al suo spirito, l'avesse assoggettato a quella disciplina, che vieta il mescere le idee disparate e l'abusar dei vocaboli. Fra l'idea di causa e l'idea di essenza non corre alcuna analogia, poichè la prima significa una relazione estrinseca, (possibile o reale,) solamente. Gli esempi tolti dalla matematica non fanno al proposito. La medesimezza della curva infinita colla linea retta, e del poligono infinito, (non indefinito, come dice il Descartes, perchè in tal caso staremmo freschi,) col circolo, rappresenta una idea vera ipoteticamente, cioè supposto lo spazio infinito, ed ha lo stesso valore del sublime concetto di san Bonaventura, (ripetuto poscia da Giordano Bruni, e per ultimo dal Pascal,) il quale simboleggia Iddio sotto l' imagine di una « sphæra intelligibilis, cujus « centrum est ubique et circumferentia nusquam 1. » Il Descartes non avvertì che il mezzo riposto fra la negazione di ogni causa e la causa stessa, consiste nel concetto di ragione. « On peut « demander de chaque chose, si elle est par soi, ou par autrui ??» Si certo; purchè la particella par indichi la ragione e non la cagione. Ogni causa dee avere una ragione, ma non una causa. La ragione sufficiente di una cosa diventa cagione, ogni qual volta non si trova in essa, ma in una sostanza distinta ed estrinseca. Così Iddio è causa e ragione del mondo, perchè non è il mondo. Ma Egli è ragione e non causa di sè stesso, perchè Dio è Dio. E quando Egli defini sè stesso, dicendo Io sono colui che sono, espresse la ragione, e non la cagione della propria esistenza. Il Leibniz vide acutamente il gran divario che correva fra le due idee, allorchè gli venne stabilito il suo gran principio della ragion sufficiente; ma egli aveva ben altra dottrina e altro polso filosofico, che il povero Descartes. ik 3 ་་ A proposito del Leibniz, mi sovviene ch' egli deriae piacevolmente la sentenza dei Cartesiani sulla mutabilità delle essenze, ma la trova così assurda, che dubita, se in effetto il Descartes, professandola, abbia parlato seriamente 1. Ecco in che termini egli dichiara il suo dubbio. « Ego ne hoc quidem mihi persuadere possum, Cartesium ita serio sensisse, quamvis sec«tatores credulos habuerit, qui magistrum bona fide secuti sunt, quo ipse duntaxat ire simulabat; crediderim hic astum « aut stratagema philosophicum Cartesii subesse, captantis aliqua effugium, uti, dum viam reperit negandi terræ motum, cum « tamen esset Copernico devotissimus. Suspicor, virum ad inso«litum alium loquendi modum a se invectum respexisse, quo dicebat, adfirmationes et negationes, et universim interna judicia, operationes esse voluntatis. Atque hoc artificio veri«tates æternæ quæ ad auctoris hujus tempora fuerant intellectus « divini obiectum, extemplo voluntati ejus obiici cœperunt. Atqui actus voluntati, sunt liberi. Ergo Deus est causa libera « veritatum. En tibi nodi totius solutionem. Spectatum admissi. Exigua significationis vocum innovatio omnes has turbas peperit. Verum si veritatum necessariarum adfirmationes forent « actiones voluntatis perfectissimi spiritus, actiones hæ nihil << minus forent quam liberæ; nihil enim hic est quod eligatur 2. » Il Leibniz è troppo benigno, come ci pare di aver provato, e lo spectatum di Orazio è ancor poco. ་་ NOTA 25. Per formarsi una idea giusta della filosofia socratica e platonica, bisogna considerarla, come un ritiramento razionale verso la religione primitiva, cioè verso l'antico insegnamento dei sacerdoti. Se si tiene all' incontro, secondo l'uso degl' interpreti 1 Tentam. theod., no 185. — Op. omn. ed. Dutens, tom. II, p. 266. 2 Ibid., no 186. |