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per via dell' analisi e dell' astrazione. Ma quando si tratta della cognizione intuitiva, il pronunziato contrario che tutti i giudizi sono sintetici, salvo il primo giudizio della formola ideale, è affatto inconcusso. I giudizi sintetici a priori, secondo la nostra dottrina, debbono distinguersi in due classi. Gli uni riguardano l'Ente solo, e constano unicamente di concetti assoluti; gli altri si riferiscono all' esistenza nelle sue attinenze coll' Ente, e si compongono d'idee assolute e relative nello stesso tempo. Così, verbigrazia, questi giudizi: l'Ente è uno, l'Ente è eterno, sono sintetici assoluti; laddove i seguenti: l'esistente è nell' Ente, l'esistente è dall' Ente sono sintetici relativi. I giudizi delle due classi sono del pari apodittici; ma la necessità degli uni è assoluta, e deriva da loro stessi; quella degli altri è relativa, e nasce da un giudizio superiore dell' altra specie. Per tal modo i giudizi sintetici relativi sono necessari, in quanto ciascuno di essi inchiude un giudizio assoluto.

I psicologi, che rigettano i giudizi sintetici a priori, son mossi a farlo dal sentirsi impotenti a dichiarare come in tali giudizi il soggetto si unisca col predicato. Conciossiachè il predicato o si contiene nel soggetto, o vi manca. Se ci si contiene; il giudizio non è sintetico, ma analitico. Se non vi si contiene; o l'unione del soggetto col predicato è subbiettiva, o fortuita, o veramente obbiettiva. Se altri afferma ch'ella sia subbiettiva e risulti dalla struttura dello spirito, egli riesce al dubbio relativo della scuola critica. Se invece si tien per fortuita, cioè per effetto dell' abitudine, lo scetticismo assoluto di Davide Hume è inevitabile. Se poi si reputa obbiettiva, bisogna mostrare, in che risegga. Ciò non fu fatto, nè tentato finora, e questa lacuna spiega la cattiva

fortuna di tal sorta di giudizi. E non si è potuto fare, perchè si volle sempre procedere psicologicamente, e secondo tali ordini, che rendono la quistione insolubile. La chiave di essa può essere somministrata dal solo ontologismo.

Abbiamo testè veduto che i concetti assoluti hanno una semplice dipendenza logica dall' idea dell' Ente, e che lo spirito umano non può vedere la ragione intima di questa dipendenza, perchè ignora l'essenza dell' Ente. Ora i giudizi assoluti sono tutti composti dell' idea principe assoluta, cioè della nozion dell' Ente, che ne è il soggetto, e di un altro concetto assoluto, che ne è il predicato. Tali sono i giudizi: l'Ente è uno, l'Ente è immenso, e simili. Ora, siccome in questo caso non ci è dato di scorgere altro, che una semplice dipendenza logica, cioè una inseparabilità assoluta fra il soggetto e il predicato, senza penetrarne la ragione recondita, perciò non siamo in grado di spiegar questa sintesi. Ondechè l'ontologista non può meglio del psicologista dare una dichiarazione positiva e plausibile di questa specie di giudicati. Può bensi farlo negativamente; ciò che non è in balia del psicologista. E li chiarisce in modo negativo, facendo vedere che questa sintesi fra il soggetto e il predicato dee essere arcana, atteso la nostra ignoranza circa l'essenza dell' Ente, cioè del soggetto. Se noi conoscessimo questa essenza, ci troveremmo dentro tutto l'apodittico, i vari concetti razionali si riunirebbero in un solo concetto semplicissimo, alla sintesi succederebbe l'identità perfetta, e il giudizio tornerebbe analitico, come quello, che risulta dal primo membro della formola. Iddio infatti abbraccia ogni cosa con un solo intuito immanente, e con una idea unica, che è verso la divina mente ciò che è rispetto alla nostra il giudizio analitico. Ma

siccome ignoriamo la divina essenza, non ci è dato di apprendere il vero nella sua fonte, e l'Uno piglia agli occhi nostri l'aspetto del moltiplice. Laonde, se altri chiedesse, come mai l'Uno reale può dare accesso al moltiplice ideale, si risponderebbe acconciamente che l'Uno reale è l'essenza dell' Ente, la cui intima natura non è da noi conosciuta, se non in modo imperfettissimo. L' ontologismo adunque spiega sufficientemente la struttura dei giudizi sintetici assoluti, appurando da un canto la connessione logica del soggetto col predicato, e porgendo dall' altro canto una idonea ragione di ciò che vi si trova d'incomprensibile.

