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oggetto, infinito e assoluto, pone, anzi crea, il mondo, e col mondo sè stesso, come soggetto circoscritto e determinato. Questa formola mirabilmente assurda diventa vera, se si purga da ogni vestigio di emanatismo e di panteismo, e si applica all' Ente, che pone in effetto coll' atto creativo le esistenze, cioè il mondo e lo spirito umano. Ora questo, emergendo dall' azione creatrice, e traendone la virtù intuitiva, dee cominciare ad esercitarla, movendo dal principio producente, cioè dall' Ente stesso, e trovando con sè medesimo le altre cose create, mediante il concetto di creazione; cosicchè in quel primo intuito egli discende da Dio a sè, in vece di tenere il cammino contrario. E siccome egli esce dall' Ente, non in quanto esso Ente è chiuso in sè stesso, ma in quanto erumpe nell' atto creativo, e l'intuito umano è un effetto di questo atto, egli dee contemplar l'Ente nell' azione creatrice, e apprendere le cose create e sè medesimo, non già come fatte e adagiate nella prima Cagione, ma bensi nell'atto, con cui si stanno facendo, e, per così dire, nel transito loro dal nulla all'esistenza. Insomma l'Ente è contemplato dall' intuito, come creante, perchè, come tale, forma l'intuito le esistenze vengono avvertite nell' attimo, in cui cominciano, e come cosa viva, perchè tutti i concetti primitivi sono concreti e viventi, non astratti nè morti, apparendoci in moto e non in quiete; e in questa loro vita consiste l'organismo ideale, di cui sono dotati. L'Ente si mostra, come intelligente, intelligibile e attivo, e le esistenze ci si appresentano in quel punto medesimo, che il fiat dell' Onnipotente le chiama dal nulla alla realtà e alla vita. Il Malebranche, affermando che la conservazione del mondo è una creazion continuata, non penetrò tutto il senso di questa sublime sentenza, la quale si può tradurre dicendo, che

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la percezione diretta, che l'uomo ha del mondo e di sè stesso, è l'intuito assiduo di una continua creazione.

L'analisi, che stò facendo della sintesi ideale, parrà ancor più chiara, se si ragguaglia coi concetti del necessario e del contingente, che occorrono a ogni poco nelle speculazioni metafisiche. Credesi comunemente che il contingente si percepisca per sè stesso, e che solo per opera del discorso si abbia notizia del necessario. Se ciò fosse vero, ne seguirebbe che l'uomo conosce il perfetto e l'infinito in virtù dell' imperfetto e del finito, e il positivo per via del negativo; il che oggi da tutti i filosofi di qualche nervo si tiene per assurdo. Che cos'è infatti il contingente, se non quello, a cui manca la ragione intrinseca della propria sussistenza? Onde tutti consentono che nell' ordine delle cose reali non può sussistere, se non dopo il necessario, e in virtù di esso. Ma se la sua esistenza ripugna, fuori di questa condizione, come potrà esser conosciuto, prima che si conosca esso necessario? Si risponde, potersi, perchè sussiste. Bene, concediamolo per un momento; ma certo non ci si vorrà negare che nel contingente si percepisce una cosa, la quale non ha in sè la ragione della sua esistenza. Il difetto di una ragione intrinseca e sufficiente per aver l'essere è il contrassegno del contingente, come tale; chè altrimenti non sarebbe contingente. Ma qual è la ragione dell' esistenza? Il necessario, senza fallo. Dunque non si può conoscere il contingente, senza conoscere che non è necessario, che la natura del necessario alla contingenza ripugna. Ma io chieggo, se si possa sapere che una cosa discorda da un' altra, senza paragonarla con essa; e se si può fare un paragone con ciò che non si conosce. Dunque egli è manifesto che la cogni

zione del contingente presuppone quella del necessario, e che all' incontro la notizia del necessario può stare, senza quella del contingente. Di che sèguita che l'idea dell' Ente, cioè del necessario, precede, e che l'intuito ci rivela le cose esistenti, cioè dotate di contingenza, in quanto vengono prodotte dall' Ente, conforme al tenore del processo ontologico (46).

