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denza e quella quiete, che è l'effetto di un conato operante dal difuori al didentro; il che chiaro apparisce, se la voce exsistere si ragguaglia colla voce insistere. Metaforicamente poi, la particola ex dà ad intendere l'azione, per cui la causa produce l'effetto; onde la voce esistere nel significato originalmente metaforico, che per noi è divenuto proprio, mette innanzi allo spirito l'assioma di causalità, nello stesso modo che le voci latine subsistere, substare, e il nostro sussistere rappresentano quello di sostanza.

Raccogliendo insieme tutti questi concetti indicati dalla voce esistenza, ed espressi, quando essa si adopera con proprietà maggiore, possiam dire che l'esistenza è la realtà propria di una sostanza attuale, prodotta da una sostanza distinta, che la contiene potenzialmente, in quanto è atta a produrla. Onde sèguita che l'idea di esistenza non può star da sè, e si riferisce necessariamente ad un' altra, verso la quale ha la stessa attinenza, che l'effetto verso la sua cagione. Ora questa idea madre non può essere, se non quella dell' Ente. Lo spirito, considerando l'esistenza, come un effetto, è costretto a cercare una causa; ma se questa causa un' altra esistenza, siccome ciò che esiste è un effetto, egli è costretto di risalire a un' altra cagion superiore, finchè ne trovi una tale, che sia mera causa, senza essere effetto; cioè, che sia causa assoluta e necessaria di sua natura. Nè il processo in infinito torna possibile, poichè per via di esso si avrebbe soltanto una successione infinita di effetti, senza causa alcuna; che è quanto dire di effetti, che non sarebbero effetti, non avendo causa, nè sarebbero cause, avendo ragione di effetti. Ora l'Ente puro, assoluto, necessario, è la sola causa veramente prima, perchè è la sola cosa, che sia per propria natura, e

non dipenda da alcun'altra. L'idea di esistenza è adunque inseparabile da quella dell' Ente, e ci si rappresenta, come un effetto, di cui l'Ente è la cagione.

In che modo l'esistenza è prodotta dall' Ente? Se si procede a posteriori, salendo dall' effetto alla cagione, si riesce di necessità a conchiudere che l'effetto è implicato nella causa, l'esistente nell' Ente, e che la produzione è una semplice esplicazione. Si dovrà dunque rigettar la creazione, e abbracciar la dottrina dei panteisti e degli emanatisti. Infatti, come mai si potrebbe ottenere un' altra conclusione, procedendo a posteriori? Chi cammina a questo modo, sale dall' effetto alla causa, e conchiude che la causa dee contenere in potenza l'effetto, perchè l'effetto è un atto, che presuppone la potenza. Ma la causa può contenere virtualmente l'effetto in due modi; comprendendo in sè stessa la sostanza di esso effetto, e avendo solo il potere di mutarne la forma, esplicandola ed estrinsecandola; ovvero traendo dal nulla, non solo la forma, ma la sostanza della cosa prodotta. Secondo il progresso a posteriori, non si può pervenire a conoscere la virtù creatrice; imperocchè, per giungere a questo termine, sarebbe d'uopo annullare l'effetto, prima di aver trovata la potenza, che lo produce. Ma se l'effetto si annulla mentalmente, non se ne può più rinvenir la cagione, giacchè manca la base, a cui si appoggia il discorso. Possiamo infatti rappresentarci il processo a posteriori, come una proiezione diritta B- -A, nella quale col punto B s'indica l'idea dell'esistenza, col punto A l'idea dell' Ente, e col tratto lineare il processo discorsivo dello spirito. Ora, se lo spirito vuol concepir l'Ente, come creatore, bisogna che prima di giungere al punto A, egli annulli col pensiero il

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punto B, che esprime l'esistenza; giacchè ciò che sussiste non può essere creato, in quanto già sussiste. Ma in primo luogo l'annullare il concetto, su cui gira tutto il discorso, è logicamente assurdo. In secondo luogo, se si annulla B prima di giungere ad A, come mai si potrà toccare la meta? Nè si dica, che anche annullando mentalmente B, la notizia preconcetta, che si ha di A, permette di continuare il ragionamento; perchè se si ha una notizia preconcetta di A, ciò mostra che si ragiona a priori, e non a posteriori. E veramente il discorso comune, con cui i filosofi e i teologi provano la creazione, non è a posteriori, se non in apparenza, e si fonda sovra una sintesi a priori, come tutti i discorsi di questo genere. Ma se in effetto si camminasse a posteriori, l'emanatismo e il panteismo sarebbero l'esito necessario del ragionamento, come farò vedere in luogo più opportuno.

