Page images
PDF
EPUB

l'assunto di chi adoperasse le dita e le orecchie, per apprender la luce e distinguere i colori in essa racchiusi.

Ciò che induce in errore i psicologisti, si è, che l'oggetto della psicologia, e quello dell' ontologia, si assomigliano, in quanto non son materiali; ma fuori di questa convenienza, differiscono onninamente fra loro. Imperocchè, se bene gl' intelligibili siano incorporei, non ne segue però che in noi riseggano, facciano parte della coscienza, e alberghino più tosto nel nostro animo, che in qualsivoglia altra parte del creato. L'Intelligibile non è interiore nè esteriore, poichè non si trova localmente in nessun lato, nè vien circoscritto presenzialmente da alcuna esistenza. Direi piuttosto che è superiore, se questa locuzione non fosse anco impropria, come quella che sembra inferire una relazione speciale, e una limitazione; le quali disconvengono, non meno che il didentro e il difuori, alla natura infinita e assoluta dell'obbietto ideale. L'Intelligibile comprende e compenetra ogni esistenza, e non vien compreso nè limitato da nessuna. La mente nostra col suo primo intuito lo afferra in sè stesso, non in altra cosa, senza aver d'uopo d'indirizzare il suo strumento a un punto determinato, perchè l'oggetto, essendo universale, accompagna esso strumento, o per dir meglio, lo abbraccia e circoscrive da ogni lato. Forsechè si vuol esser psicologo, per osservar la natura esteriore? No sicuramente basta avere i sensi spediti, i quali spontaneamente trovano il loro oggetto, e lo rapiscono. Gli strumenti naturali non hanno bisogno di altri argomenti, come verbigrazia, di puntelli e di squadre, per attingere l'oggetto loro proposto. Ora, come il mondo materiale è colto dai sensi, così il mondo ideale viene appreso dalla mente, senza aiuti psicologici o altro corredo di scienze osservative o sperimen

tali. La sola condizione richiesta a tal effetto, è la prontezza e la disposizione dello strumento; il quale, per ciò che spetta all' ontologia, è radicalmente l'intuito contemplativo, come la riflessione psicologica, e la percezione esteriore, sono gli organi adoperati dalla psicologia e dalle fisiche. L'intuito contemplativo giova al lavoro scientifico, mediante la riflessione ontologica, che non può stare senza di esso; alla quale riesce tanto più facile il ferir nel bersaglio, quanto che la mira dell' intuito non è un punto particolare, come accade agli altri strumenti, ma una cosa universale; e però in questo caso, l'instrumento, comunque appostato, è sicuro di mirar nel segno, e imbroccarlo; come non sarebbe mestieri di addirizzare il telescopio, se questo, dovunque si volgesse e squadrasse, avesse la prerogativa di condur seco le stelle. E non che l'intuito primitivo dello spirito si fermi in un termine particolare, ogni circoscrizione è rimossa dalla sua apprensiva, la quale non potrebbe cogliere il suo obbietto, se fosse attuata altrimenti. Questo atto mentale schiettissimo, incircoscritto, indefinito, che spazia per così dire in un campo immenso, senza affisarsi in un punto determinato, costituisce il primo grado della contemplazione, e porge alla scienza ontologica coll' oggetto in cui ella si esercita, i principii, onde vuol muovere, e il metodo, che la dee gover

nare.

Egli è vero che l'intuito diretto della mente non basta a fare la scienza, ma ci vuol di più quella riflessione, che ho denominata ontologica dall' obbietto, in cui ella si adopera. La quale arreca nel suo oggetto quella distinzione, chiarezza e delineazione mentale, che senza alterarne l' intima natura, lo fanno scendere, per così dire, dalla

sua altezza inaccessibile, e accomodarsi alla umana apprensiva. Infatti lo spirito nostro, come finito, si smarrisce nella immensità dell' oggetto ideale, e si trova impotente ad appropriarselo; tantochè, se l'intuito fosse solo, l'uomo assorbito dall' İdea non potrebbe conoscerla, perchè ogni conoscenza importa la compenetrazione del proprio intuito, e la coscienza di noi medesimi. La riflessione pertanto dee accompagnare l'intuito primitivo; e qui mi contento di accennare il fatto, senza investigarne appieno il modo, o le ragioni recondite, e senza sottoporre ad esame l'attinenza psicologica di quelle due potenze. Ma come mai la riflessione ontologica compie l'intuito? Circoscrivendolo e determinandolo mentalmente. E in che modo lo determina? Vestendolo di un sensibile. La visione dell' intelligibile, sotto la forma di un sensibile, è dunque opera della riflessione. Ma come mai un sensibile può esprimere un intelligibile? Nol può certamente per sè stesso, essendo essi disparatissimi. Nol può per un artificio arbitrario dello spirito; il quale, a tal uopo, dovrebbe ripensare l'intelligibile in sè stesso, prima che fosse dotato di una forma. Bisogna adunque di necessità conchiudere che l'innesto del sensibile sull' intelligibile, essendo cosa per sè arbitraria, e non potendo derivare dall' arbitrio dell' individuo, proviene da quello della società, in cui l'uomo nasce, e originalmente dall' arbitrio stesso dell' Idea fattrice, che crea la propria espressione, appresentandosi allo spirito, sotto una invoglia o forma sensitiva. La qual forma è la parola; onde il linguaggio è la rivelazione riflessa dell' Idea; che è quanto dire una successione di sensibili, per cui essa Idea rivela sè medesima all' intuito riflessivo dello spirito umano, e compie l'intuito diretto, che gli porge di sè. Dal che nasce, che quando la parola è alterata, i concetti ideali

