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non fuerit in sensu, nisi ipse intellectus. Meglio ancora si direbbe : Nihil est in intellectu hominis, quod prius non fuerit in intellectu Dei, ne excepto quidem ipso hominis intellectu. Perciò, quando il pensiero nostro incomincia dalla contemplazione obbiettiva del vero, non si separa in effetto da sè, ma studia, la conoscenza stessa nel suo obbietto e nella sua fonte; la studia non in sè medesimo, che la riceve, ma nel principio, da cui scaturisce. Lo studio del vero assoluto è anche studio dell' instrumento, non in sè stesso, ma nell' artefice; e la scienza, che ne risulta, è una spezie di psicologia ontologica, che dee essere la base dell' altra. Fuori di questo modo, lo studio dell' instrumento cogitativo è impossibile. Lo stesso Cartesio il concede, senz' avvedersene, divisando le regole, secondo le quali l'uomo dee studiare la propria intelligenza, e la cui notizia pertanto dee essere la prima di tutte. Ora che cosa sono queste regole, se non l' Intelligibile, principio e norma del nostro pensiero?

Nel resto, non è qui mio proposito di confutare il psicologismo cartesiano, ma solo di chiarirne il vero concetto. Se si ragguaglia l'ultimo passo coi precedenti, trovasi già una variazione notábile nelle dottrine del Descartes. Nelle Regole, non si tratta solamente di esordire l'inchiesta filosofica dal fatto primitivo dell' intelligenza, come nelle Meditazioni, ma di studiare essa intelligenza, procedendo, secondo certi canoni, che debbono ragionevolmente precorrere a ogni altra investigazione. Questi canoni risultano da alcune idee ingenite, che, si trovano nello spirito dell' uomo. « L'âme humaine possède je ne sais quoi de divin, où sont déposés les premiers germes des connaissances « utiles 1. Vedete, come in queste parole l'autore rasenta l'ontologismo? Il divino è veramente fuori dell' anima; ma si può dir nell'anima, in quanto l'anima stessa è nel divino : in

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ipso (Deo) enim vivimus, movemur et sumus 1. Vedete ancora, come mettendo il divino nell' anima, in senso diverso dal vero ontologismo, la sentenza cartesiana si accosta al panteismo di Amedeo Fichte? E questo elemento divino non consiste già in un fatto, com è l'esistenza individuale, ma in alcune verità generali e assolute. « Les choses.... peuvent être appelées ou << absolues ou relatives. J'appelle absolu tout ce qui est l'élément simple et indécomposable de la chose en question, comme, par exemple, tout ce qu'on regarde comme indépendant, cause, simple, universel, un, égal, semblable, droit, etc., et je dis, « que ce qu'il y a de plus simple est ce qu'il y a de plus facile, et «ce dont nous devons nous servir pour arriver à la solution des questions. J'appelle relatif ce qui est de la même nature ou << du moins y tient par un côté, par où l'on peut le rattacher à « l'absolu et l'en déduire. Mais ce mot renferme encore certaines « autres choses que j'appelle des rapports; tel est tout ce qu'on « nomme dépendant, effet, composé, particulier, multiple, inégal, « dissemblable, oblique, etc. Ces rapports s'éloignent d'autant plus de l'absolu qu'ils contiennent un plus grand nombre de rapports qui leur sont subordonnés, rapports que notre règle « recommande de distinguer les uns des autres, et d'observer « dans leur connexion et leur ordre mutuel, de manière que, << passant par tous les degrés, nous puissions arriver successi«vement à ce qu'il y a de plus absolu. Or, tout l'art consiste à << chercher toujours ce qu'il y a de plus absolu. En effet, cer«<taines choses sont sous un point de vue plus absolues que sous «un autre, et envisagées autrement, elles sont plus relatives. << Ainsi l'universel est plus absolu que le particulier, parce que «sa nature est plus simple; mais en même temps il peut être <«<dit plus relatif, parce qu'il faut des individus pour qu'il «<existe. De même encore certaines choses sont vraiment plus « absolues de toutes. Si nous envisageons les individus, l'espèce

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« est l'absolu; si nous regardons le genre, elle est le relatif. «Dans les corps mesurables, l'absolu c'est l'étendue; mais dans

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l'étendue, c'est la longueur, etc. Enfin, pour mieux faire comprendre que nous considérons ici les choses, non quant à leur «< nature individuelle, mais quant aux séries dans lesquelles « nous les ordonnons pour les connaitre l'une par l'autre, c'est « à dessein que nous avons mis au nombre des choses absolues « la cause et l'égal, quoique de leur nature elles soient relatives; << car dans le langage des philosophes, cause et effets sont deux << termes corrélatifs. Cependant si nous voulons trouver ce que « c'est que l'effet, il faut d'abord connaître la cause. Ainsi les «choses égales se correspondent entre elles; mais pour connaître l'inégal, il faut le comparer à l'égal1. » Tutti i periodi di questo brano non sono egualmente chiari. Imperocchè da un lato e' pare che il Descartes consigli di salire dal relativo all' assoluto coll' analisi, dall' altro di discendere dall' assoluto al relativo colla sintesi. Così, verbigrazia, quando dice che la causa si dee conoscere prima dell' effetto, il processo sintetico è chiaramente indicato. Io conghietturo che il matematico francese avesse dinanzi agli occhi il processo proprio della scienza, in cui era eccellente; processo, che movendo dalle nozioni astratte della quantità, è differentissimo dal filosofico. Infatti l'assoluto, ch' egli contrappone all' individuo, e da cui lo fa dipendere, secondo il concetto aristotelico, per ciò che spetta alla sua reale esistenza, è una idea astratta, e non l' Assoluto dei veri filosofi. Il che ci spiega, come il Descartes sia potuto procedere nella filosofia da un fatto perfettamente relativo, a malgrado di tal sua dottrina sull' assoluto. Tuttavia queste idee generali ed astratte, formanti quel non so che di divino, che trovasi nell' animo nostro, sono ben altra cosa, che il semplice Cogito delle Meditazioni.

