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temi, li registrano in una categoria unica, o al più gli aggrup pano divisamente in più scuole, secondo l'ordine dei paesi e dei tempi, ovvero il nesso più manifesto delle dottrine. Ma queste partizioni secondarie non bastano all' uopo, ove non siano fondate nella division sovrascritta; imperocchè, se altri incomincia a schierare tutti i sistemi sopra una sola linea, distinguendoli soltanto a scuole e a famiglie, la storia filosofica, sotto una mostra d'ordine, diventa un guazzabuglio. Che se Linneo fu da alcuni biasimato di avere introdotto nella storia delle piante una classificazione artificiale, per cui talvolta si accozzano insieme una erbetta e una pianta d'alto fusto, (critica ingiusta, poichè l'uomo sommo propose la sua tassologia, come un semplice apparecchio temporario,) si dovrà censurare con assai più ragione un processo metodico, per cui, verbigrazia, Platone e Epicuro, il Malebranche e il Tracy, il Reid e l'Hume, vengono posti nella stessa schiera. Egli è chiaro che lo storico della filosofia, non volendo essere un semplice cronista, dee disporre i vari sistemi, secondo l'elemento predominante; e per conoscere questo elemento, dee ragguagliarli cogli elementi ideali, e coi dati della tradizione. Per tal modo si ordina a magisterio di naturale artificio e s'illustra la storia delle scienze speculative; altrimenti essa diventa una cosa scompigliata, com'è appunto la filosofia stessa, a senno degli eclettici.

Singolarissimo poi è il vedere che costoro, mentre hanno la filosofia per un composto di cocci, di tarsie, di frantumi, e per un pretto musaico speculativo, professino tuttavia un sistema unico, a cui, come a tronco principale, incalmano i rami, che vanno spiccando dalle altre dottrine. Il quale è il psicologismo del Descartes, onde sono editori pazienti, umili

seguaci, e grandissimi lodatori. Ora il psicologismo non solo è un metodo, ma un pronunziato, un sistema, una teorica; imperocchè ogni metodo, essendo un' arte pratica, presuppone certi principii scientifici, e quindi una somma dottrinale e bene organata. Il psicologismo fa dipendere tutto lo scibile dalla cognizione che l'uomo ha di sè, sottordinando le idee ai fatti, l'intelligibile al sensibile; e se ciò non è un dogmatizzare tanto espresso e universale, quanto quello di ogni altro filosofo, non so più qual dogma si trovi al mondo. Egli è vero che il psicologismo è la rovina della filosofia e di ogni scienza; e che dopo avere spiantato ogni altro edifizio, si distrugge da sè; ma non credo che questa sia la cagione, per cui gli eclettici ripudiano modestamente il titolo di filosofi sistematici.

Il punto, a cui sono arrivato in questo progresso preparatorio, non mi permette ancora di trattare la quistione difficile e capitalissima della scienza prima, e cercare, in che sorta di cognizione questa collocar si debba. Le cose dette però bastano a mostrare che la scienza prima non si può riporre nella psicologia volgare, conforme ai dogmi del psicologismo, e degli eclettici, i quali si vantano di aver introdotta questa gran riforma; quasi che ella non sia antica, almeno quanto Cartesio. Ora non è d'uopo entrare in discussioni prolisse, nè possedere un acume molto sottile e una gran forza di ragionamento, per avvertire, che se il necessario non può derivare dal contingente, l'infinito dal finito, l'assoluto dal relativo, la causa dagli effetti, e il principio dalle conseguenze, è assurdo il voler supporre che la legittimità della cognizione ideale proceda dalle impressioni e apprensioni sensibili, e quindi che l'ontologia riceva il

suo valore, e la sua logicale certezza dai fenomeni psicologici. È assurdo il fondare sui fatti le idee, perchè questo è tutt' uno che il trasformare le idee in fatti; laddove il fatto medesimo non si può ammettere, nè pensare, senza il concorso del lume ideale. Questa inversione dell'ordine legittimo non è meno contraddittoria nel campo dello scibile, che nel giro del reale, perchè il reale e lo scibile si rispondono perfettamente. Perciò il voler creare l'ontologia col solo aiuto dei dati psicologici conduce logicamente lo spirito dell' uomo fino all' insania incredibile di tenere per propria fattura l'Autore dell' universo; onde il sistema di Amedeo Fichte è una conseguenza dialettica e severa del psicologismo.

