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pure dee essere l'essenza della causa, e quindi anche l'essenza dell'atto causante, cioè della creazione; giacchè l'atto dell' Ente proviene dall' essenza. Il sovrintelligibile della creazione si rifonde in quello dell'Ente, e ne riproduce l'oscurità; non potendo noi concepire, come si possa fare una cosa dal nulla, perchè non possiamo comprendere l'essenza dell' Ente, e il modo intrinseco delle sue operazioni. Ma ciò che da un lato torna incomprensibile, dall'altro riesce chiarissimo; giacchè il cominciamento dell'esistenza è quello, che costituisce l'effetto, e la sua relazione verso la causa; onde non è possibile l'intendere menomamente il significato di questa voce effetto, (così frequente nel favellar comune degli uomini,) e di tutti i vocaboli, che in qualche modo esprimono l'azione, senza avere almeno una notizia confusa dell'atto creativo. Ma qual è l'essenza di questo atto? Qual è il modo, con cui l'Ente opera e dà principio a ciò che dianzi non esisteva? Qual è in somma la ragione intima della creazione? Lo spirito umano non può rispondere a queste domande; benchè la sua impotenza non derivi da una oscurità speciale dell'atto creativo, semplicemente preso, ma dalla sua relazione coll'essenza della causa creatrice. Il che tanto è vero, che la stessa oscurità si trova nel capire la sola efficienza dei fenomeni; giacchè la produzion dei fenomeni, o sia modi delle cose, è pure una vera creazione. Che se i panteisti e gli emanatisti ammettono questa creazione, benchè non la comprendano più dell'altra, ciò succede per due cagioni. L'una, che vi sono costretti dall' assioma di causalità, che verrebbe meno del tutto, se la creazione dei fenomeni si dichiarasse per impossibile, come quella delle sostanze. L'altra, che l'uomo ha in sè nel suo libero arbitrio, e fuori di sè, l'esempio e la prova di questa efficienza formatrice; onde, benchè

inetto a comprenderla, l'ammette, come un fatto sperimentale. Laddove egli non isperimenta l'efficienza delle sostanze, ma la conosce per opera della sola ragione, come un privilegio dell'Ente increato.

I filosofi Gentili trasandarono e dimenticarono il dogma della creazione, molti moderni lo impugnarono, e per evitar lo scoglio del mistero, ruppero in quello dell'assurdo, cioè nel panteismo. Ma ciò che prova, se non l'orgogliosa fiacchezza dello spirito umano? Se non che, questa verità non fu più infelice degli altri dogmi ideali; giacchè si trovano e si trovarono in ogni tempo dei sensisti e degli scettici, come dei panteisti. L'oscurità della creazione proviene da quella dell'Ente; onde, se i panteisti ripudiano la creazione, perchè è in parte oscura, gli scettici più logici negano l'Ente, perchè non è affatto chiaro. Egli è vero che, negando l'Ente, commettono il massimo dei paralogismi; ma ciò loro non rileva, perchè nel sovvertire il principio di ogni logica, in virtù della logica stessa, e nel toccare per diritto raziocinio il colmo dell'assurdo, consiste appunto il pregio sovrano dei Pirronici. Tutti i falsi sistemi di filosofia e di religione hanno in comune il torto di negare il chiaro in odio dell'oscuro, laddove il retto filosofare prescrive di ammetter l'oscuro, in grazia del chiaro, da cui è inseparabile. Anche gl'idealisti e i fatalisti negano la realtà de' corpi e del libero arbitrio, a causa dell'arcana loro natura. Oltrechè, v'ha una ragione particolare, per cui i filosofi, specialmente antichi, trascurarono il dogma della creazione, anzichè le altre parti della formola ideale; ed è, che la creazione è semplicemente un' attinenza, un nesso, una copula degli altri due termini; laddove questi esprimono una verità sostanziale. L'Ente e le

esistenze, sostanze permanenti, immediate allo spirito, quello radice di ogni conoscimento, queste soggette alla sensata apprensiva, non potevano così di leggieri occultarsi alla veduta; laddove egli è facile il non percepire distintamente, e l'alterare o negare riflessivamente l'atto creativo, che non è una sostanza spirituale o sensata, ma un modo immanente e semplicissimo. Che più? L'Idea stessa dell'Ente fu alterata più o meno da tutti i filosofi antichi e moderni estranei al Cristianesimo, e questa alterazione, come vedremo più innanzi, fu la causa principale, per cui oscurossi il concetto dell'azione creatrice.