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Nondimeno, anche nelle Meditazioni il Descartes discorre di

OEuv., tom. XI, p, 227, 228, 229.

un lume naturale, per cui si conosce il vero. « Je ne saurais rien

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révoquer en doute de ce que la lumière naturelle me fait voir « être vrai, ainsi qu'elle m'a tantôt fait voir que de ce que je «doutais, je pouvais conclure que j'étais; d'autant que je n'ai «en moi aucune autre faculté ou puissance pour distinguer le « vrai d'avec le faux, qui me puisse enseigner que ce que cette « lumière me montre comme vrai ne l'est pas, et à qui je me puisse tant fier qu'à elle 1. » E poco dopo: « C'est une chose « manifeste par la lumière naturelle, qu'il doit y avoir pour le << moins autant de réalité dans la cause efficiente et totale que << dans son effet; car d'où est-ce que l'effet peut tirer sa réalité, « sinon de sa cause; et comment cette cause la lui pourrait-elle

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communiquer, si elle ne l'avait pas en elle-même ?? » Se il filosofo francese avesse capito ciò che è veramente questo lume naturale, ci avrebbe trovata la confutazione del suo sistema. Ma come accade agli spiriti leggeri, egli travisa il vero nell' atto medesimo, che ne ha un sentore; imperocchè, troppo puerile è il dire credo all' evidenza, perchè non trovo alcun' altra facoltà, che mi mostri falso ciò, ch' ella m'insegna esser vero. Povero filosofo! Questa facoltà, supremo giudice del vero, che cos'è, se non l' evidenza? Le tue parole suonano adunque in sostanza che credi all' evidenza, perchè l'evidenza non mentisce a sè stessa, cioè perchè è evidenza. Notisi ancora che nelle parole citate il Descartes accenna all' assioma di causalità, come poco appresso a quello di sostanza, senza però accorgersi che la notizia e la certezza di questi assiomi dee precedere quella dell' esistenza individuale, e che nel caso contrario essi assiomi non avrebbero più alcun valore, e con loro perirebbe la stessa individualità, secondo la sentenza dei sensisti e degli scettici, veri discepoli del Descartes, ma più perspicaci del loro maestro.

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OEuv., t. I, p. 270.

3 Ibid., p. 279, 280.

Ma bello è l'udire Cartesio, quando egli tenta di schermirsi dalle obbiezioni che gli piovono addosso, ed è a poco a poco costretto ad ammettere troppo più che non si ricerca, per rovinare il fondamento del suo sistema. Uno degli autori delle seste obbiezioni, del quale mi spiace di non trovare il nome, perchè si mostra assai più acuto degli altri, così discorre : « il ne semble « pas que ce soit un argument fort certain de notre existence « de ce que nous pensons; car pour être certain que vous « pensez, vous devez auparavant savoir ce que c'est que penser « ou que la pensée, et ce que c'est que l'existence et dans

l'ignorance où vous êtes de ces deux choses, comment pouvez« vous savoir que vous pensez ou que vous êtes? Puis donc qu'en « disant je pense, vous ne savez pas ce que vous dites, et qu'en ajoutant donc je suis, vous ne vous entendez pas non plus, que << même vous ne savez pas si vous dites ou si vous pensez quelque chose, étant pour cela nécessaire que vous connaissiez que

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vous savez ce que vous dites, et derechef que vous sachiez que " vous connaissez que vous savez ce que vous dites, et ainsi jusqu'à l'infini, il est évident que vous ne pouvez pas savoir si « vous êtes ou même si vous pensez 1. » Mi ricordo di aver letto una obbiezione conforme nella critica elegantissima, latinamente dettata da Daniele Huet, delle opere del nostro filosofo 2. La contrarietà mossa dall' anonimo è, senza dubbio, una delle più forti, che si possano fare al psicologismo, e riducendola a una forma più moderna, si può distinguere nei capi seguenti. 1o Il giudizio io penso, dunque esisto, presuppone due idee, cioè il concetto del pensiero, e quello dell' esistenza; non è dunque semplice, nè primitivo. 2o Siccome ogni atto cogitativo non può afferrare sè stesso, ma solo un altro atto cogitativo anteriore, ne segue che

1 OEuv., tom. II, p. 518, 319.

* Censura phil. cartes. Quest' opera dell' Huet manca talvolta, non sempre, di profondità, ma è ricca di erudizione, e scritta con isquisitezza di stile maravigliosa, come tutte le altre opere latine dello stesso autore.

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