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già il termine ideale dell' intuito, ma l'oggetto del senso; e quindi sale dal senso all' Idea, e dall' esistente all' Ente, a rovescio del progresso legittimo. I nominalisti, dando lo sfratto alla realtà obbiettiva delle idee generali, furono fedeli seguaci del Peripato, e introdussero il psicologismo nelle loro scuole; imperocchè, se le idee generali sono un mero concetto dello spirito, il filosofo non dee muovere da esse, ma dal sentimento di sè medesimo; e anche pigliando le mosse dalle idee, come queste non sono altro che una sua forma, egli piglia sempre dal proprio spirito l'esordio del suo procedere. La dottrina dei nominali era così conforme alla tradizione scientifica regnante nelle scuole, che infettò una parte di quei medesimi filosofi, che si gloriavano del nome di realisti, e per alcuni titoli ne erano degnissimi. Non intendo parlar di coloro, a cui i moderni han dato il nome di concettuali; i quali erano al postutto nominalisti schietti e rigorosi; ma si bene di que'realisti, che ammettevano la realtà delle idee generali, e tuttavia pregiudicavano loro, dando a credere di riputarle per verità astratte, spogliate di sostanzialità effettiva. Dico che davano a credere di tenerle per tali, non che in effetto tali le giudicassero; imperocchè la ripugnanza intrinseca di tale opinione rese oscuro il linguaggio di questi scrittori, altronde precisi e chiarissimi; non essendo possibile l'esprimere perspicuamente ciò che è contraddittorio e al pensiero ripugna. Avrò occasione di parlare altrove dei semirealisti, e di mostrare come regnassero nei campi medesimi del realismo, e impedissero che questo sistema, professato schiettamente da alcuni pochi, portasse quei frutti, che se ne potevano aspettare.

L'imperfezione del realismo scolastico mosse anche dal

modo inesatto, in cui venne trattata la controversia corrente fra di esso e l'opinione contraria. Si chiedeva, se le idee fossero dentro o fuori dello spirito. I realisti propugnavano la seconda sentenza, e aveano sostanzialmente ragione. Ma la quistione non potea fermarsi a questo punto, e si chiedeva di più, dove albergassero e come sussistessero le idee, posto che si trovino fuori della mente umana. Per rispondere a questa domanda, si dovea investigare la natura di esse idee; e se a tale inchiesta si fosse dato opera accuratamente, si sarebbe giunto a conoscere, che le idee generali sono nell' Idea, e gli universali nell' Universale; e quindi studiando in sè stessi e nelle loro relazioni reciproche i due termini, si sarebbe conosciuto che l'Idea racchiude in sommo grado il generale e il particolare, il concreto e l'astratto; ch' essa è il primo e sommo genere, il primo e sommo individuo; che da lei provengono le individuali esistenze per via dell' atto creativo; che le esistenze individue, combinate coll' Idea stessa, per mezzo della riflessione, danno origine alle idee generali; la natura delle quali è incomprensibile, senza il dogma della creazione. Si sarebbe veduto che i nominalisti riducenti gli universali a meri vocaboli, erano atei, senza saperlo; che i concettualisti, considerandoli, come semplici forme dello spirito, preludevano all' egoismo panteistico di Amedeo Fichte; che collocandoli con alcuni realisti nelle sole cose, e immaginando certe idee cosmologiche e sussistenti, si riusciva a un panteismo obbiettivo; come si dovrebbe collocare Platone stesso fra i politeisti, se non fosse probabile, per non dir certo, ch' egli immedesimava le sue idee colla natura divina. Ma per poter avvertire tutte queste cose, era d'uopo liberarsi dalle pastoie peripatetiche, e gli Scolastici sventuratamente credevano, che la verità

cristiana si accomodasse di Aristotile assai meglio che di Platone.

Aggiungerò una terza cagione, che nocque al realismo, contentandomi di accennarla. Gli schietti nominali fra i loro errori professavano, una verità importantissima, cioè la necessità della parola per le idee riflesse, quali sono le idee generali. Egli si dee attribuire in parte a questa verità la buona fortuna del nominalismo, e all' averla disconosciuta. o tenutone poco conto, i danni del realismo; i fautori del quale non si avvidero, che tolta via la necessità della parola per la riflessione, si annullava la tradizione religiosa nel suo principio, e rimossa la necessità delle formole definitive, si spiantava la base di ogni filosofia.