Quanto poi ai giudizi sintetici relativi, che nascono dall' unione di un concetto relativo con un assoluto, la sintesi, che corre fra il soggetto e il predicato, è quella medesima, che passa fra l'Ente e l'esistente, cioè la creazione. Però in cotali giudizi, la sintesi reale fra i due termini essendo l'atto creativo, la sintesi intellettiva, che vi corrisponde, e forma il giudizio, è l'intuito di tale atto. E veramente il giudizio sintetico a priori è composto di un attributo, che non è nel soggetto, e tuttavia si congiunge necessariamente con esso. Il soggetto adunque produce l'attributo, benchè non lo contenga; ora, che cos'è produrre una cosa, senza contenerla precedentemente, se non crearla? Dunque nel giudizio sintetico relativo il soggetto del giudizio crea il predicato, come l'Ente crea l'esistente. Così l'intuito dell' atto creativo dichiara compitamente questa classe di giudizi razionali; i quali ripugnerebbero, secondo le teoriche degli emanatisti e de' panteisti. La dualità psicologica, onde si compone il giudizio, si riduce alla dualità ontologica, espressa dalla formola ideale. Il giudizio sintetico relativo rappresenta

il primo fatto, come il giudizio sintetico assoluto significa il primo vero.

Si scorge dalle cose dette che tutti i giudizi sintetici relativi si riducono alla formola ideale: l'Ente crea le esistenze, e inchiudono, com'essa, il primo giudizio assoluto: l'Ente è. Gli assiomi di sostanza e di causa sono semplici applicazioni particolari della formola ideale, e ne traggono il loro valore assoluto e apodittico. Infatti, benchè tali assiomi, ridotti a una forma secondaria, riflessa e psicologica, si esprimano in questi termini: ogni qualità dee aderire a una sostanza, ogni effetto dee avere una causa, la loro espressione primitiva, intuitiva e ontologica corre a rovescio, e può significarsi dicendo, che la sostanza sostiene la qualità, la causa produce l'effetto; dove si scorge chiaramente ch'essi dipendono dal fatto ideale della creazione. Non entro a parlare dei giudizi sintetici, composti di concetti meramente relativi, senz'alcuno elemento assoluto, perchè tali giudizi non sono mai e non possono essere a priori.

Il raziocinio è una serie di giudizi sintetici connessi gli uni cogli altri; i quali sono a priori ogni qualvolta il discorso ha un valor metafisico. Ora una serie di giudici sintetici a priori importa fuori dello spirito umano una sintesi obbiettiva, cioè una serie di dualità scambievolmente connesse; la quale non può rinchiudersi nel solo giro delle esistenze, ma dee intrecciarsi coi concetti ideali; altrimenti non avrebbe un rigore assoluto e metafisico. Se il raziocinio consta soltanto di concetti assoluti, la sintesi obbiettiva, a cui corrisponde, è l'Idea, cioè la nozione dell'Ente colle sue apodittiche dipendenze. Ma se i concetti assoluti sono misti ai relativi, la sin

tesi obbiettiva è la creazione. Il fatto ideale della creazione è dunque necessariamente richiesto per ispiegare i ragionamenti misti, quali sono tutti i discorsi umani, ogni qualvolta non si riferiscano alla mera considerazione dell'Ente in sè stesso. Imperò il progresso discorsivo, cioè la concatenazione di una idea coll' altra in una seguenza di giudizi misti e sintetici a priori, è il successivo conoscimento, che l'uomo ha dell' atto creativo e del progresso cosmico. Secondo la quale intenzione, noi scrivemmo altrove che « il progresso, che la causa << efficiente fa dal principio sino al fine nello svolgimento « successivo della creazione, corrisponde al processo intel« lettivo, che fa la mente dai primi principii sino alle ultime «< conseguenze nella esplicazione successiva della scienza, e «che si chiama discorso. Per tal guisa il ragionamento dell' << uomo è parallelo ed analogo al progresso della natura, e la logica, o sia la sillogistica, si riscontra colla cosmologia 1. »

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Non so, se il lettore avrà avuta pazienza di tenermi dietro in questa lunga discussione instituita sopra verità, o come altri dicono, sottigliezze e astruserie metafisiche. Le quali non è maraviglia che siano aride e spiacevoli per gl'ingegni non atti a questo genere di studi, come quelle che poco si affanno alla tempra del loro acume; e niuno può esser biasimato di non gradire ciò che non intende. Ma elle sono bellissime e dilettevolissime per chi si leva alla loro altezza; giacchè non v'ha cosa più bella e sublime, nè più confortevole e conforme ai generosi istinti, che la contemplazione del vero ideale. Quando poi alle speculazioni si aggiunge qualche novità, che non detragga al vero, se ne accresce il diletto, che esse porgono; perchè il

1 Teor. del Sorr., not. 44, p. 406.

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