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e di un fatto divino. Pel primo l'Ente dice: io sono. Pel secondo, egli pronunzia: io creo; giacchè il pensare le cose, come reali, è per Dio effettualmente un crearle. Entrambi sono obbiettivi; ma l'uno è necessario, l'altro libero e contingente. L'uno è solamente intrinseco all' Ente, l'altro si riferisce ad un termine estrinseco. L'uno è un mero giudizio speculativo, per cui l'Ente afferma sè stesso; l'altro è un giudizio pratico, un giudizio effettuato al di fuori, per cui l'Ente pone l'esistenza universale. Amendue derivano dall' Intelligibile, perchè l'Intelligibile è l'Ente; ma il primo procede dall' Intelligibile, in quanto intende liberamente sè stesso; il secondo dall' Intelligibile, in quanto intende e vuole liberamente un fatto esteriore. Il giudizio divino è la base della scienza, e il fatto divino, della natura. Perciò la filosofia in virtù di questo supremo giudicato, è cosa divina, come divine sono la psicologia e la fisica, in virtù dell'operato: il giudizio porge la materia e il soggetto delle scienze speculative o filosofiche; il fatto, delle scienze, che fisiche o naturali si appellano. E tutta l'enciclopedia umana ha il suo fondamento sopra una enciclopedia divina, cioè sopra una formola primitiva, ideale o reale, che ci vien porta da Dio, ed è una vera rivelazione. Nelle scienze filosofiche la formola fondamentale ne viene somministrata dal giudizio divino, che è una produzione d'idee: nelle fisiche, dal grande e divino esperimento della creazione, che è una rivelazione di cose. La prima formola ci dà l'Intelligibile, la seconda, il sensibile: l'una esprime l'Ente semplicemente preso, l'altra, come causa creatrice lo rappresenta. Le scienze matematiche, come vedremo più innanzi, tengono un luogo di mezzo fra quelle due formole. Finalmente giova avvertire che il giudizio e il fatto divino, doppia base del reale e dello scibile,

arguiseono la personalità dell' Ente; il che mi contento di accennare, come un vero di gran rilievo, che mi tornerà forse in acconcio di esporre e dichiarare altrove.

La vera formola ideale, suprema base di tutto lo scibile, della quale andavamo in traccia, può dunque essere enunciata nei seguenti termini: l'Ente crea le esistenze (45). In questa proposizione l'Idea è espressa dalla nozione di Ente creante, la quale inchiude i concetti di esistenza e di creazione; onde tali due concetti appartengono indirettamente all' Idea, e agli elementi integrali della formola, che l'esprime. L'idea dell' Ente è il principio e il centro organico della formola; quella di creazione ne è la condizione organica i tre concetti riuniti insieme formano l'organismo ideale. Senza l'idea di creazione, verrebbe meno il nesso fra gli altri due concetti, e gli estremi della formola insieme si confonderebbero, come avvenne presso i popoli e i filosofi Gentili, che smarrita quella nozione rilevantissima, perturbarono più o meno tutto l'ordine delle verità razio

nali.

Come il soggetto della formola ideale, (l'Ente,) contiene implicitamente il giudizio : l'Ente è, così il predicato, (creante le esistenze,) contiene un altro giudizio : le esistenze sono nell' Ente. Imperocchè, siccome col predicato si afferma esplicitamente che le esistenze sono dall' Ente, come da Causa prima, ci si dichiara altresì per modo implicito che le esistenze sono nell' Ente, come in Sostanza prima e assoluta. Ma se le esistenze sono nell' Ente, come in Sostanza prima, perchè effetti della Causa prima, elle sono in sè, e dipendono da sè, come sostanze e cause seconde, subordinatamente alla Sos

tanza e alla Causa prima e creatrice. La confusione della Sostanza e della Causa prima colle sostanze colle cause seconde, diede origine all' emanatismo, al panteismo, e a tutti gli altri sistemi eterodossi, che ne provengono.

