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avrebbe osato dire, parlando del caos : « Je décrivis cette matière, «<et tâchai de la représenter telle qu'il n'y a rien au monde, ce « me semble, de plus clair ni plus intelligible 1, (il che non è difficile a intendersi, giacchè questa materia non si trova, ed è creata dall' ingegno del Descartes,) « excepté ce qui a tantôt été « dit de Dieu et de l'àme; car même je supposai expressément, qu'il n'y avait en elle aucune de ces formes ou qualités dont «on dispute dans les écoles, ni généralement aucune chose dont << la connaissance ne fût si naturelle à nos àmes, qu'on ne peut « pas même feindre de l'ignorer. » Non si può immaginar nulla di più squisito. « De plus je fis voir quelles étaient les lois de la «nature, et sans appuyer mes raisons sur aucun autre principe « que sur les perfections infinies de Dieu, je tàchai à démontrer << toutes celles dont on eût pu avoir quelque doute, et à faire << voir qu'elles sont telles, qu'encore que Dieu aurait créé plusieurs << mondes, il n'y en saurait avoir aucun où elles manquassent « d'être observées 2. » Questo voler conoscere e fabbricare la natura a priori, si capisce nei panteisti germanici, perchè è una conseguenza logica del loro sistema; ma in un uomo, che professa una dottrina diversa dal panteismo, come il Descartes, e osa criticar Galileo, è assurdo e ridicolo. Quando il Pascal scriveva, che tutta la filosofia non merita un'ora di fatica, non si può credere che avesse l'occhio al Cartesianismo? E forse ancor più specialmente a quel famoso libro dei Principii, che, si dee leggere quattro volte, secondo il consiglio o il precetto dell' autore, chi voglia cavarne profitto? Il qual libro è per lo più un ammasso d'ipotesi insussistenti, più degne di un romanziere, o di un antico filosofo della scuola ionica, e atomistica, che di uno scrittore di cose scientifiche. Fra le altre verità, il Descartes vi

1 Descrivere ed illustrare il caos! Si può immaginare una spampanata maggiore di questa? Ma chiunque ha lette tutte le opere filosofiche del Descartes, potrà credere che questo filosofo fosse più atto a fare il caos, che a dissiparło. 2 OEuv., tom. I, p. 170.

rigetta le cause finali, e soggiunge: « Nous tàcherons seulement << de trouver par la faculté de raisonner, qu'il (Dio) a mise en « nous, comment celles (le cose) que nous apercevons par l'entre« mise de nos sens ont pu être produites 1. » Per tal modo egli condanna la ricerca delle cause ultime, che, fino ad un certo segno, è accessibile allo spirito dell' uomo, e ammette e considera come sostanza delle fisiche discipline l'inchiesta delle cause efficienti, che è assolutamente impossibile negli ordini della natura. Nel resto, le inezie e le contraddizioni, anche filosofiche, non ci mancano. La sua distinzione fra l' infinito e l' indefinito, è molto piacevole. La quale è da lui altrove applicata non meno lepidamente alla quistione, se il mondo sia finito o infinito 3, come pure ai componenti elementari della materia, ch' egli statuisce potersi dividere in un numero di parti indefinite. Ma se non vi sono atomi, cioè parti di materia indivisibili, secondochè egli si sforza di provare 5, come mai le parti della materia possono essere non infinite, ma indefinite solamente? Anche qui risplende quella singolar maniera di connettere, che è propria del nostro autore. Bellissimo poi è l' epilogo, che fa della propria sapienza nella quarta parte. Ecco il titolo dei numeri centonovantanove, e dugento. « Il n'y a aucun phénomène en la nature qui ne soit compris en ce qui a été expliqué en ce traité. Ce traité ne « contient aussi aucuns principes qui n'aient été reçus de tout temps de tout le monde; en sorte que cette philosophie n'est pas << nouvelle, mais la plus ancienne et la plus commune qui puisse « être 1. » Senza cercare, come questa antichità si accordi colla pretensione del filosofo affermante, che prima di lui non si seppe

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1 Les princ. de la phil., part. 1.

2 Ibid., p. 79, 80.

OEuv., tom. III, p. 81.

3 Lett. à M. Chanut. - Tom. X, p. 46, 47.

Les princ. de la phil., part. 2. - OEuv., t. III, p. 149, 150.

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conoscere, nè dimostrare un solo vero speculativo; non ti par egli leggendo que' due titoli, e i paragrafi corrispondenti, (che potrai cercare nel libro,) di avere innanzi agli occhi la ricetta di un empirico, o il programma di un ciarlatano?

NOTA 11.