Chieggo in oltre, in che consista la necessità metafisica. Ella certo non emerge dallo spirito nostro, come afferma Emanuele Kant, essendo supremamente obbiettiva, e non che mostrarsi cieca e fatale, venendo sempre accompagnata da una piena evidenza. La necessità è la ragione intrinseca della realtà; onde si dice che una cosa è necessaria, quando contiene in sè stessa la ragione della realtà propria. Ma che cos'è questa ragione, se non l'intelligibilità intrinseca della cosa? Lo stesso vocabolo di ragione allude alla natura dell' intelligibile. Si chiamino a rassegna tutte le verità necessarie, e si vedrà che elle sono tali, perchè intelligibili e splendide per sè stesse. Si può dunque definire il necessario ciò che è intelligibile per sè medesimo; e il contingente ciò che non ha in sè stesso la causa della intelligibilità propria. Ma niente può essere intelligibile per sè, se non l'Intelligibile stesso, cioè quello, che ha l'intelligibilità per essenza; come nessun corpo, fuori della luce, può esser luminoso di sua propria natura. Ora tale mostrandosi l'Ente, le esistenze non possono essere intelligibili, cioè pensabili, senza di esso; e siccome le esistenze sono il contingente, e l'Ente il necessario, ciascun vede quel che ne segua. Arrogi che il necessario è l'Intelligibile assoluto, nello stesso modo che l'assurdo assoluto è ciò che non si può intendere, rimovendo da sè medesimo l'intelligibilità di ogni sorta. Il possibile è l'intelligibile

considerato in astratto, e rispetto al pensiero nostro, non in sè stesso il contingente è ciò che partecipa dell' intelligibile, senza esserlo. Onde si vede che il contingente e il possibile presuppongono del pari la conoscenza del necessario, cioè dell' Intelligibile assoluto, e sono, senza di esso, incomprensibili e ripugnanti.

Posto che l'Ente sia l'Intelligibile assoluto, si scorge, con che finezza e profondità di accorgimento, Platone abbia affermato che Iddio è la misura di ogni cosa, contraddicendo a Protagora, che tal misura collocava nello spirito umano 1. L'Ente è in effetto il supremo criterio o giudicatorio del vero, e il sovrano assioma di tutto lo scibile, perchè è l'intelligibilità e l'evidenza intrinseca delle cose. La veracità dell' Ente è la sua entità medesima. Ma in qual guisa l'intelligibilità divina si comunica alle esistenze? Per mezzo della creazione. L'intelligibile, come Causa prima, riduce all' atto le intellezioni sue proprie, rappresentative degli ordini contingenti, e la Causa prima, come Intelligibile, fa che gli effetti da noi vengano conosciuti. La cognizione adunque del contingente presuppone l'intuito del Necessario, nè più nè meno, che la creazione delle esistenze arguisce l'azione dell' Ente, e le intellezioni importano l'Intelligibile (47).

Prima di proseguir la dichiarazione della formola ideale, non sarà fuor di proposito il risolvere brevemente alcune obbiezioni, che forse si saranno già affacciate allo spirito di chi legge. Tu affermi, dirà taluno, la realtà delle esistenze sulla fede di una percezione immediata, e premi, per

1 PLAT., De leg. IV, edit. Bipont., 1785, tom. VIII, p. 183, 186.

questo rispetto, le orme della scuola scozzese. Ma ciò non basta; bisogna provarla. Tu dici che nell' intuito immediato lo spirito contempla l'Ente creante, e ammetti la creazione, come un fatto primitivo. Ciò ancora non ci contenta, e ti è d'uopo dimostrare, qualmente la creazione delle esistenze succeda. Altrimenti si potrà sempre volgere in dubbio la realtà delle cose create, e abbracciare l'ipotesi degl' idealisti, di cui non hai ancora chiarita l'insussistenza e la falsità.

Colui che movesse seriamente queste opposizioni, (sia detto con sua pace,) non saprebbe di che si tratta. Imperocchè egli chiederebbe una cosa contraddittoria, cioè la dimostrazione a priori di un fenomeno contingente, che lascerebbe di essere contingente, se dimostrabil fosse a rigor di termini. Il che tanto è vero, che se un filosofo riuscisse a provare dimostrativamente la realtà delle esistenze, chiarirebbe con ciò solo che le esistenze non sono; imperocchè le esistenze dimostrate sarebbero un' appartenenza intrinseca dell' Ente e cesserebbero di essere esistenze. I fatti si percepiscono, non si dimostrano. L'evidenza e certezza fisica non è la metafisica questa versa negli assiomi o nelle dimostrazioni; quella nella sola esperienza. Si può pensare che le esistenze non siano? Si certamente; perchè nel caso contrario non sarebbero esistenze. Ma benchè ciò si possa pensare, tuttavia siamo certi che le esistenze sono reali. E perchè? Forsechè il discorso ci costringe ad ammetterle? No certo; ma perchè ne abbiamo la percezione immediata. L'Ente crea liberamente le cose contingenti, le quali altrimenti sarebbero necessarie. La creazione è bensì un fatto a priori, ma non un vero a priori noi la conosciamo, perchè ne abbiamo l'intuito; ma non ci è dato di provarla dimostrativamente, per

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