La psicologia può essere una propedeutica disciplinare, e uno strumento di pedagogia razionale, migliore, per qualche rispetto, della logica ordinaria, onde avvezzare l'intelletto dei giovani alle ricerche filosofiche. Imperocchè, obbligando chi studia a fermar lo spirito sulle sue operazioni, divolgendolo dagli oggetti esteriori, dove facilmente si sparge, sovrattutto nella età tenera, per la forza dei sensi, e la vivacità delle impressioni, imprime in esso una disposizione più conforme all'abito richiesto dalle speculazioni ontologiche; le quali, benchè differenti in sè stesse dallo studio riflessivo dell'animo umano, convengono tuttavia seco nell' essere aliene dai fatti esterni e corporei. Tuttavia, non se ne vuole inferire che il metodo psicologico s'immedesimi coll' ontologico, e che il divario corrente fra loro consista solo nella discrepanza degli oggetti, a cui si adattano; giacchè la varietà degli oggetti diversifica appunto essenzialmente le interne ragioni del progresso metodico.

Per ben chiarire questa distinzione, che è di grande importanza, si noti che lo strumento, onde lo spirito umano si vale in psicologia, è la riflessione psicologica, per cui il pensiero si ripiega sovra sè stesso, e afferra, non già la propria sostanza, ma le proprie operazioni solamente. All' incontro nell' ontologia lo strumento è la contemplazione, la quale si divide in due parti, cioè in un intuito primitivo, diretto, immediato, e in un intuito riflesso, che chiamar si può riflessione contemplativa e ontologica. Questa seconda riflessione, benchè accompagni la prima, ne è differentissima; imperocchè nella riflession psicologica, l' animo, replicandosi sovra sè stesso, come dotato di certe potenze, ha per oggetto immediato le proprie operazioni, che è quanto dire le sensibili modificazioni di esso animo; laddove, nell'ontologica, lo spirito, ripensando, si rifà sull' oggetto immediato dell' intuito stesso; onde nel primo caso il termine del pensiero è il sensibile, e nel secondo l'intelligibile. Egli è vero che nella riflessione contemplativa, la mente rivolgendosi all'oggetto ideale, si ripiega pure di necessità sull'intuito proprio, che lo apprende direttamente; onde il tenor psicologico del ripensare accompagna sempre l'altro modo di riflettere; tuttavia queste due operazioni, benchè simultanee, sono distinte, perchè hanno il loro termine in un oggetto diverso. Ciò posto, egli è chiaro che lo strumento del psicologo differisce essenzialmente dal doppio organo ontologico, e che se i due metodi si scambiano, e chi ontologizza vuol usare i mezzi accomodati al semplice studio dei fenomeni interni, egli non troverà l'oggetto a cui mira, e piglierà il sensibile per l'intelligibile; il che è veramente ciò che incontra a tutti i psicologisti, senza eccettuare i panteisti medesimi; anzi a questa confusione si riduce sostan

zialmente la sintesi assurda dei dati intellettivi coi sensitivi, propria del panteismo.

Gli eclettici pretendono, che senza l'aiuto della psicologia, l'ontologo è costretto di camminare a caso e a tentone, con grave rischio di perdere la buona via 1. Ma perchè, di grazia? Ciò vorrebbe dire che la psicologia serve ad indirizzare l'ontologia verso il suo obbietto, quasi che non possa altrimenti afferrarlo, senza smarrirsi o allungare il cammino. Ora io non comprendo, come la psicologia sia in grado di avviare altrui verso un oggetto, che non è di sua propria competenza, ed esce dei limiti della sua giuridizione. Mi par cosa strana il supporre che il metodo ontologico, e quindi l'intuito, che n'è la base, siano così disgraziati, da non poter trovare l'oggetto loro proprio, e che il metodo psicologico, cioè la riflessione osservativa, abbia il privilegio di raggiungere, oltre il proprio termine, anco l'altrui. L'onnipotenza della riflessione psicologica, e l'assoluta imbecillità dell' intuito, sono certamente due cose difficili a smaltire. Io aveva creduto finora che la cecità sia la causa principale, per cui non si scorgono gli oggetti; ora siccome l'intuito, non che esser cieco, è la fonte della visione, e la riflessione non vede, se non in quanto partecipa alla luce intuitiva, dovremmo dire, alla stregua dei psicologisti, che tocca al cieco il guidar per mano, non mica gli altri ciechi, (il che sarebbe già degno di considerazione,) ma chi è veggente in modo perfetto; cosa per vero singolarissima. In somma, questo scambiamento di metodi, trattandosi di oggetti affatto diversi, mi riesce un trovato così bello, come

1 COUSIN, Frag. phil. Paris 1838, tom. I, p. xviti, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 30, 31 et al. pass.

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