L'Ente è adunque di necessità creatore, se è cagione delle cose. Ma è egli veramente cagione? Noi l'abbiamo supposto, non provato. Infatti, se si procede a posteriori, salendo dal concetto di esistenza all' idea di Ente, questo si dee bensi ammettere come causante, giacchè la sua azione è necessaria, per ispiegare l'altro concetto; se non che, in tal caso la causalità divina non si può concepire, come creatrice, ma solo come emanatrice, conforme a ciò che abbiamo dianzi avvertito. Se poi si discorre a priori, siccome non si há ancora il concetto riflessivo di esistenza, in che modo l'Ente assoluto potrà essere conosciuto, come cagione? L'idea dell' Ente reale non inchiude per sè stesso il concetto di causa agente al difuori; altrimenti, si dovrebbe concepire, come necessariamente operante : la creazione non sarebbe libera; e una creazione fatale conduce al panteismo. Infatti, se Iddio non crea liberamente, le sue fatture debbono essere necessarie e assolute, come Iddio stesso, nè possono distinguersi dalla natura divina. L'idea dell'Ente inchiude la potestà di causare, ma non l'atto causante, se quest'atto è libero nella sua

causa, e contingente ne' suoi effetti. Anzi la stessa potestà di creare non può essere conosciuta, se non dopo l'atto; perchè la potenza è un astratto conoscibile susseguentemente alla sua attualità, che ne è il concreto. Se adunque s'ignora l'atto creativo dell' Ente, (e s'ignora sempre da chi ripensa soltanto l'intuito dell' Ente schietto,) non si potrà pure conoscere la potenza, ch' egli ha di creare; e però non sembra più agevole l'ottenere a priori, che a posteriori, il concetto di creazione. Insomma, se la nozione di esistenza precede quella dell' Ente, non ci è verso di poter salire all'Ente creativo; e se all'incontro si ha solo l'idea dell'Ente schietto, senza quella di esistenza, come si potrà concepire esso Ente qual causa creatrice?

E pure io credo quest'ultimo progresso per sè facilissimo; nè ci veggo altra difficoltà, fuori di quella, che nasce dalle inveterate abitudini dello spirito nell'esercizio speculativo. Quando l'uomo si è avvezzo a un modo di vedere, e la sua mente si è per così dire connaturata a una speciale applicazione, e ad un riguardo particolare verso gli oggetti, egli è difficile, per non dire impossibile, che da lui si scorga ciò che si attiene ad una posizione diversa, anzi contraria; sovrattutto, se all'assuetudine propria si aggiunge coll'uso della età presente e vicina, il peso gravissimo della pratica universale, dell'autorità e dell' esempio. I filosofi più moderni, non eccettuati eziandio quelli che si credono ontologisti, si sono talmente avvezzi al psicologismo, che questo metodo si è volto loro in natura. Ora la situazione intellettiva, in cui il psicologismo colloca lo spirito, è buona e giusta per qualche verso; ma falsa per altri rispetti, e oso dire per li più importanti, perchè parziale, eccentrica, circoscritta da angustissimi limiti.

L'ontologista si trasporta nel centro e nel sommo dello scibile, coglie con una girata d'occhi tutte le attinenze delle cose, contemplandole dall' Ente, che è la cima e il mezzo dell'universo; laddove il psicologista, locato in un punto della circonferenza, può solamente squadrarne una piccola parte. Il primo è comparabile ad un viaggiatore, che per conoscere la pianta di una città e le sue pendici, sale sopra il pinnacolo dell' edifizio più centrale ed eccelso, donde può senza muoversi, girando solo il capo, vagheggiarla tutta : il secondo somiglia a chi per sortire lo stesso effetto si affacciasse un verone o ad una finestra, che scuopre una piccola parte del paese. Ora il problema della creazione, sul quale il psicologismo si mostra affatto incompetente, è sopra ogni altro rilevantissimo. D'altra parte, la risoluzione ontologica di esso, sola plausibile, si allontana talmente dal consueto ordine dello speculare, che forse anche i pratichi saranno inclinati a rigettarla, prima di averla per ogni verso considerata e sottoposta a un'accurata disamina. Per evitare, se è possibile, questo inconveniente, io vorrei con quella franchezza, che non è forse temeraria a chi ha meditato il suo tema, e ventilato lungamente da ogni canto, pregare i miei benigni lettori a recar su tal punto una speciale attenzione, ragguagliandolo col processo metodico dell' ontologismo, a cui si riferiscono più o meno direttamente le varie parti della presente opera.

A fine di chiarire il processo, con cui lo spirito ottiene l'idea di creazione, mi si conceda per un momento di fare una ipotesi, pigliando, come vero, ciò che si tratta di provare con questo discorso. Io suppongo che questa proposizione: l'Ente crea l'esistente, esprima una realtà. Rimoviamo

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