si corrompono proporzionatamente, se già una nuova rivelazione o un magisterio esteriore, organato dall' Idea stessa, non impedisce che le nuove forme, incorporate colla loquela, influiscano nella notizia delle cose, che per essa si rappresentano. Salvo questo caso, i sensibili, invece di esprimere l'Idea, la guastano, e il guasto si fa per modo, che i concetti ideali son travisati dai concetti sensibili inchiusi nella parola, e l'Idea viene adulterata dalla metafora o dalla etimologia. Imperocchè il nostro spirito ha da natura una inclinazione grandissima a convertire le idee in fantasmi, gl' intelligibili in sensibili, e la mette in opera, pigliando in senso proprio le figure ed i tropi, onde constano le varie lingue. Le aberrazioni ontologiche, che viziarono la filosofia sin da' suoi principii, non provennero bene spesso da altra cagione. Onde si deduce, con rigore di logica, la necessità della rivelazione, per inventare il linguaggio, e di un magisterio autorevole, per mantenere la debita corrispondenza fra l' Idea e i segni, che l' esprimono. Ma per tornare al proposito, egli è chiaro che la psicologia non può meglio servire alla riflessione che all' intuito contemplativo, per afferrare il suo oggetto, e che il sussidio, onde abbisogna la virtù riflessiva, non è interno, ma esterno, e dalla rivelazione procede. La teologia adunque per tal rispetto, e non già la psicologia, vorrebbe essere un preliminare della scienza ontologica. Anzi l'uso della seconda tornerebbe da questo canto pregiudiziale, non potendo partorire altro effetto, che di trasformare gl' intelligibili in sensibili; com'è appunto accaduto ai psicologisti moderni, senza eccettuare eziandio quelli, che nel primo sembiante paiono più razionali, più nemici del senso e della immaginativa.

Si potrebbe obbiettare che i sensibili interiori hanno una certa parentela e congiunzione cogl' intelligibili, della quale l'ontologo può prevalersi e vantaggiarsi. Infatti, qual è il termine della riflessione psicologica, se non il pensiero? Giacchè il riflettere è un ripiegare l'azione cogitativa sovra sè stessa. Ora, sebbene il pensiero, come atto dello spirito, sia un mero sensibile interno, cioè una modificazione del proprio animo, appresa con quel sentimento generico, che comprende tutti i modi e tutte le attuazioni del nostro proprio essere; tuttavia esso è congiunto a un elemento, o vogliam dire efflusso obbiettivo, senza cui non potrebbe sussistere. Questo elemento o efflusso consiste nella luce intellettiva, fuor della quale il pensare non è più agevole all'atto cogitativo, che il vedere agli occhi del corpo, immersi in tenebre profonde. Ma la luce intellettiva, così detta con acconcia metafora, perchè fa copia di sè stessa alla visiva virtù dell' intelletto, non è altro in sostanza che l'intelligibilità delle cose; la quale è l' Intelligibile stesso, cioè l'oggetto immediato della contemplazione. Siccome adunque, quando lo spirito pensa il suo proprio pensiero, egli apprende di necessità l'oggetto ideale; pare se ne possa conchiudere che l'abito psicologico si confonde coll' ontologico per modo, che la psicologia può condurre all' ontologia. E veramente alcuni panteisti moderni di Germania sembrano aver fatto questo cammino, movendosi dal concetto di pensiero, come pensiero, per giungere all' Assoluto.

Il discorso è giusto, salvo l'ultima conseguenza. Il pensiero non può stare, senza l'intellezione, nè l'intellezione, senza l'Intelligibile, che è l'obbietto ontologico. Ciò è verissimo. Ma perchè il pensiero inchiude l'intelligibile? Perchè

« PreviousContinue »