Scaduto il realismo, e lasciato quasi libero il campo alla dottrina contraria, le scienze speculative declinarono in breve, e i due sistemi nemici languirono del pari; imperocchè, come la civiltà non può venir meno, se non in quanto contiene un germe di barbarie; così negli ordini speciali del sapere, il peggiorare di una disciplina procede da qualche vizio occulto, ch' ella racchiude nel suo seno. Gl' ingegni disgustati della Scolastica, si rivolsero al gentilesimo, a cui il risorgere delle antiche lettere gl' invitava. I migliori si appigliarono a Platone e ai neoplatonici; ma se da un lato riassunsero il filo della tradizione scientifica, dall' altro rigettarono o trascurarono quello della tradizione religiosa, e posero in dimenticanza la formola cristiana. Il Bruni abbracciò il panteismo temperato dei neoplatonici, e mostrò nell' esporlo un ingegno profondo, robusto e pellegrino; ma benchè egli facesse per qualche parte dietreggiare la filosofia

di dieci secoli, i voli alessandrini richiedevano troppo più forza, che non portava la debolezza dei tempi; onde le idee del gran Nolano non ebbero seguaci. L'età usa a balbettare in religione, dopo le luterane e calviniane riforme, non potea ragionare in filosofia; avea bisogno di un caposcuola fanciullo, e lo trovò. Dal Descartes in poi, salvo pochi casi, la filosofia fu un giuoco d'ingegno, e un pargoleggiare continuo, a malgrado di alcune teste potenti, che presero a coltivarla. Parlo dell' ontologia, che è la cima della scienza razionale. I sistemi dello Spinoza, del Fichte, dello Schelling e dell' Hegel non sono teoriche scientifiche, ma poemi: la gagliardia degli inventori consiste nella loro immaginazione. Parecchi lavori eccellenti, che si fecero in psicologia, quali sono le ricerche psicologiche del Reid e del Kant, sono parziali, e gli autori con tutto il loro ingegno inciampano, ogni volta che il psicologo ha mestieri di appoggio ontologico.

Cartesio incominciò la sua trista opera col sovvertire affatto la formola ortodossa. Questa diceva: Iddio è; dunque l'uomo esiste. Cartesio disse in vece: io sono; dunque Iddio è. Ma nel fondare la propria esistenza sul pensiero, e nel dire : io penso, dunque sono, Cartesio dichiarò espressamente che non intendeva di sillogizzare, risalendo a una verità generica, ma di significare con quel suo pronunziato un vero primitivo. Ora il giudizio espresso da questo vero consta di due elementi, l'uno intelligibile, e l'altro appartenente alla sensibilità interiore. L'elemento sensibile, espresso colla voce io penso, è preciso, e non ammette equivocazione. Non così l'elemento intellettivo; imperocchè il Descartes, pigliando promiscuamente le voci essere ed esistere, ci lascia in dubbio

qual sia il concetto intellettuale racchiuso nella sua proposizione. Ma io tengo per verosimile che la confusione di tali due vocaboli nascesse in lui dalla confusione dei concetti, giacchè non trovo in tutte le sue opere il menomo cenno, onde si possa credere ch' egli l'abbia subodorata 1. E se scrisse cogito, ergo sum, ciò si dee attribuire alla proprietà della lingua latina, di cui egli ignorava la cagione; imperocchè i Romani antichi non commettevano il barbarismo filosofico dei moderni Italiani di scambiare a ogni tratto le dizioni essere ed esistere.

Essendo adunque costretti d'indovinare, per asseguir l' intendimento del Descartes, consideriamo, qual sia il valore della sua formola, secondo i due sensi probabili della seconda parte di essa. Se la frase io sono esprime l'essere, la proposizione cartesiana si riduce a questa: il mio pensiero è l'Ente. Cosi la intese Benedetto Spinoza, il quale avea ben altro accorgimento filosofico, che il matematico francese. La conseguenza inevitabile di questo principio è il panteismo di esso Spinoza o di Amedeo Fichte. Se poi, dicendo io sono, si vuole esprimere l'esistenza solamente, il detto di Cartesio si riduce questa proposizione: il mio pensiero è una cosa esistente; la qual sentenza è verissima; ma, oltrechè in tal caso l'espressione è inesatta, come fu avvertito dal Vico, ella non può esprimere un vero, nè un fatto primitivo. Non un vero; perchè il solo vero primitivo è questo: l'Ente è. Non un fatto; perchè il solo fatto primitivo è la creazione: l'Ente crea l'esistente, ovvero l'esistente è nell' Ente e dall' Ente. E si noti che Cartesio piglia promiscuamente anche le idee di vero e di fatto

1 Vedi la nota 44 di questo volume.

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