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ziati affermativi e assoluti del verbo ideale, quasi oracoli divini. Perciò, se bene la certezza sia subbiettiva, il suo fondamento e la sua radice è obbiettiva; nè essa torna meno autorevole dell' evidenza, di cui è, per così dire, l'eco e la ripetizione. E veramente lo scetticismo è assurdo; e solo avanza gli altri falsi sistemi, in quanto non si ferma a mezza via, come gli errori scrupolosi e pusillanimi, ma tocca arditamente la cima della ripugnanza. Dicasi altrettanto del metodo dubitativo dei Cartesiani, onde tratteremo fra poco. Imperocchè, siccome ogni atto dubitativo importa l'affermazione dell' Idea, il voler rigettare o mettere in dubbio per a tempo essa Idea, a fine di riacquistarla in appresso coll' esame, e colle ricerche psicologiche, è un giuoco puerile, che mostra in chi se ne diletta sul serio, poca o nessuna attitudine a filosofare.

L'Idea è adunque primitiva, indimostrabile, evidente e certa per sè stessa.

Il pensiero si ripiega sovra di sè, e si gemina, per cosi dire, nella riflessione, mediante i segni ; i quali sono lo strumento, onde si serve lo spirito, per ritessere in sè medesimo il lavoro intuitivo, o piuttosto per copiare intellettivamente il modello ideale. Il che i nostri buoni antichi chiamavano ripensare, e noi men propriamente e meno squisitamente, diciamo riflettere. I segni sono, come i colori, che mettiamo in opera per adombrare e incarnare questo disegno della mente (1); quindi è che il linguaggio si richiede per le idee riflesse. Ma il linguaggio, come quello che non risiede nei vocaboli morti e disciolti, ma nella loro composizione organica ed animata, vuol essere posto in opera, e inspirato da una voce

viva; imperò il favellare interno, per cui lo spirito conversa seco stesso, ha d'uopo della parola esteriore, e dell' umano consorzio. La favella, per quanto sia rozza e difettuosa, contiene il verbo; e siccome il verbo esprime l'Idea, o ne inchiude almeno il germe, (come dichiareremo più innanzi,) l'intelletto fornito di questo argomento può elaborare la propria cognizione, e con un lavoro più o meno lungo e difficile, svolgere il seme intellettivo, scoprirne le attinenze intrinseche ed estrinseche, e conseguire di mano in mano le altre verità razionali. Questo lavoro riflessivo della mente è la filosofia; la quale in conseguenza si può definire l'esplicazione successiva della prima notizia ideale.

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Non occorre qui investigare in che consista la misteriosa unione del pensiero col linguaggio (2). Noterò solamente che la parola è necessaria per ripensare l'Idea, perchè si ricerca a determinarla. L'Idea è universale, immensa, infinita: è interiore ed esteriore allo spirito: lo abbraccia da ogni parte : lo penetra intimamente si congiunge seco, mediante l'atto creativo, come Sostanza e Causa prima, con quel modo arcano e inesplicabile, con cui l'Ente compenetra le sue fatture. Non v'ha perciò alcuna proporzione fra la natura dello spirito finita, e l'oggetto ideale, da cui la luce intellettiva e la cognizione provengono. Conseguentemente, nel primo intuito, la cognizione è vaga, indeterminata, confusa, si disperge, si sparpaglia in varie parti, senza che lo spirito possa fermarla, appropriarsela veramente, e averne distinta coscienza. L'Idea in tale stato di cognizione assorbisce e domina lo spirito, anzichè questo abbia virtù di apprendere e incorporarsi l' Idea signoreggiante. L' intuito secondario, cioè la riflessione, chiarifica l'Idea, determinandola; e la de

termina, unificandola, cioè comunicandole quella unità finita, che è propria, non già di essa Idea, ma dello spirito creato. Per tal modo i raggi della luce ideale confluiscono e si raccolgono in un solo foco, traendo da questa convergenza la lucidezza e precisione proprie dell'atto ripensativo. Ma come un oggetto infinito può essere determinato, come può essere tuttavia conosciuto per infinito? Ciò succede, mediante l'unione mirabile dell' Idea colla parola. La parola ferma e circoscrive l'Idea, concentrando lo spirito sopra sè stessa, come forma limitata, mediante la quale, egli percepisce riflessivamente l'infinità ideale, come l'occhio dell' astronomo, che attraverso un piccol foro e coll' aiuto di un esile cristallo contempla a suo agio e diletto le grandezze celesti. L'Idea è pertanto ripensata dallo spirito in sè medesima, e veduta nella sua infinità propria; benchè la visione si faccia per modo finito, mediante il segno, che veste e circoscrive l'oggetto. La parola insomma è come un' angusta cornice, in cui si rannicchia, per così dire, l'Idea interminata, e si accomoda all' angusta apprensiva della cognizione riflessa. Ciascuno con un po' di attenzione può sperimentare in sè questo fatto intellettuale, impossibile a spiegarsi, e difficile ad esprimersi con parole, ma chiaro ed indubitato, quanto altro fenomeno psicologico.