La formola esprime eziandio che l'esistente trae dall' Ente, onde procede, tutta la realtà e sussistenza, di cui è privilegiato. Donde segue, che siccome ontologicamente l'esistente non può star senza l'Ente, benchè ne sia sostanzialmente distinto, cosi psicologicamente non è possibile il pensar l'esistente, senza l'Ente stesso, benchè i due termini si distinguano nel concetto loro. Questa simultaneità e compenetrazione reale e mentale dell' Ente e dell' esistente, che però non ne annulla la distinzion sostantiva, nè l'infinito intervallo che corre fra loro, costituisce l'entità delle esistenze, pigliando questa frase nel senso proprio e preciso delle voci che la compongono. L'Ente e le esistenze sono due cose e due idee, divise e congiunte, distinte e inseparabili. La quale inseparabilità reale ed intellettiva dell' Ente e dell' esistente è tale, che nel linguaggio eziandio dei parlatori più accurati si scambiano a ogni poco i due vocaboli e si confondono i due concetti, come abbiamo avvertito dianzi. Ma purchè abbiasi l'occhio alla differenza dei concetti, l'uso di sinonimar le due voci può conferire a mostrarne le attinenze reciproche. Cosi quando si dice che Iddio esiste, si vuol significare che Iddio è la somma realtà in sè stesso, cioè la realtà necessaria, e la fonte di quella realtà finita e contingente, che si rinviene nelle creature. E quando si afferma che l'uomo è, si dà ad intendere che la creatura è nel Creatore, l'esistente nell' Ente, e riceve da lui quella realtà limitata e imperfetta, porta il nome di esistenza.

che

La formola contiene un vero ideale, e un fatto ideale. II vero ideale, espresso dal giudizio divino, è la realtà dell' Ente. Il fatto ideale è la produzione divina delle esistenze, e chiamasi ideale, benchè sia un fatto, perchè è divino e dall' Ente procede. Il fatto ideale nasce dal vero ideale, per mezzo della creazione, che forma il passaggio dall' Ente all' esistente, ed essendo l'anello interposto tra il vero ed il fatto, e il loro legame, si accosta ai due estremi e partecipa della natura di entrambi. La cognizione intuitiva, che noi abbiamo del fatto ideale, è dai sensibili accompagnata. La sintesi tra il fatto ideale della esistenza e i sensibili dà origine alla esperienza, la quale, secondo Aristotile, è la conoscenza degl' individui. E veramente la notizia degl' individui, come vedremo in breve, ci viene somministrata dalla creazione.

La dottrina, che stò esponendo, è così aliena dagli ordini della filosofia presente, che troverà senza dubbio molti contraddittori. Fra le altre cose, che mi si opporranno, si dirà forse che l'uomo incomincia dall' idea di esistenza, e che quindi sale discorrendo all' idea dell' Ente, invece di tenere il processo contrario. Il che è verissimo, se si parla del progresso riflessivo: il quale incominciando da ciò che ci ferisce maggiormente l'animo, ed è termine immediato della riflessione psicologica, quali sono i sensibili, è naturale che passi dall' esistenza all' Ente, e non e converso; onde l'ultimo termine dell' ordine intuitivo diventa il primo dell'ordine riflessivo. Questa traslocazione indusse in errore i psicologisti; i quali non avvertirono che il processo riflessivo sarebbe impossibile, se non fosse preceduto da un processo intuitivo, conforme a quello, che abbiamo descritto. In prova di che, si noti che il concetto, e lo stesso vocabolo di

esistenza inchiudono ed esprimono una relazione verso l'Ente. Or come si potrebbe apprendere questa relazione, se l'Ente già non si conoscesse, e la dipendenza dell' esistente dall' Ente non fosse una conseguenza di questa notizia? La stessa voce exsistentia, (ex eo, quod per se et a se subsistit,) quasi ex ente, presuppone che l'idea di esistenza, non solo non sia isolata, ma derivi psicologicamente dall' altro concetto, come la cosa rappresentata deriva dall' Ente. L'idea di esistenza non potrebbe precedere nell' intuito quella dell' Ente, o esserne indipendente, senza contraddizione. Si vede adunque che noi non possiamo cogliere l'esistenza, se non in quanto è creata dall' Ente; e però lo spirito nel processo immanente dell' intuito trapassa dall' Ente all' esistenza, per mezzo dell' anello intermedio della creazione. E ciò succede, perchè l'Ente gli si rappresenta, come operante e creatore; e quindi, benchè fermo e immutabile in sè stesso, come costituito in moto estrinsecamente, ed esplicante il suo eterno valore di fuori e nel tempo, quasi che uscisse di quella attualità quieta, recondita e perenne, che privilegia la sua natura. A questa proprietà dell' Ente assoluto, che esce dai penetrali della sua essenza colla creazione, e all' intuito contemplativo che ne abbiamo, accennavano gli antichi Orientali quando distinguevano il Dio occulto, irrivelato, ineffabile, inescogitabile, dal Dio che si manifesta, e a questo solo porgevano gli omaggi e i sacrifici. La distinzione era empia. assurda ed infetta dalle fole dell' emanatismo e del panteismo; ma ella avea una radice metafisica nell' intuito primigenio, che ci rappresenta del pari colla Idea l'Ente infinito in sè stesso, e nella sua esterna attuazione finita e creatrice.

L'animo nostro, secondo Amedeo Fichte, essendo, come

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