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Nè credo che basti a spiegare la varietà dei concetti l'introdurre la varietà dei sensibili, e il loro accozzamento con quell'intelligibile unico; imperocchè molti sensibili non ci potranno mai dare altro, che un solo intelligibile. Ora ella è cosa di fatto che l'uomo possiede un gran numero d'intelligibili, i quali svariano onninamente dai sensibili, con cui si accozzano. Così, verbigrazia, i colori, i suoni, gli odori, e simili, sono sensibili; ma le idee di qualità, di effetto, e somiglianti, sono nozioni intellettive, nelle quali si trova un elemento mentale, che è tanto distinto dall'impressione sensibile, quanto dal concetto intelligibile dell' ente possibile e generico. Secondo il Rosmini, l'idea di sostanza è la relazione dell'ente verso le qualità, come l'idea di causa è la relazione dell'ente verso gli effetti. Io lo concedo, se sotto il nome di qualità e di effetti s'intendono sensibili misti ad intelligibili; ma se si vogliono significare meri sensibili, non che poter comprendere la prefata asserzione, non veggo a tal ragguaglio nè anco in che modo le qualità si distinguano dagli effetti. Se il concetto dell'ente è l'unico intelligibile, e quasi il prisma interposto fra la mente ei sensibili, che vengono per esso convertiti in idee, io non so più capire, come le idee nate da tal connubio siano molte, e non una sola; nè come si abbiano, per esempio, i concetti di sostanza, causa, qualità, effetto, così distinti e spiccati gli uni dagli altri, che qualunque sforzo d'ingegno non può ridurli ad un solo. Egli è vero, che la varietà dei sensibili può tuttavia diversificare i concetti sensatamente; ma la differenza, che passa fra le varie idee, non che essere solo sensibile, è sovrattutto intellettuale. Mi dichiaro con un esempio. Il divario, che corre fra il rosso e l'azzurro, fra il caldo e il freddo, fra il molle e il duro, ovvero fra un suono e un colore, un gusto e un olezzo, è

schiettamente sensibile, e si può benissimo comprendere, ancorché l'intelligibile sia unico. Ma la differenza, che distingue la qualità e l'effetto, il difuori e il didentro, il prima e il dopo, e via discorrendo, non è di questa data; poichè v'ha fra loro una discrepanza intellettiva, consistente in certe relazioni, che sovrastando al senso, non si sentono, ma s'intendono. Infatti, se io chieggo, perchè la qualità differisca dall'effetto, mi si può forse rispondere che tal divario è come quello, che distingue il bianco dal nero, il suono grave dall' acuto, e l'impressione tangibile dalla visiva? No certamente. Nel secondo caso la varietà è meramente sensibile, laddove nel primo è intellettiva. Egli è dunque chiaro che questo divario non può essere dato dal senso, nè generato dall'idea dell'ente, che è sempre la stessa.

Se dalla sfera delle cose sensibili passiamo a un ordine superiore, l'impossibilità della generazione ideale ci parrà ancor più chiara. Cosi, esempigrazia, noi abbiamo le idee di unità, d'infinito, di eterno, d'immenso, di santità e simili, le quali non si contengono in quella di ente semplicemente preso, benchè ne siano indivise e inseparabili. L'inseparabilità non è la medesimezza, poichè non esclude la distinzione almeno mentale. L'Ente, qual ci è dato dall'intuito, è certamente uno, infinito, eterno, immenso, santo, e dotato di tutte quelle perfezioni, che chiamansi apodittiche, morali e metafisiche, perchè, al parer nostro, è un vero concreto, che racchiude una sintesi ideale; ma ciascuno di que'concetti è tuttavia distinto intellettualmente dall' idea dell' ente astratto, possibile, e schiettamente preso, a tenor del Rosmini. Anzi io stimo che l'idea medesima dell' Ente concreto sia mentalmente distinta dai concetti delle sue varie perfezioni, e questi pure

si distinguan fra loro, benchè gli uni e gli altri siano indisgiunti. Il concetto dell'Ente è il centro, in cui si appuntano, quasi raggi, le altre nozioni, e a cui esse rispondono, quasi settori di un circolo immenso, o lati di un poligono infinito. Esso è semplicissimo, e tuttavia riunito indissolubilmente una moltitudine di concetti, che si accozzano in una perfetta unità obbiettiva, per forma, che la moltiplicità non ha luogo, fuori del pensiero nostro e delle attinenze esteriori dell'Ente medesimo. Se si piglia il concetto dell' Ente col corredo delle nozioni, che necessariamente l'accompagnano, queste nozioni se ne possono dedurre logicamente, poichè vi son già comprese dalla mente contemplatrice, e in tal caso si opera sopra una idea composta, e non sopra una idea semplice; il che non venne avvertito dai Rosminiani. Se non che, anche in questa occorrenza, sarebbe improprio il dire che le idee dedotte si generano dall' idea complessa; trattandosi manifestamente di semplice analisi, e di disgregazione, non di generazione.