Gli andamenti e i progressi della filosofia sono proporzionati alla perfezione, o imperfezione del suo principio. Se il germoglio ideale somministrato dalla parola è giunto alla sua maturità, e contiene in atto tutti gli elementi integrali dell' Idea, il discorso filosofico può acquistare nel suo procedere una sodezza e una celerità incredibile; laddove sarà lento, stentato, soggetto a inciampare e sviarsi a ogni tratto,

se il rudimento è imperfetto, vale a dire, se gli elementi intelligibili e integrali, ci si trovano inchiusi potenzialmente, ma non sono attuati. Così, pogniamo che due ingegni di pari valore muovano, filosofando, l'uno dall' Idea, qual si rinviene nella formola pelasgicorientale e matura dei Pitagorici, e l'altro dal concetto ideale tuttavia greggio, qual si trova abbozzato nei primi maestri della scuola ionica, ciascun vede, come il primo potrà lanciarsi di tratto all' altezza dei voli empedoclei ed eleatici, e l'altro si moverà terra terra, e intopperà più o meno negli scogli, a cui ruppero i filosofi natu rali di Apollonia, di Abdera e di Mileto.

La storia, la fede e la ragione concorrono a dimostrare che il padre del genere umano fu creato da Dio col dono della parola. La parola primitiva, essendo divina, fu perfetta, ed espresse l'Idea integralmente (3). Le altre lingue più o meno alterate dagli uomini, sono manchevoli, perchè opera in gran parte dell' ingegno umano; laddove il primo idioma fu un trovato ideale, e nacque dall' Idea stessa. Il primo idioma fu una rivelazione; e la rivelazione divina è il verbo dell' Idea, cioè l'Idea parlante ed esprimente sè medesima. Quivi adunque la cosa espressa ingenerò la propria espressione; la quale dovette essere aggiustatissima, avendo nel proprio oggetto il suo principio. La diversità del principio parlante dalla cosa parlata, l'uno umano, l'altra divina, fa l'imperfezione ideale di tutti i sermoni, che succedettero alla loquela primitiva.

La parola, essendo il principio determinativo dell' Idea, è altresì una condizione necessaria della evidenza e della certezza riflessiva. Le quali nascono bensì dall' Idea, e vi hanno

il fondamento loro, secondochè abbiamo dianzi avvertito; ma siccome i concetti ideali non sono ripensabili, senza la loro forma, da questa dipende in gran parte la chiarezza e la certezza di quelli. Ora la parola essendo la rivelazione, l'evidenza e la certezza ideale dipendono indirettamente dall' autorità rivelatrice, e fuori del suo concorso sono impossibili a conseguire. Per tal modo si accordano le contrarie sentenze di chi afferma e di chi nega la necessità della rivelazione, per ottenere una certezza razionale. L'Idea si certifica da sè stessa, in virtù dell' evidenza sua propria; ma non potendo essere ripensata, senza l'aiuto della parola rivelante, questa è stromento, non base, della certezza, che si ha di quella. L'Idea, quando risplende all' intuito riflessivo, oltre al chiarire la propria realtà, dimostra la verità della stessa rivelazione; ma d'altra parte, senza la rivelazione, non potrebbe risplendere allo spirito ripensante. Qui non v'ha circolo vizioso, poichè la parola rivelata non è radice, ma semplice condizione del lume razionale in ordine alla riflessione.

La parola, come ogni segno, è un sensibile. Se adunque ella si richiede per ripensare l'Idea, ne segue che il sensibile è necessario per poter riflettere, e conoscere distintamente l'intelligibile. Il che consuona colla doppia natura dell' uomo, composto di corpo e d'animo, e annulla quel falso spiritualismo, che vorrebbe considerar gli organi e i sensi, come un accessorio e un accidente della nostra natura. Spiritualismo irragionevole, e ripugnante ai dettati superiori, che ci rappresentano l'instaurazione organica, come necessaria allo stato oltramondano, sempiterno e perfetto di quella. Ora, se la parola è un sensibile, ne sèguita che la rivelazione è sen

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