« A dire le vrai, » dice il Descartes, « il ne s'en trouve pas << tant dans le monde (degl' ingegni) qui soient propres pour les « spéculations de la métaphysique, que pour celles de la géomé« trie1. » E in un altro luogo, scrivendo al Mersenne : « Les opinions de vos analystes touchant l'existence de Dieu, et « l'honneur qu'on lui doit rendre, sont, comme vous écrivez, « très-difficiles à guérir, non pas qu'il n'y ait moyen de donner << des raisons assez fortes pour les convaincre, mais pour que «< ces gens-là, pensant avoir bon esprit, sont souvent moins capa«bles de raison que les autres; car la partie de l'esprit qui aide <«<le plus aux mathématiques, à savoir l'imagination, nuit plus qu'elle ne sert pour les spéculations métaphysiques 2. »

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Caro Descartes, tu hai ragione, e ti sappiamo tanto più grado di averci insegnata questa verità, che hai avuto cura di corroborarla col tuo proprio esempio.

NOTA 12.

L'idolatria dei coetanei e dei compatrioti del Descartes verso quest' uomo fu certo grande, ma non universale, e si trovano parecchie eccezioni onorevoli. Il Menjot, medico riputato del re di Francia nel secolo diciassettesimo, parla così del metodo dubita

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tivo del Descartes : « Hippocrate met entre les marques infaillibles du délire, de croire apercevoir des objets qui ne s'offrent point « à nos sens, ou de ne pas remarquer ceux qui s'y présentent.... « Descartes exige d'abord que son catéchumène commence par « devenir fou, en doutant par exemple qu'il souffre de la douleur << lorsqu'on le pique vivement. Ainsi on peut dire, sans offenser « cet auteur, que les petites maisons servent de vestibule à sa philosophie qui fait tant de bruit dans le monde. » Tutta questa lettera, indiritta al celebre Daniele Huet, e pubblicata dal sig. Cousin', merita di esser letta per vedere l'opinione, che si aveva da molti di un uomo, che ivi è chiamato, fumeus supra mensuram humanæ superbiæ; epiteto aggiustatissimo, per significare la vanità incredibile di lui. Il valente medico aggiunge fra le altre cose: « C'est dommage que la mort ait empêché << M. Descartes de composer selon ses principes le corps entier de « médecine qu'il méditait; il aurait bien donné à rire au public : « si ce n'est plutôt un grand bonheur qu'un tel ouvrage n'ait << pas paru, car il aurait coûté la vie à bien des malades. » E c'insegna che il Pascal disprezzava la filosofia cartesiana, e che la sua dimestichezza cun alcuni de' suoi fautori non lo impedi « de s'en moquer ouvertement et de la qualifier du nom de « roman de la nature. »

NOTA 13.

Il sig. Cousin, parlando del Monologio di S. Anselmo, dice che « c'est un antécédent faible sans doute, mais c'est un antécédent « du grand ouvrage de Descartes, et, chose étrange, on y trouve

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plus d'une idée célèbre des Méditations 2. » Io non trovo punto strano che il Descartes abbia copiato santo Anselmo,

1 Fragm. phil. Paris, 1858, tom. II, p. 222 seq.

2 Cours de l'hist. de la phil. du XVIIIe siècle, leçon 9.

senza citarlo; mi stupirebbe bensi che l'avesse superato, se fosse così vero, com' è falso, (ne chieggo perdono al sig. Cousin,) che il Monologio o il Proslogio sia inferiore alle Meditazioni. Me ne appello a chiunque abbia letti i due scrittori.

Se il sig. Cousin si fosse ricordato di quella curiosa lista des pilleries de M. Descartes, che il Leibniz avea promesso all' Huet, (della quale fa menzione una lettera del vescovo di Avranches data fuori da esso sig. Cousin 1,) sarebbe cessata la sua meraviglia. Del resto, senza far del Descartes un ladro erudito, egli confessa altrove con prudente temperamento, che l'autore delle Meditazioni fu debitore, sans s'en douter, della prova a priori dell' esistenza di Dio à ses premières études, à la tradition scolastique, et à saint Anselme 2. Questa benignità si può comportare a un discepolo appassionato del Descartes; ma mi sembra che lo zelo di lui vada tropp' oltre quando gli detta in un altro luogo, questa frase singolarissima, che santo Anselmo a dérobé à Descartes la preuve fameuse de l'existence réelle de Dieu 5. Se l'autore italiano del secolo undecimo ebbe l'impertinenza di rubacchiare l'autor francese del secolo diciassettesimo, non si può negare che le opere filosofiche del secondo debbano essere più forti di quelle del primo.

Il Leibniz dice espressamente che il Descartes tolse (a empruntée), la sua prova dell' esistenza di Dio da santo Anselmo, arcivescovo di Conturbia. Aggiunge che gli Scolastici rigettarono a torto tale argomento, come un pretto paralogismo, e che « M. Descartes, qui avait étudié assez longtemps la philosophie

« scolastique au collége des Jésuites de la Flèche, a eu grande

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« raison de le rétablir,» accennando con queste parole che ad

1

Ap. Cousin, Fragm. phil., t. II, p. 284.

2 Cours de l'hist. de la phil. du XVIIIe siècle, leçon 25, not.

3 Ouvr. inéd. d'Abélard, publ. par Cousin, Paris, 1836, p. cr.

* Nouv. ess. sur l'entend. hum., liv. 4, chap. 10. OEuv. phil., ed. Raspe, p. 403, 404.,

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