In vece adunque di cercare, come l'esistente sia prodotto dall' Ente, bisogna stabilire come l'Ente produca l'esistente. (Questi due modi di parlare indicano la stessa ricerca, ma esprimono due metodi affatto contrarii.) La causalità è certamente il nesso, che congiunge insieme i due termini della proposizione, la cosa producente colla cosa prodotta. Benchè l'idea di causa sia suscettiva di varie modificazioni, egli è chiaro che quando si applica all' Ente, la si dee pigliare in modo schietto e assoluto, senza alcuna limitazione; altrimenti non potrebbe adattarsi a quest' uso. Ora la causa nel suo significato schietto e assoluto, è prima ed efficiente, e se non avesse queste due proprietà, non sarebbe veramente causa. Come prima, ella non è l'effetto di una causa anteriore; come efficiente, non produce la semplice forma o modalità de' suoi effetti, ma tutta la sostanzialità loro. Per

ciò, se rispetto all'effetto, come effetto, la causa, di cui parliamo, è veramente causa prima; riguardo all'effetto, come sostanza contingente, la Causa prima è eziandio Sostanza prima, cioè sostegno della sostanza, rispetto alla quale la cosa effettuata è sostanza seconda solamente. Ora la Causa prima e efficiente dee esser creatrice, perchè, se non fosse tale, non potrebbe possedere quelle due proprietà. Non sarebbe prima, se pigliasse d'altronde la sostanzialità dell' effetto prodotto; non sarebbe efficiente, se la contenesse in sè, e l'estrinsecasse, come fattrice, e non come creatrice. L'uomo dicesi veramente causa efficiente, non già di sostanze, ma di modi; tuttavia, anche rispetto ai modi, non è creatore, perchè li produce, come causa seconda, per una virtù ricevuta dalla Causa prima. L'idea di creazione è adunque inseparabile da quella di causa, presa in senso assoluto. E siccome l'idea di causa costituisce uno dei primi principii della ragione, ne segue che il concetto di creazione si dee annoverare fra le idee più originali e più chiare dello spirito umano. E veramente non è possibile il disgiungere l'atto creativo dalla causa operante, nè la virtù creatrice dalla potenza operativa, se la causa e la sua efficacia si concepiscono, come infinite e assolute. Ora siccome il concetto delle cagioni, eziandio secondarie e finite, involge quello di una Cagion prima, infinita, ed è una semplice astrazione e modificazione di esso, ne segue che l'idea di creazione è in ogni caso inseparabile da quella di causalità.

Si dirà forse da un lato che i teologi e i filosofi, i quali ammettono l'idea di creazione, la tengono per un mistero altissimo, per un dogma incomprensibile; e dall' altro lato,

che tutti i filosofi antichi l'ignorarono, e molti moderni l'impugnano risolutamente. Oltrechè, se la creazione fosse razionalmente evidente, il panteismo non avrebbe sedotto in ogni tempo le menti più profonde e sagaci, nè tornerebbe in campo a ogni poco nelle scuole dei filosofi; conciossiache questa dottrina è appunto plausibile al giudizio di molti, perchè promette e si vanta di spiegare il fatto della esistenza universale, senza ricorrere alla creazione.

Rispondo che il concetto di creazione non è più chiaro o più oscuro degli altri concetti, appartenenti alla formola ideale. Ogni concetto ideale ha due facce, l'una intelligibile e l'altra sovrintelligibile, e si può paragonare a un punto luminoso, che spicca in mezzo alle tenebre, facendoci sentire e in un certo modo vedere, e costringendoci ad ammettere, l'oscurità, che lo circonda. Il chiaro presuppone l'oscuro, come a vicenda l'oscuro non si apprende, senza l'aiuto del chiaro. Ora l'oscuro dell'Idea è il sovrintelligibile; il quale si riproduce in ogni parte del mondo ideale, e trovasi nel concetto di Ente, come in quello dell'atto creativo. E siccome il concetto di Ente è la radice e il principio delle altre nozioni ideali, così l'impenetrabilità dell'Ente è la radice e il principio delle altre oscurezze; ond'è, che per esprimere l'elemento inescogitabile, ci serviamo del nome di essenza. La creazione, considerata come il nesso tra la causa assoluta e il suo effetto, è chiarissima, e tanto chiara, quanto la causalità in genere; giacchè la causa non può essere altrimenti, che creatrice, se non è limitata, vale a dire, se è semplicemente e assolutamente causa. Ora la causa è l'Ente in relazione coll'effetto, l'Ente, come operatore e causante; donde seguita, che se l'essenza è impenetrabile in sè stessa, oscura

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