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della creazion sostanziale, e possa conciliarsi più agevolmente colla sincera idea dell' Assoluto. Se l'Assoluto esclude affatto il moltiplice, l'emanazione e la pluralità dei fenomeni non sono possibili. Se inchiude il moltiplice, non è assoluto. Non si può uscire di questo dilemma; ei panteisti si governano prudentemente a non tentar di rispondervi. Ciò che fa bensi meraviglia, si è il vedere uomini di tal nervo, come son veramente lo Schelling e l'Hegel, far buon viso a un sistema, che fin dai primi passi è ridotto a una stretta così dolorosa, come questa, da cui non potrebbero salvarlo tutti gl'ingegni del mondo. Infatti il solo verso, per cui si possa spiegare, senza incoerenza, la realtà del contingente e del moltiplice, risulta dalla formola ideale, che distingue l'Ente dall' esistente, e colloca nella creazione il nesso di entrambi. La qual distinzione annulla la contrarietà dedotta dall' essere infinito della natura divina, quasichè Iddio non fosse veramente infinito, se non abbracciasse, come parte di sè, tuttociò che esiste; obbiezione, che il panteismo stesso non risolve, poichè, a tenor de' suoi dogmi, il relativo non è l'assoluto. Iddio, secondo noi, è infinito, perchè è l'Ente; e se non fosse l'Ente schietto e assoluto, non sarebbe infinito. L'infinità di Dio non è una somma, e a perfettissima unità si riduce. Egli non contiene le esistenze, come appartenenza della propria natura, ma le crea liberamente; e questa virtù creatrice è un effetto della infinità sua. Qual è il sistema, che porge un concetto più degno della divina essenza? Forse il panteismo, che ammette un dio impotente a creare, e traente dal proprio seno una successione di larve e di apparenze? O non più tosto la filosofia cristiana, che adora un Dio distinto sostanzialmente dal mondo, e atto ad annullare l'opera che ha creata, con un semplicissimo atto della sua

parola? Il panteista mi rende imagine di taluno, che per estollere e celebrare l'eccellenza architettonica e scultoria di Michelangelo, dicesse che il Mosè e la cupola di san Pietro non sono già fattura del sommo artefice, ma lui medesimo in petto e in persona. Tal è la follia, a cui l'umano ingegno è condotto, quando si confida di poter sapere o rinsavire colle proprie forze.

E veramente il panteismo non dismette la formola ideale, nè impugna il gran dogma della creazione, se non perchè ripudia la tradizione religiosa e l'eloquio rivelato. Lo spirito umano è solo in grado di riflettere sulla sintesi intuitiva dell'Idea, mediante l'aiuto di una parola idonea, che gli rappresenti acconciamente il processo ideale, senza alterarlo e travolgerlo. La formola ideale, come abbiamo veduto, è organica, e i suoi concetti integranti sono collocati in un ordine fisso e immutabile, che non può alterarsi, senza che essi perdano il loro valore. La parola adunque dee mantenere quest'ordine, ed essere organata in modo conforme all'ordito ideale. Perciò non basta l'uso comune del linguaggio a conseguir l'Idea; i cui elementi sono disciolti e sparsi nella favella volgare non meno che nel vocabolario. Vuolsi adunque che la parola organica sia somministrata da una voce esteriore; cioè dalla rivelazione. La voce rivelante, mentre parla, è viva, e contiene un' adequata manifestazione del vero; ma quando i suoi oracoli trapassan ne' libri, diventa una voce morta, composta di segni arbitrari, soggetti ad essere variamente intesi dalla incuria e grossezza, o dalla malizia degli uomini. Acciocchè adunque la parola rivelatrice non si menomi nè spenga, uopo è che una viva e infallibile loquela ne sia guardiana ed interprete;

quindi la necessità di un magisterio esteriore. Il moderno panteismo germanico nacque nel grembo della eresia, dove il cercare l'espressione genuina della formola rivelata era indarno. Volle crearla da sè; indi i suoi traviamenti 1. Nè importa che i Protestanti ammettano la parola scritta; imperocchè, lasciando stare che quando sorsero i primi panteisti tedeschi, l'autorità della Bibbia e la verità della rivelazione erano già divenute un soggetto di lite; la parola scritta non è atta a rendere il vero senso della formola, se non a coloro, che già d'altronde il posseggono. Testimonio ne fanno gli Ebrei, custodi delle Scritture; molti dei quali, benchè leggano in capo di esse il dogma della creazione, ne hanno smarrito il senso. Quante dispute su quel barà della Genesi, e sulla sincera intenzione di altre voci egualmente importanti! Il panteismo giudaico è come il panteismo cristiano: amendue nacquero, poichè si volle sequestrare la rivelazione dal magisterio legittimo. Il panteismo non fu mai tollerato nel seno della società cattolica, nè dell'antica sinagoga, quando questa adempieva gli uffici, e godeva i privilegi della vera Chiesa. Ma come prima il sinedrio ricusò di riconoscere la sua legittima succeditrice, e Lutero ne impugnò l'autorità suprema, il tarlo del panteismo entrò a rodere i rami svelti dalla pianta celeste. E veramente questo sistema sembra fatale, ogni qualvolta l'uomo si stralcia dalla società ortodossa. Se non nasce subito, sèguita a breve andare i primi sviamenti si rinnova a ogni poco piglia mille forme : è l'anima, il midollo, l'essenza dell' eresia, così filosofica

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1 Il primo panteista moderno fu Ulrico Zuinglio, uno dei primi capi della Riforma; e ognun sa quanto al Bruni arridesse lo scisma dei novatori. Vedi la nota 50 del terzo volume.

come religiosa, e l'accompagna in tutti i luoghi e tempi. Cercheremo altrove le cagioni di questo fatto singolarissimo.

Il solo rimedio del panteismo versa nella restituzione della formola ideale. La quale però non potrà mai prevalere, se non supera pel suo nerbo scientifico tutte le formole possibili, e segnatamente quella dei panteisti, i quali pretendono che solo il loro sistema è accomodato a dar ragione di tutto lo scibile. Dopo aver considerata la formola ideale in sè stessa, dobbiamo adunque esaminarla nelle sue attinenze enciclopediche; il che ci studieremo di fare nel capitolo che

segue.

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