Il concetto dell' ente concreto od astratto, reale o possibile, non genera adunque gli altri concetti, parlando con proprietà di termini. Tuttavia egli è vero che li produce in qualche altro modo; giacchè tutte le idee presuppongono quella dell' Ente, e s' inviscerano in essa. Egli è impossibile il pensare a qualunque cosa, senza avere il concetto dell' Ente; laddove si può pensare all' ente semplicemente preso, senza possedere alcun altro concetto. L'Ente è intelligibile per sè stesso; dove che gli altri concetti, eziandio razionali, s'intendono in virtù dell' Ente. Il Rosmini ha dunque ragione di considerare in questo senso la nozione dell' ente, come l'origine di tutte le nostre cognizioni; e l'avere aggiunta

nuova luce a questa verità antica ed importantissima gli assegna un alto seggio nella schiera più onorata dei psicologi.

Esclusa la generazione, e ammessa una produzione qualunque, rimane a cercare, qual sia in ispecie questa cotal produzione, per cui tutti i concetti derivano da quello dell' Ente, senza esserne generati. Io potrei procedere in questa investigazione, cominciando a fare un' accurata analisi dei singoli concetti, e poscia dimostrando per via di sintesi, come ciascuno di essi si connetta colla nozione fondamentale dell' Ente; ma questo lavoro, che farò forse a suo tempo, uscirebbe affatto dai limiti della presente Introduzione. Per ora mi contenterò di chiarire che la quistione della origine delle idee dipende dalla formola ideale, e non si può risolvere pienamente, senza di essa. Esporrò adunque in modo sommario il risultato delle mie ricerche, lasciando al lettore il carico di applicarlo partitamente, e verificarlo nei principali concetti, che formano il patrimonio della mente umana.

Gl'intelligibili si vogliono distinguere in due classi, l'una delle quali contiene i concetti, che io chiamerò necessarii e assoluti, perchè riguardano l'Ente solo, l'altra abbraccia i concetti contingenti e relativi, che concernono le esistenze. Considero per ora questi intelligibili in sè stessi : non gli esamino, rispetto alla facoltà conoscitiva dell' uomo, nè cerco se essi siano appresi da una facoltà sola, o da più facoltà operanti simultaneamente o successivamente, come sarebbero l'intelletto e la ragione dei moderni psicologi di Germania. Questa sarà materia di un altro discorso. Per somministrare un fondamento legittimo alla distinzione in

trodotta fra queste due schiere di concetti, egli basta il considerarli in sè stessi, e ragguagliarli fra loro, essendo essi differentissimi, e contrassegnati da due note affatto contrarie, quali sono il necessario e il contingente. Ciascuna di queste due schiere si rannoda intorno a un concetto unico, principale, fondamentale, predominante; il quale per la prima classe è il concetto di Ente, per la seconda quello di esistenza. Abbiamo già esaminata a sufficienza la natura di queste due idee madri: ora per trovar l'origine delle altre, la discussione si può ridurre a tre quesiti: 1o in che modo tutti i concetti assoluti procedono dall' idea dell' Ente? 2o In che modo tutti i concetti relativi si collegano colla stessa idea? 3° Siccome le nozioni relative si rannodano intorno a quella di esistenza, che ha fra di esse la maggioranza, come l'idea dell' Ente primeggia fra i concetti assoluti, si chiede altresì, se i concetti relativi nascano in qualche guisa dall' idea di esistenza, quasi da anello intermedio fra loro e l'Ente? E in caso, che ne nascano, si domanda in che modo si faccia questa derivazione?

Primo quesito. In che modo tutti i concetti assoluti procedono dall' idea dell' Ente? Rammenti il lettore che, sotto il nome di Ente, io non intendo l'ente astratto e possibile, ma l'Ente reale e assoluto, quale si affaccia all' apprensione immediata dell' intuito. L'Ente è intelligibile per sè stesso. Ora egli è impossibile allo spirito umano il pensare l'intelligibile, senza credere insieme alla realtà del sovrintelligibile, senza essere intimamente persuaso che la realtà si stende assai più oltre che l'intelligibile, a rispetto nostro. L'elemento obbiettivo, che riguardo a noi porta il nome di sovrintelligibile, in ordine all'Ente dicesi essenza. Chiamo essenza semplice

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